mercoledì 14 novembre 2018

La pedagogia negata. Lettera aperta al settimanale Left



Il modo di essere è un atto educativo. 
Forse ai lettori di Left o a Left stesso questa affermazione non piace perché mi sembra di aver capito che pensate all’educazione solo in termini di coercizione, come forse è quasi sempre stata. Ma è bene ricordare che anche la psichiatria è sempre stata e lo è per molti ancora oggi, un fatto quasi esclusivamente organico, che solo la nuova ricerca scientifica di Massimo Fagioli ha rivoluzionato.
Parlando di atti educativi tra educatore (pedagogista, insegnante, genitore, nonni, zii ecc.) ed educando (figlio, nipote, studente), possiamo oggi sicuramente affermare che un modo di essere aggressivo, coercitivo, punitivo, anaffettivo lo è, per malattia mentale; e allo stesso tempo, un atto educativo calmo, affettivo, delicato, intuitivo, creativo lo è, per sanità. 

giovedì 1 novembre 2018

La separazione? Ecco quando ti arricchisce.


Qualche tempo fa un bambino di 8 anni al quale dicevo che il nostro percorso didattico era finito perché lui era diventato molto bravo mi ha risposto: “Io però posso continuare a venire qui!” Certamente, ho detto, tutte le volte che vuoi…
Ho mentito? Un po’ sì e un po’ no. Sì, perché so che lui non avrà più occasione di tornare da me se non per una esplicita volontà della famiglia che vuole mantenere un legame che va oltre quello professionale; no, perché penso che ogni bambino deve poter mantenere la “speranza” di rivedere colei (o colui) con la quale ha creato una relazione profonda che gli ha permesso di essere e di sentirsi capace come tutti gli altri.

sabato 15 settembre 2018

Donna, viva, appagata e cittadina del mondo


Qualche anno fa, quando si postava qualcosa contro il razzismo, la xenofobia, l'intolleranza, c'erano molte persone disposte a sostenere e gridare all'accoglienza, alla tolleranza, alla democrazia. Il fatto che oggi sia diventato un “rischio” per la propria immagine poter dire di non appartenere al Movimento 5 Stelle o alla Lega, lo trovo mostruoso e anche disgustoso. 
Salvini con la sua propaganda contro gli immigrati, è riuscito a catalizzare l’odio e la frustrazione che noi italiani abbiamo per politiche non riuscite, su persone che non hanno alcuna colpa. La cosa terribile è che non si comprende più (o meglio, non si vuole più comprendere) che la cattiva sanità, la cattiva scuola, la disoccupazione, la mancanza di posti di lavoro, lo spread che torna a salire minaccioso, non sono colpa degli immigrati. Eppure ci sentiamo orgogliosi del fatto che finalmente non facciamo entrare più uomini, donne e bambini in carne e ossa come noi, nel nostro paese. È possibile che questa lotta contro i poveracci, contro i più indifesi, i più deboli, ci faccia sentire grandi? È questa la nostra bravura e la nostra potenza?

martedì 11 settembre 2018

È meglio ascoltare o sperare di sentirsi dire ciò che desideriamo sentire? Quando una consulenza non funziona.


Credo che a tutti noi sia capitato di trovare un professionista che non ci piace o al contrario uno che ci piace tanto. A pelle, durante l’incontro, proviamo a sentire chi abbiamo davanti e il giudizio che facciamo di lui o di lei è il frutto di ciò che siamo, ciò che sappiamo e di come ci relazioniamo.
Ma quello che spesso non pensiamo e che a volte purtroppo succede, è che — a prescindere dal generico giudizio è bravo o non è bravo (dato in base alla sua fama sociale o ai risultati ottenuti con altri utenti) —, ci facciamo un’idea dell’altro in base a ciò che noi siamo e a ciò che desideriamo sentirci dire, più che ascoltare ciò che l’altro ha da dirci. Per chiarezza: non è sempre così. Ma quando ci capita di dover comunicare con un esperto nei settori spesso poco conosciuti, o che al contrario, pensiamo di conoscere bene, dovremmo essere capaci innanzitutto di ascoltare, senza prevenzione e senza costruzione mentale su ciò che vorremmo ci dicesse o meno.
Per fare un esempio legato alla mia professione ed esperienza come pedagogista,

domenica 9 settembre 2018

Chi è l'educatore: qual è la differenza tra la formazione di area medica e quella di area pedagogica?

Il giorno 8 settembre 2018 un utente di YouTube, sotto il mio video "Chi è e cosa fa la pedagogista" scriveva:

Grazie per la sua spiegazione perché mi ha dato un chiarimento.

Io sono un assistente sociale e mi occupo di assistenza in una comunità psichiatrica.
Oggi, dopo sette anni di "duro" lavoro in comunità e dopo una formazione specifica in ambito di mediazione e di assistenza alla persona con diagnosi psichiatrica, sto maturando il desiderio di specializzarmi in scienze pedagogiche. 
La mia motivazione sta proprio nell'approfondire le discipline pedagogiche per dare alla mia professione di assistente sociale specialistico (sono titolare di una laurea cl. 57s) una competenza specialistica in pedagogia. Le vorrei fare due domande: 
Nel corso della mia professione in comunità psichiatrica ho incontrato gli educatori area sanità che lei non menziona nel video e gli educatori di scienze del educazione L19, mi sa spiegare da un punto di vista di pedagogista come descrive queste due professioni? 
La figura del pedagogista in campo della ricerca sociale, che percorsi e tematiche può affrontare? 
Grazie della sua preziosa attenzione e ancora grazie per avermi chiarito la differenza fra educatori e pedagogisti.


Questa è la mia risposta:

giovedì 23 agosto 2018

Varese-Roma o Roma-Varese?


Il centro di Varese quando sono andata via
Tutto succede quando meno te lo aspetti. Tutto veloce, all’improvviso… La decisione di partire per Varese e rivedere un passato che pensavo ancora lontano. Ventuno anni dall’ultima volta. Ventuno anni che non vedo un’amica speciale che è lì, con la mia stessa voglia di parlare, condividere, sapere… 
Ci siamo lasciate che io avevo tredici anni, lei dodici. Ricordo ancora il suo viso con le lacrime davanti a quel cancello del nostro condominio che ci separava, per sempre… Ricordo quel volto come se fosse adesso…
Per me che andavo via era più facile. Roma, la città eterna era una meta sognata mille volte, decantata da mia madre; una meta che mi avrebbe fatto anche raggiungere mio padre. Un padre assente, via forse per lavoro o forse no…
Ci siamo poi riviste per la prima volta dopo quell’addio appena maggiorenni in un posto di mare. Un posto impersonale.

domenica 1 luglio 2018

Giù le mani da mio figlio! Per lui decido io!


Succede sempre più spesso che i docenti o gli psicologi della scuola, non accettino le relazioni dei pedagogisti quali esperti di crescita, formazione e didattica (ruolo oramai ampiamente riconosciuto dalla legge 105/2017, ma di cui probabilmente molti ne sono ancora all’oscuro). 
Per la valutazione del rendimento scolastico dei bambini, sempre più spesso i docenti si appellano alla consultazione medica, anziché come sarebbe ovvio a quella pedagogica. Propongono questa richiesta puntando sulla poca informazione dei genitori e sulla poca informazione che riguarda la nostra professione (pedagogica) per ottenere ciò che oramai si pretende: un certificato medico che attesti ciò che loro vogliono che sia (Effetto Pigmalione) per sollevarsi dalle responsabilità; in questo modo non si sentono imputati o messi minimamente in discussione sul lavoro da loro svolto nei confronti dei bambini. Inoltre è quasi impossibile (perché chi deve non lo fa) procedere a un giudizio sul lavoro eseguito da un docente e pertanto valutarlo quale il frutto del risultato sullo studente. Ciò significa che per la collettività, quando uno studente va male a scuola, non è possibile imputarlo all’insegnante. 

lunedì 25 giugno 2018

Ci sono giorni difficili in cui la mia mente...



Ci sono giorni difficili in cui la mia mente mi fa sognare di vivere situazioni che penso per me utopiche:
  • sogno di riuscire a insonorizzate tutta casa per difendermi dal vicino rumoroso;
  • sogno di vivere in un attico all’ultimo piano per sfuggire allo smog del furgone che scarica le merci a motore acceso sotto casa;
  • sogno di avere una scuola tutta mia che parte dal nido e arrivi fino alle superiori;
  • sogno di poter scegliere i migliori medici per curare i miei problemi;
  • sogno di poter andare ancora una volta in America;
  • sogno di poter avere una figlia meravigliosa da crescere;
  • sogno di potermi comprare quel computers di ultima generazione;
  • sogno di potermi comprare tutti i libri che desidero.
Sogno. Sogno come fanno tutti, ognuno con il suo piccolo grande desiderio da realizzare.
Poi all’improvviso apro gli occhi. Guardo quello che sono e quello che ho. E capisco di avere tanto, più di quanto si possa a volte sperare:
  • ho una casa tutta per me da poter curare e che mi dà il conforto quando fuori fa freddo o quando fa caldo;
  • ho la possibilità di chiudere le finestre quando il furgone scarica a motore acceso;
  • ho già un lavoro che adoro;
  • ho un ospedale a cui rivolgermi sempre disponibile;
  • ho un passaporto pronto per la prima occasione;
  • ho tanti bambini che aiuto ogni giorno a diventare grandi;
  • ho il mio computer che mi permette di fare qualunque cosa mi serva;
  • non potrei comprare più libri di quelli che compro, non riuscirei a leggerli.
Poi mi fermo ancora a pensare e rimango con il fiato in gola quando capisco che quelle donne africane che scappano da guerra e miseria forse non avranno mai tutto quello che io ho.

Tiziana Cristofari






giovedì 14 giugno 2018

Il deficit di attenzione e il buon sviluppo cognitivo: ecco la relazione.


Spesso quando dico ai genitori che devono parlare con i propri figli, che ci devono giocare, che devono stare nella relazione con il pensiero e non solo fisicamente, mi guardano come per dire: mi sembra ovvio che lo faccio! Danno per scontato però qualcosa che scontato non è. Ma non solo: pensano di fare tutte queste cose, ma in realtà non le fanno o le fanno molto raramente.
Ora. È chiaro che io non vivo con le famiglie e pertanto non posso dire ciò che loro fanno o non fanno. Quello che so è che la pedagogia ha una teoria valida di approccio al bambino che contribuisce al suo migliore sviluppo cognitivo e l'ho sperimentata personalmente. Pertanto, se con me il bambino ottiene certi risultati e si muove in un certo modo che tutti i genitori auspicano, perché ciò non dovrebbe avvenire anche in famiglia?
Facciamo un passo indietro e un piccolo esempio per spiegare meglio ciò che intendo. 

lunedì 11 giugno 2018

Chi è il genitore bullo che aggredisce l’insegnante? Ecco la verità che tutti negano.


Ultimamente è facile sentire televisioni, radio, giornali parlare di insegnanti bullizzati o che hanno perso ruolo e faccia davanti alle famiglie e davanti agli studenti.
Si giustifica questo atteggiamento parlando di stipendi bassi, di una scuola sempre meno considerata politicamente e socialmente e che pertanto ha portato a genitori aggressivi nei loro confronti e privi di fiducia nella categoria docente.
Prima la scuola aveva ruolo e valore educativo, ora tutto questo non c’è più. Così dicono…
Mi diverte ascoltare le fantasiose spiegazioni che docenti, psicologi, genitori, gente comune dà a questa perdita di ruolo degli insegnanti, che, certo, possono sicuramente contribuire ad essere un motivo per questo atteggiamento, ma non sicuramente la causa principale che viene sistematicamente ignorata e soprattutto negata.

mercoledì 6 giugno 2018

Cosa serve per “imparare” ad amare


A dolcezza corrisponde dolcezza, ad aggressività corrisponde altrettanto.
Vi siete mai trovati in un ufficio pubblico arrabbiati per aver subito un torto? Avete mai aggredito a parole l’impiegato che vi stava davanti? Le risposte ad una aggressione verbale sono due: o vi risponde con altrettanta aggressività e scoppia la guerra, oppure vi risponde con dolcezza e voi stranamente, nonostante l’arrabbiatura, vi calmate.
Sapete cosa significa questo?

Hai paura che tu@ figli@ possa avere un DSA? Ovvero un Disturbo Specifico dell'Apprendimento? Leggi questo!

Vuoi sapere come nascono i DSA (Disturbi Specifici dell'Apprendimento)?
Vuoi sapere come si superano?
Vuoi sapere come prevenirli?
Adesso è il momento giusto per informarti!
Non perdere tempo, perché l'inizio del nuovo anno scolastico arriverà prestissimo!
Sono la dr.ssa Tiziana Cristofari e sono una pedagogista. 
Vorrei parlarti dei Disturbi Specifici dell'Apprendimento, di come nascono, di come si prevengono e di come si superano. Ma soprattutto vorrei spiegarti perché questi disturbi non sono genetici, né neuropsichiatrici, ma di origine pedagogica.
Non rimanere con il dubbio per le notizie spesso infondate sulla dislessia, la discalculia, la disortografia o altro. Approfondisci l'argomento, ti costerà il tempo della lettura di qualche articolo e di un libro. Per tu@ figli@ penso che questo tempo sia veramente poco! E ne varrà della sua felicità.

giovedì 31 maggio 2018

Quando il docente proprio non vuol capire



Ci sono due situazioni apparentemente distantissime tra loro, ma che mi rendono estremamente sensibile e facilmente irritabile: la prima è quando un bambino non fa nulla a casa, né a scuola, fa un sacco di assenze, prende note tutti giorni e trova ogni volta una scusa per non farle leggere ai genitori, ma il docente continua a mettere note e a rimproverarlo. L’altra è quando nasce un fratellino o sorellina allo scolaro, il rendimento del bambino cala perché le attenzioni in famiglia cambiano, insieme alle abitudini che richiedono venga ristabilito un equilibrio, ma le insegnanti ignorano tutto questo e opprimono la famiglia con presunti problemi cognitivi.


venerdì 6 aprile 2018

Tiziana ti scrivo 13... genitori infantili e ipercritici

Pubblico molto volentieri il post di Francesca (insegnante della primaria), che mi ha inviato con posta privata su Facebook e che merita la pubblicazione vista la grazia con la quale dissente in parte da ciò che affermo. Il contraddittorio sereno e civile è sempre il benvenuto. Fa riferimento all'articolo "Vessazioni a mamma e papà: l’abbandono delle Istituzioni scolastiche e mediche". Di seguito trovate anche la mia risposta.


Gentile dott.ssa Tiziana,

Spero lei possa leggere anche il mio mess dopo i tanti che riceverà immagino😁. Sono Francesca e insegno alla primaria, sono una vecchia maestra di 47 anni e mi sento vicina a lei perché per assolvere alla formazione che purtroppo per noi non è adeguata sono tornata a studiare... due esami alla magistrale in scienze pedagogiche e infatti la seguo da un po' ...c'è sempre da imparare! Magari lei potrà ispirare la mia tesi...sorvolo tra Freinet e Freud... sono approdata alla rivoluzionaria Summerhill School... speriamo! Mi dispiace che nel suo articolo su Vessazioni a mamma e papà si parli di pochi insegnanti motivati e preparati... diciamo che non bravura e pressapochismo si trovano in ogni mestiere. Mi piacerebbe raccontarle le vessazioni che noi insegnanti subiamo ormai spogliati di ogni autorevolezza... di rado trovo genitori che con noi dialogano e con schiettezza chiedano in primis come va? Pochi si mettono in discussione e mi creda emergono sempre dissonanze all'interno della loro coppia... Mi creda c'è veramente una emergenza educativa: genitori infantili... ipercritici... wikipedia informati... o esageratamente disimpegnanti o altrettanto fobici e iper protettivi. Mi creda venga in classe... gestiamo DSA, BES ormai certificati come se fossero in offerta... rom... burocrazia... e sempre con entusiasmo e amore perché in questo mestiere ci deve essere amore e umiltà... Sono genitore anche io e so di sbagliare comunque, perché tra persone ci vogliono relazioni aperte e autentiche e i bambini sono Persone! Ci si aspettano bambini che conoscono l'aspetto relazionale, le norme civili di convivenza... ovvio, nel rispetto di ciascuno rispettando i tempi di ognuno... La prego dica ai genitori di rivedere il nostro aspetto che è anche educativo, ma che non può comunque perdere quell'aspetto asimmetrico doveroso perché loro vogliono anche regole e fermezza in un clima democratico certo🙂 e i genitori spesso scaricano responsabilità o si fanno avvocati dei loro figli...

Cari saluti e buon lavoro!

Francesca


Grazie Francesca, è vero tutto quello che dice. Lo so perché anche io ho lavorato nelle scuole come insegnante prima alla primaria poi alle secondarie di secondo grado. La capisco perfettamente, c'è bisogno di pedagogia.

Vessazioni a mamma e papà: l’abbandono delle Istituzioni scolastiche e mediche.


Uno dei compiti più difficili per me dal punto di vista emotivo è sostenere il dolore delle mamme ma spesso anche dei papà che vengono al mio studio spaventati che il loro bambino possa avere difficoltà scolastiche insuperabili.
Ho più volte detto che nell’equipe dei medici che fanno percorsi di accertamento clinico sulle difficoltà scolastiche degli studenti ci dovrebbe essere un pedagogista. Questo perché si occupa di valutazione didattica con competenza di metodo che gli permette di comprendere fino in fondo se il bambino ha le difficoltà certificate dal medico o se c’è una carenza da parte del docente nel trasmettere la conoscenza, che sembrerebbe nessuno metta mai in discussione. 
Il medico, basandosi esclusivamente su una valutazione genetica, neurologica e/o dei valori ematici, una volta scongiurati, dovrebbe dar spazio all’approccio didattico-relazionale di competenza del pedagogista, che di fatto però non avviene mai, creando così un vuoto valutativo fondamentale.
Ma oltre tutto questo, un’altra situazione sembrerebbe lasciata inascoltata da tutti gli interlocutori, ovvero, quello che provano i genitori. 

mercoledì 4 aprile 2018

Tiziana ti scrivo 12... Una bambina come le altre


Maestra Tiziana, grazie!
avevamo perso ogni speranza per nostra figlia e lei ce l’ha ridonata!
È stata dura, soprattutto seguirla nelle sue indicazioni. Non eravamo preparati ad essere genitori e abbiamo sbagliato tanto, ma ora siamo più forti, forse più capaci.
Di sicuro non eravamo capaci di insegnare a nostra figlia come studiare, forse non lo siamo ancora, ma io personalmente mi sento più serena. Romina adesso va da sola, è una ragazzina autonoma, ma la cosa che mi rincuora tanto è che se avesse ancora bisogno di lei, lei ci sarà. 
Romina ha pianto.

lunedì 26 marzo 2018

Perché si insulta. Paura o maleducazione? La pedagogista risponde.


Quando ci rivolgiamo a un professionista speriamo sempre che il suo lavoro sia fatto con coscienza e senza altri fini se non quello di dare una risposta onesta al nostro quesito. 
È anche vero però, che spesso ci aspettiamo da questi professionisti delle conferme sociali, più che personali, perché sapere che altre persone hanno il nostro stesso problema ci fa sentire meno soli. Ma è vero anche, che i professionisti agiscono secondo una realtà personalissima coltivata attraverso il loro percorso di vita, di studi e di esperienze professionali. 


Facciamo un esempio:

mercoledì 14 marzo 2018

I docenti che non uccidono fanno come le madri con i loro neonati


Dissi: «Ti devo ringraziare per non avermi lasciata!»
Uscii così dalla palestra dove avevo appena fatto una lezione di pilates, mentre le mie stesse parole continuavano a ronzarmi nella testa e mi portavano a pensare che alla nascita, se il bambino viene lasciato solo, non viene accudito, riscaldato e nutrito, muore. Diversamente dagli animali dove i cuccioli riescono a diventare indipendenti dopo pochissimi giorni o addirittura ore, il bambino non si può lasciare solo fino ad almeno 5 o 6 anni di età, in quanto non ce la farebbe a sopravvivere.
Ringraziai la docente di pilates, perché nonostante non amassi quel tipo di attività, lei, con il suo modo di fare, era riuscita a farmi tornare comunque a ogni lezione. Cosa c'entra la lezione di pilates con il bambino che lasciato solo muore? Ora ve lo spiego!

giovedì 8 marzo 2018

DSA e genetica: i biologi smentiscono. Ecco perché la genetica non è causa dei disturbi dell’apprendimento


Più di una volta nei miei articoli ho affermato che la genetica o la neurobiologia non c’entrano nulla con quelli che vengono chiamati disturbi dell’apprendimento, o meglio, non ne sono la causa. Ho più volte spiegato che sono arrivata a tali conclusioni grazie alla mia prassi pedagogica e agli studi che inevitabilmente mi hanno portata ad approfondire la psichiatria, la psicologia, la biologia e anche la genetica.
Le certificazioni dei bambini che vengono al mio studio, rilasciate dalle strutture mediche competenti, mi hanno spinta ad una ricerca sul perché, dopo la diagnosi medica, frequentando le mie lezioni, quei bambini stessi compensano le carenze e recuperano le attività scolastiche. 

Gli studi di approfondimento mi hanno portata così a comprendere scientificamente ciò che intuitivamente come pedagogista avevo considerato adottando una prassi pedagogica e didattica specifica. Da qui parto, riportandovi alcune delle motivazioni scientifiche biologiche, che mi hanno permesso di affermare come i disturbi dell’apprendimento non possono avere origini genetiche. Altre motivazioni saranno riportate in successivi articoli.

Partiamo da una considerazione. Siamo per cultura motivati a pensare che i nostri problemi di salute siano attribuibili all’inefficienza dei nostri meccanismi biochimici. Questo perché gli studi scientifici che più ci hanno influenzato come ad esempio quelli di Darwin (1809-1882), sostenevano la “lotta per l’esistenza”, ovvero il più forte sarebbe sopravvissuto a scapito del più debole, andando ad incentivare così l’idea di mal funzionamenti del corpo provenienti dall’interno, e annullando volutamente la possibilità di quanto fu invece teorizzato da Lamarck (1744-1829), il quale sosteneva che l’evoluzione dell’uomo si basasse su “un’interazione istruttiva e cooperativa tra gli organismi e il loro ambiente, che consentirebbe alle forme viventi di sopravvivere ed evolvere in modo dinamico”. Teoria quest’ultima subito attaccata dalla Chiesa: a quei tempi, il concetto che gli esseri umani si fossero evoluti da forme di vita inferiori venne denunciata come eresia e Lamarck venne stigmatizzato anche dai suoi colleghi che misero in ridicolo le sue teorie, impedendo così una ricerca che oggi ha ampiamente dimostrato la veridicità delle sue affermazioni.

lunedì 26 febbraio 2018

Gli psicologi ritrattano: abbiamo sbagliato a valutare i DSA


È da qualche giorno che sul web esperti in psicologia stanno ritrattando il loro punto di vista sui problemi dell’apprendimento. Uno di questi è il Dr. Giacomo Stella che non si limita ad affermare di aver causato un’epidemia dei disturbi dell’apprendimento, ma va oltre: dichiara che i professionisti dell’educazione (ovvero i pedagogisti) si stanno sottraendo ai loro compiti e soprattutto alla didattica dando vita ai disturbi dell’apprendimento. Eludendo però il fatto che le certificazioni sono fatte da loro e non certo dai pedagogisti!
Di seguito uno stralcio preso dal mio libro Bambini senza DSA: una realtà possibile! che mette in evidenza quanto affermato da Stella nel suo libro Dislessia a contrasto di quanto va affermando nelle recenti pubblicazioni.

In libreria comprai il libro sulla dislessia dello psicologo Giacomo Stella,  considerato dal mondo scolastico e dal web emerito esperto di dislessia e fondatore dell’Associazione Italiana Dislessici. Quindi comprai quel libro pensando che mi avrebbe spiegato tutto quello che c’era da sapere.
Leggendo il suo libro però scoprii che aveva omesso tantissime componenti psicologiche fondamentali per la diagnosi di certe difficoltà cognitive e tantissimi studi di settore che dichiarano il contrario di quello che lui afferma nel libro.»    
«Ma per capire questo come ci sei arrivata?»


venerdì 9 febbraio 2018

Rivelato perché le prove INVALSI distruggono la scuola


La scuola è un modo per assolvere all’obbligo dell’istruzione. Badate, non all’obbligo di andare a scuola (frequentare la scuola non è un obbligo costituzionale), ma serve ad assolve all’obbligatorietà di istruire i nostri figli. E sì, perché la scuola dovrebbe onorare al meraviglioso compito di dare formazione e istruzione ai nostri bambini. Ultimamente però, ci sono sempre più famiglie che decidono di istruire personalmente i propri figli e devo dire che dopo tutto quello che mi raccontano i genitori, dopo la mia esperienza come docente in scuole pubbliche e private superiori ed inferiori, li capisco perfettamente.
La scuola degli ultimi anni è diventata un competitivo gioco a quiz da conquistare e non più una realtà per formare menti pensanti.

lunedì 5 febbraio 2018

Valutazioni scolastiche inadeguate e inopportune. Cosa rallenta l’apprendimento dei bambini

Quando i nostri figli hanno delle difficoltà scolastiche e la scuola ci suggerisce di farli valutare per presunta dislessia, discalculia, disgrafia, disortografia, il più delle volte ci si affida al professionista tramite il servizio sanitario pubblico o privato.
Tale diagnosi spesso è limitata alla valutazione dell’apprendimento che il bambino o la bambina hanno sviluppato fino a quel momento. Ovvero vengono sottoposti a test che servono per misurare se, nelle varie attività scolastiche, il piccolo rientra in una media statistica. Questi accertamenti però non hanno un valore medico-scientifico che possa realmente indicare le motivazioni e le cause di tale “ritardo” o difficoltà, né tantomeno possono stabilire come un bambino, se stimolato diversamente e adeguatamente — rispetto a quanto fatto fino a quel momento —, possa migliorare. Ciò accade perché chi effettua queste valutazioni dà per scontato che la difficoltà di apprendimento sia legata a problemi neurologici o genetici.

venerdì 12 gennaio 2018

Come (non) imparano i bambini!

I genitori lo sanno: con tanta attesa e molti tentativi.
Ricorderete sicuramente quante volte avete provato a suggerire ai vostri bambini di pochi mesi la parola “mamma o papà” nella speranza che un balbettio somigliante potesse uscire dalla sua bocca. O più tardi quando una volta con la stazione eretta avete provato a lasciarlo nella speranza che camminasse da solo.
In tutti questi tentativi ripetuti all’infinito sarebbe folle pensare di sostituire quelle prove con metodi coercitivi o addirittura sostitutivi, sempre se riusciate a trovarne uno.
Quindi il bambino cresce per prove e tentativi sul quel gesto, quella parola, quell’azione, quella circostanza. Cresce sicuramente più facilmente se dietro a quel sostegno c’è anche la parola dolce, il sorriso, l’affettività dell’adulto significativo.

martedì 9 gennaio 2018

Cosa manca ai professionisti

Erano anni che non mi allettavo come questo fine 2017. Ho cominciato a metà dicembre con vertigini e nausea, poi sono andata a star meglio fino a quando non è giunta anche l’influenza che mi ha tenuto compagnia con tutti i postumi fino a dopo Capodanno. Nel frattempo a livello politico c’è stata una svolta epocale per la mia professione (riconoscimento del ruolo dei Pedagogisti e degli Educatori) con la Legge 205/2017 che, lo ammetto, solo negli ultimi giorni riesco a prenderne pienamente atto e a riconoscermi la portata di quanto andavo aspettando da anni insieme a tantissimi altri professionisti come me.


Nel frattempo così, tra una dormita di troppo e un mal di testa ho potuto riflettere sul discorso della professionalità che la legge riconosce a determinate categorie di laureati. Nel nostro caso la Legge 205/2017 dichiara che per svolgere un certo tipo di lavoro devi essere qualificata possedendo una determinata istruzione, ovvero un pezzo di carta, un titolo che ti rende “abilitato”.


Ed ecco che uno pensa che un’influenza sia solo un’influenza e che disturba il quotidiano e che devi solo rassegnarti e aspettare che tutto passi. Ma per le mie a volte fastidiose elucubrazioni sui perché e sui percome della vita e del lavoro, ammetto che è servita anche questa esperienza quasi (fortunatamente) da troppo tempo dimenticata.
Come era ovvio che fosse gli ingordi del mondo del web non ci hanno pensato due volte a farsi sentire con tutte le cattiverie del caso anche per quanto riguarda il riconoscimento del nostro ruolo: va bene poverini, altrimenti perdono l’abitudine! Ma in qualche modo mi hanno fatto riflettere e in virtù di questo vorrei condividere con voi questa riflessione che non ci dovrebbe mai permettere di abbassare la guardia quando facciamo riferimento a un professionista.

lunedì 8 gennaio 2018

L’allattamento attraverso il corpo e la mente

La pedagogia è complessa. L’ho scoperto studiando e lavorando nel settore. È proprio per questo motivo che oggi voglio approfondire una questione prettamente pedagogica che tocca qualcosa di umano, di intimo, qualcosa di personale, che abbraccia un aspetto molto importante per le neomamme: l’allattamento.
L’allattamento costituisce un momento di vitale importanza per la relazione interpersonale tra madre e figlio. Esso rappresenta il primo nutrimento per il bambino in quanto possiede una composizione inimitabile, specifica, ideale per le sue esigenze nutritive e di sviluppo. Nel latte materno sono presenti