venerdì 8 luglio 2022

Tutti i bambini nascono liberi dal pregiudizio e non lo sviluppano finché non viene loro instillato. Parte X

 


Lezione 10 – 17 GENNAIO 2022

Nell'ultima lezione del mio corso di pedagogia è stato trattato un argomento importante, che purtroppo - anche se può sembrare vecchio e scontato in modo imbarazzante - resta tristemente attuale: quello delle differenze di genere, di etnia e di cultura.

Non amo particolarmente parlarne, perché è un tema che si rischia facilmente di banalizzare.

Ma l' aspetto che mi ha più emozionata di questo modulo (e che non trovo affatto banale) è l'idea della scuola come luogo nevralgico per la costruzione di una multiculturalità. Una scuola dunque che non si accontenta di fornire nozioni, ma educa all'affettività e all'emotività, ossia a tutte quelle competenze che regolano e orientano - fra le altre cose - il comportamento verso la diversità.

Essere genitore è un cammino disseminato anche di dubbi, ostacoli, errori. Uno dei momenti in cui ho sentito di aver fatto un buon lavoro è stato quando mio figlio, allora in seconda elementare, tornò a casa dopo un'attività strutturata per incoraggiare gli studenti al rispetto della diversità. Gli era stato detto che bisognava trattare ugualmente bene tutti i bambini, indipendentemente dal loro colore, genere, religione, aspetto fisico.

Ricordo che ne rimase molto colpito. Non certo per i contenuti, ma perché non riusciva a capire per quale motivo una cosa per lui tanto ovvia venisse sottolineata con una tale serietà e le venisse dedicato persino un laboratorio.

Non avevo mai parlato a mio figlio di pari opportunità, mi ero limitata a presentargli la mia vita. E la mia vita era ed è fatta di uomini e donne delle più disparate età, condizioni economiche e sociali, etnie, livelli culturali e orientamenti sessuali. Persone conosciute e apprezzate nel corso degli anni, diversissime fra loro e selezionate sulla base di pochi elementi comuni per me imprescindibili: la sensibilità, la generosità, lo spessore umano.

Il laboratorio proposto dalla scuola di mio figlio affermava qualcosa di così banale e scontato per lui che lo aveva turbato non capirne il senso.  Per me fu allora l'occasione di spiegargli cose di cui non avevamo mai parlato: la discriminazione, l'intolleranza, la violenza e la crudeltà verso i più deboli. Nonché l’occasione di trasmettergli quanto mi piacesse la sua distanza da tutto ciò e quanto fossi orgogliosa di lui.

Sono certa che tutti i bambini, come il mio, nascano liberi dal pregiudizio e non lo sviluppino finché non viene loro instillato. Non hanno dunque bisogno di attività organizzate e di laboratori per disfarsene.  Queste attività dovrebbero essere indirizzate agli adulti, soprattutto a quelli che interagiscono con i bambini, affinché si liberino dagli stereotipi di cui sono succubi e non li inculchino ai più piccoli.

È chiaro quindi che a scuola la discriminazione e l'intolleranza non si possono combattere con un noiosissimo laboratorio di poche ore. Né con sermoni che ci raccontano che siamo tutti uguali, goffamente inseriti in contesti dove non a tutti vengono offerte le stesse  opportunità.

Si combattono invece con il modo in cui l'insegnante è e si comporta ogni giorno.

Si combattono non imponendo alle femmine di alzare la mano prima di parlare, lasciando invece i maschi liberi di farlo (è incredibile, ma succede più spesso di quanto si possa pensare).

Si combattono non apostrofando il bambino in sovrappeso con frasi tipo: "dovresti mangiare meno, guarda i tuoi compagni come sono più agili".

Si combattono trattando tutti gli studenti allo stesso modo, o - ancora meglio - trattandoli ognuno in modo diverso, nel rispetto delle relative unicità.

Si combattono, ancora una volta, se il docente possiede quei valori in maniera autentica e li applica quotidianamente. Perché i bambini sono abilissimi osservatori e non si lasciano prendere in giro.

A me una scuola così piace da morire! Lo trovo un luogo capace di formare individui non solo migliori, ma anche più felici.

Insegnare ai bambini a non rifiutare, non giudicare e non isolare l'altro vuol dire infatti - come è ovvio - mettere le basi per un mondo migliore e più giusto, dove il diverso non subisce violenze, discriminazioni e crudeltà. Ma vuol dire anche, ne sono certa, crescere individui più liberi e felici. 

Liberi di frequentare chi vogliono, entrando in relazione con anime che sono loro affini in ciò che conta davvero, e non semplicemente conformi a uno stereotipo. E liberi di essere quello che sono. Perché sbarazzarsi del pregiudizio e convincersi davvero che siamo tutti ugualmente speciali solleva anche dal peso del giudizio altrui, e permette di essere e di esprimere sé stessi e la propria unicità senza vergogna e senza bisogno di omologarsi.

Io credo, semplicemente, che non si potrebbe fare a un bambino regalo più grande di questo!

Sono già passati due mesi. Sto ormai svolgendo il mio tirocinio e vivo ogni giorno il privilegio di trascorrere del tempo con i bambini da una posizione fortunata. Quanto sono riuscita ad apprendere da queste lezioni accompagna me e loro in un percorso bellissimo, al termine del quale spero avrò restituito ai "miei" piccoli almeno una parte di quanto loro mi stanno regalando ogni giorno.

Eppure… ricordo ancora distintamente il momento in cui abbiamo salutato la nostra docente.

C'era una forte commozione, alcune di noi piangevano. Non stavamo salutando solo una persona appassionata e speciale, ci stavamo anche separando dallo studio di una materia che poche di noi conoscevano e che avrebbe potuto darci ancora moltissimo.

Restano tante domande ancora senza risposta, una lista di argomenti da approfondire, di libri da leggere. Personalmente, se potessi ricominciare dall'inizio con questa nuova consapevolezza, dopo il Liceo studierei pedagogia.

E invece mi chiedo perché questa materia sia ancora così poco conosciuta e così poco presente dove ce ne sarebbe tanto bisogno: nelle scuole prima di tutto. 

Perché nell'equipe che valuta un disturbo dell'appartamento sono obbligatorie le figure del neuropsichiatra, dello psicologo e del logopedista, mentre quella del pedagogista è solo consigliata?

Perché, se un bambino ha problemi a scuola, o mostra un cattivo comportamento in classe, viene indirizzato dallo psicologo e mai dal pedagogista?

Perché si studia così poca pedagogia nei corsi di laurea che formano maestri e professori e perché questi ne applicano così poca nelle classi, dove sarebbe requisito sufficiente a diminuire drasticamente il numero dei bambini indirizzati dallo psicologo o condannati a una certificazione?

Francesca Nazzicone

Le precedenti lezioni della dr.ssa Tiziana Cristofari nel corso OEPAC, che hanno portato a queste meravigliose relazioni di Francesca Nazzicone, le trovate sotto:

Gioie, dolori, paure, rabbia e frustrazioni di genitori, insegnanti e operatori OEPAC. Parte I

Gioie, dolori, paure, rabbia e frustrazioni di genitori, insegnanti e operatori OEPAC. Parte II

Sgridato e spaventato, convinto di non essere capace. Gioie, dolori, paure, rabbia e frustrazioni di genitori, insegnanti e operatori OEPAC. Parte III