venerdì 22 dicembre 2017

I nostri figli salvati da Pedagogisti ed Educatori

Mercoledì 20 è stata una giornata speciale. Uscivo da una situazione di malessere con nausea e vertigini importanti e per la prima volta dopo cinque giorni mi rimettevo al computer.
Fino a quel giorno avevo sperato, ma non mi ero illusa. Poi mi accorsi che il collega Alessandro Prisciandaro, alle sette della mattina, aveva postato quanto pedagogisti ed educatori andavano sperando da diversi anni: il riconoscimento del nostro titolo accademico e delle professioni da noi svolte era diventato legge! Esultai da sola davanti al computer; la mia cagnolina mi guardò interrogativa, poi anche lei cominciò a scodinzolare come se avesse percepito il mio cambio di umore, il mio entusiasmo.


Come pedagogista lotto da tanti anni per riaffermare l’idea che i bambini nascono sani, mentre il mondo adulto poi li distrugge attribuendogli qualche disturbo dell’apprendimento, che io preferisco definire difficoltà scolastiche. Lotto contro gli insegnanti spesso incompetenti e indottrinati a far diagnosi di disturbi dell’apprendimento, completamente allo sbando su cosa sia e come si debba affrontare un lavoro didattico e formativo con bambini che devono poter crescere in serenità, con le proprie attitudini e con i propri tempi, in epoche che cambiano in modo vertiginoso costringendo i bambini a fare i conti con genitori vecchio stampo, docenti impreparati, non al passo con i tempi, arretrati nella didattica e incapaci di cooperazione, sensibilità, integrazione, problem solving.

venerdì 1 dicembre 2017

L'aggressività rabbiosa sintomo delle nostre frustrazioni

Ieri ad una collega di lavoro che mi chiedeva come riuscissi a sopportare gli insulti sul web ho risposto che mi limito a non leggerli. E quando mi capita di farlo rispondo sempre con gentilezza perché credo sia fondamentale non scendere a certi livelli di conversazione, ma soprattutto perché se vogliamo migliorare la società dobbiamo partire dal nostro meraviglioso mestiere: quello di Pedagogiste. E credo proprio che i pedagogisti, per far crescere nel migliore dei modi le nuove generazioni hanno compreso, anche attraverso il percorso di studi, che il miglior metodo possibile per far sì che una persona diventi in un certo modo, è quello di essere ciò che si è e non ciò che si dice. Pertanto “noi non offendiamo!”
Forse però, avete ragione, non è così semplice.
Si sa che le persone sono diverse una dall’altra, hanno idee diverse, opinioni e gusti diversi. 
E così insegno ai miei bambini che bisogna accettare e rispettare la diversità; che deve essere lecito e legittimo pensarla diversamente e che in virtù di questo, nessuno deve farci coercizioni di sorta o pressioni affinché il nostro modo di pensare o di fare cambi se noi non lo vogliamo.

mercoledì 15 novembre 2017

DSA: diagnosi e certificazioni senza metodo scientifico. Lettera aperta alle Ministre Lorenzin e Fedeli

Valeria Fedeli (valeria.fedeli@senato.it)
Beatrice Lorenzin (segreteriaministro@sanita.it)

Gentili Ministre Lorenzin e Fedeli, mi chiamo Tiziana Cristofari e sono una pedagogista. Vi scrivo perché credo sia opportuno intervenire urgentemente su quanto sta accadendo nelle scuole.
Partiamo dalla definizione di diagnosi e certificazione. Dunque Ministra Lorenzin, gli esperti dicono che la diagnosi non è necessariamente la certificazione. Fanno questa distinzione spiegando che diagnosticare (ovvero procedere ad accertamenti clinici) non si intende certificare (ovvero dichiarare per iscritto che si è accertata la diagnosi). Ma per usufruire di un PDP (Piano Didattico Personalizzato) o un PEI (Piano Educativo Individuale) di cui la scuola fa richiesta alla prima difficoltà della bambina — spesso con pretesa —, è necessaria la certificazione.
Ministra Fedeli, mi viene da pensare quindi, che anche l’insegnante richiedente la certificazione fa diagnosi. Dico questo perché la ASL (o l’ospedale o altro ente accreditato a farlo), che si adopera per un percorso di accertamento sul disturbo specifico dell’apprendimento, nel 99% dei casi rilascia poi una certificazione. Perché un docente quando richiede un accertamento ha 99% di probabilità che effettivamente tale accertamento venga sottoscritto? Si presuppone che, o gli insegnanti sono oramai “talmente formati” sui disturbi dell’apprendimento che potrebbero andare a fare i medici, oppure i medici dovrebbero cambiare mestiere.
Ma la risposta penso sia più semplice.

venerdì 3 novembre 2017

Ecco la novità che mi avete chiesto! Una home schooling? Una scuola senza zaino? Una scuola nei boschi? Una scuola democratica? Una scuola come quelle del nord Europa? No, unicamente la Home Teacher like at School!

È da diverso tempo che ci penso, anzi, che mi fate pensare.
Poi ieri sono andata dal parrucchiere, ho cambiato acconciatura e ho sentito che era giunto il momento di partire.
No, non voglio andare via dall’Italia, anche se la tentazione è forte, voglio partire con un nuovo progetto che mi permetterà di mettere insieme i pezzi che ho già in mano. Avrei voluto farlo in modo più dirompente, più in grande, per molti bambini: allora in un primo momento mi sono rivolta a vari imprenditori, fondazioni, finanziatori e tutti coloro che pensavo mi potessero sostenere, ma ho trovato un rumorosissimo silenzio (l’Italia è così, se non sei nessuno politicamente o socialmente, intorno a te c’è solo silenzio, anche e soprattutto se ciò che affermi esce dagli schemi imposti dalla stessa politica ed economia, oltre che dal clientelismo). 

lunedì 30 ottobre 2017

Bambini senza DSA: una realtà possibile!


In una società del tutto e subito, dove la cultura umanistica è stata svuotata della sua bellezza e del suo straordinario valore educativo e formativo, dove la medicalizzazione invade in modo scriteriato le scuole, dove le famiglie – già in crisi – vivono l’abbandono e la solitudine, il libro della pedagogista Tiziana Cristofari rappresenta un atto di coraggio, il coraggio della «parresìa, ossia del principio del dire il vero, senza vergogna e senza timore, del dire il vero senza limiti» (M. Foucault, Il coraggio della verità, Milano 2016).


È un intento etico il suo che rimanda al principio della Crescita autentica, quella pedagogica dell’educére, del tirar fuori da ciascuno il talento unico e prezioso di cui è portatore, e considera un dovere di ogni adulto educante permettere tutto ciò. La Cristofari ci ricorda che per raggiungere questa finalità occorrono qualità morali, capacità empatica, competenze comunicative e relazionali, competenza ermeneutica, buona didattica. Quest’ultima infatti è un’autorevole disciplina di studio e oggetto di ricerca della metodologia e della pedagogia verso la quale eminenti studiosi hanno rivolto interesse e realizzato ricerche ponderose. Tuttavia, oggi come oggi, il rischio che si corre è l’applicazione di un’arida e spesso tecnicistica didattica, di un retorico pedagogismo, della propensione alla delega educativa.


   La pedagogista Tiziana Cristofari, con un linguaggio chiaro e spontaneo che nasce da una solida esperienza professionale e dalla passione pedagogica, sottolinea le evidenti problematicità socioculturali di oggi che penalizzano inesorabilmente bambini e famiglie, e invita necessariamente alla riflessione, alla sensibilizzazione, all’assunzione di responsabilità che sole possono consentire di aprire alla complessità, alla pluralità di senso dell’esperienza umana che vanno oltre l’apparenza, oltre le diagnosi, per liberarsi così dall’invadente processo di medicalizzazione in atto. Il suo libro insomma costringe a sospendere il giudizio aprioristicamente, e restituisce dignità e valore a ciascun individuo che si affida a un mondo adulto per crescere ed esprimere vitalità, creatività, autonomia e pensiero critico; costringe a consegnare alla Pedagogia il ruolo di scienza dell’Educazione e della Formazione; costringe a... pensare, semplicemente a pensare dopo aver smosso gli animi.

Dr.ssa Luisa Piarulli
Ex Presidente ANPE (Associazione Nazionale Pedagogisti)

Il libro è reperibile scontato
attraverso il nostro sito
o su AMAZON 

Un titolo e un contenuto sicuramente contro tendenza, dato che libri e manuali sull’argomento parlano solo di come riconoscere i disturbi dell'apprendimento e quali sono gli strumenti dispensativi e/o compensativi per sostenere una realtà che, secondo la maggioranza della comunità scientifica, non ha soluzione in quanto i disturbi sarebbero causati da fattori genetici o neurobiologici.
Nel mio libro affronto scientificamente tutti questi argomenti e li smonto uno per uno dimostrando come sia improbabile quanto viene affermato. Ma soprattutto spiegando perché la comunità scientifica non ha ancora compreso o voluto comprendere, che questi “disturbi” mettono radici lì dove la scuola e la famiglia crescono figli e studenti senza una pedagogia adeguata.


Descrizione del libro. È intelligentissimo, ma il maestro mi dice che non ascolta. Legge stentatamente e la maestra mi ha detto che potrebbe essere dislessica. Non ricorda le tabelline e mi hanno detto che potrebbe essere discalculico. Mi hanno consigliato il logopedista. Mi hanno detto che dovrei portare mia glia a fare una visita dalla neuropsichiatra infantile. Poi ho letto un suo articolo... Poi cercando su internet il significato di queste parole mi sono imbattuta nel suo sito... È con le stesse parole che un papà arriva da una pedagogista che ha trovato la soluzione ai disturbi specifici dell’apprendimento. Inizialmente scettico, ma speranzoso - perché sua figlia, presunta dislessica, ha difficoltà relazionali con lui e un calo del rendimento scolastico -, s’imbatte in un’avventura scientifica, realistica e umana senza precedenti. Andrà alla scoperta del pensiero di medici e pedagogisti di fama mondiale che gli spiegheranno perché quello che comunemente si racconta sui disturbi dell’apprendimento non è realistico, trovandosi così involontariamente alla ricerca di una conoscenza genetica, neurobiologica, psicologica e soprattutto pedagogica di cui era profondamente allo scuro come del resto buona parte della comunità scientifica ed educativa. Riuscirà in questo modo a capire come nascono, come si prevengono e come si superano i disturbi dell’apprendimento. Ma soprattutto imparerà come è possibile evitarli con l’applicazione di una scienza che nel tempo è stata annullata dalla politica e negata nella formazione dei nuovi docenti: la scienza pedagogica.
Oggi il 25% dei bambini di una classe viene diagnosticato con un disturbo dell’apprendimento. Dicono che il problema è genetico o neurobiologico e per questo non si può far nulla se non dispensare e/o compensare. E se così non fosse?

La dottoressa Tiziana Cristofari pedagogista e docente, con l’aiuto tratto da teorie e prassi di eminenti e riconosciuti studiosi in pedagogia, psicologia e psichiatria - tra i quali Giovanni Genovesi, Shinichi Suzuki, Howard Gardner, Lev Semënovič Vygotskij, Massimo Fagioli -, ha dimostrato come sia ampiamente improbabile che i disturbi specifici dell’apprendimento abbiano origine genetica o neurobiologica e come invece siano il frutto dell’assenza totale di pedagogia scolastica e familiare. 

Codice ISBN: 9791220015424
Il libro è reperibile sul nostro sito scontato cliccando qui 

o su Amazon cliccando qui

Ma se non hai voglia di leggere

Segui i corsi della Dr. Tiziana Cristofari, ti spiegherà come nascono, si prevengono e si superano i Disturbi Specifici dell'Apprendimento (DSA)
Per saperne di più clicca qui

Home Teacher like at School
(Insegnante di casa come a scuola)
Per saperne di più clicca qui



lunedì 23 ottobre 2017

Bambini trattati come automi: lettera aperta alla Ministra dell'Istruzione Valeria Fedeli

Gentile Ministra Valeria Fedeli, mi chiamo Tiziana Cristofari e sono una pedagogista-insegnante. Non so se Lei ha mai avuto modo di leggere i libri dei pedagogisti Aldo Visalberghi, Francesco De Bartolomeis o Giovanni Genovesi o, andando più indietro nel tempo, di Maria Montessori. O se trovando il momento per approfondire altre letture ha avuto modo di conoscere autori meravigliosi come John Dewey o Edgar Morin, tutti impegnanti in una ricerca scientifica pedagogica sul miglioramento delle qualità fisiche-intellettuali-morali-comunicative dell’essere umano. Uomini e donne che hanno tentato con i loro studi di rendere sempre migliore la realtà individuale di ogni studente nella relazione con il docente, nonché nell’ambiente di apprendimento attraverso lo studio del metodo, della didattica e quindi della cultura scientifica per eccellenza denominata appunto Pedagogia.
Suppongo Signora Ministra che tutto ciò Lei lo conosca bene, dato il ruolo di primaria importanza che ricopre nel settore educativo. Se così è, comprenderà l’importanza in ambito scolastico della pedagogia, ovvero della teoria e prassi che l’insegnante dovrebbe conoscere e usare per la formazione non solo nozionistica dei bambini, delle bambine e degli adolescenti, ma anche perché possano viversi degnamente la propria umanità e la propria personale unicità nella formazione. 
Ma ahimè tutti sappiamo bene quanto la conoscenza e l’uso della pedagogia sia carente nel programma del percorso accademico dei docenti prima e nella prassi poi (dove purtroppo anche la nuova legge sulla Buona scuola e i suoi successivi decreti, non ne compensano minimamente la carenza), e soprattutto quanto inaccettabile sia il fatto che nelle scuole, la figura per eccellenza ovvero quella del professionista in Pedagogia, sia completamente assente e quella di educatore ancora troppo facilmente bypassata.

domenica 24 settembre 2017

Cosa sono i centri DSA? Posti da valutare attentamente

Mi capita spesso che arrivano da me genitori scappati dai “centri DSA e BES” che gli hanno fatto spendere tanti soldi senza alcun risultato oggettivo per l’andamento scolastico del proprio figlio.
Certo, il fenomeno “disturbo dell’apprendimento” diventato un’epidemia ha creato i “centri DSA”, ovvero studi polifunzionali con psicologo, neuropsichiatra, logopedisti, pronti a certificare e “curare” ciò che non esiste.

È semplice, se si tenta di far passare un mal di stomaco da stress facendo endoscopie che non riveleranno nulla e dando semplicemente farmaci per la gastrite, come si sospende il farmaco il mal di stomaco ritorna, a meno che nel frattempo non si sia superato lo stress causa del mal di stomaco. Questo però oramai lo sanno un po’ tutti ed è accettato dalla collettività. C’è chi sostiene addirittura che lo stomaco, come l’intestino sia una seconda mente perché su di esso si canalizzano le tensioni della vita di tutti i giorni portando la stitichezza da stress o appunto, il mal di stomaco. Così anche per la stitichezza hanno inventato tanti bei lassativi, ma non sono riusciti a creare la pillola della “vita senza stress” che avrebbe risolto il problema una volta per tutte. Stress, farmaci, e poi ancora farmaci e altrettanto stress. Tanto che, vista la bella fetta di mercato sull’adulto che in ambito farmacologico porta a enormi guadagni, perché non puntare un po’ all’altra fascia d’età, quella della prima infanzia e dell’adolescenza? Poi ci mettiamo anche il fatto che siccome il “disturbo” dell’apprendimento non si cura, per anni possiamo fare psicoterapia, logopedia, ora va di moda psicomotricità e via cantando…

domenica 17 settembre 2017

Ecco le cause per cui i vostri figli vanno male a scuola

Vi ricordate quando gli insegnanti dicevano:
  • è intelligente ma non si applica; 
  • potrebbe fare di più ma è spesso distratto;
  • non ascolta quello che dico e quindi poi non sa cosa deve fare;
  • fa molti errori di grammatica, dovrebbe esercitarsi di più;
  • non legge ancora bene, dovrebbe leggere di più;
  • non ha voglia di studiare;
  • scrive male, dovrebbe fare più esercizio con le righe giuste e nei quadretti grandi;
  • deve studiare di più le tabelline perché ancora non le conosce bene;
  • non ragiona è sempre con la testa fra le nuvole altrimenti sarebbe bravissimo;
Oggi dicono:
  • non si applica, potrebbe avere qualche difficoltà cognitiva;
  • si distrae continuamente e non presta attenzione a ciò che dico, potrebbe avere l’ADHD;
  • fa molti errori di grammatica, potrebbe essere disortografica;
  • scrive male, potrebbe essere disgrafico;
  • non sa le tabelline potrebbe essere discalculico;
  • legge stentatamente, potrebbe essere dislessica.

martedì 12 settembre 2017

Ecco come ho risolto un problema di dislessia

I bambini si sa, credono molto in ciò che gli adulti dicono, soprattutto se sono i propri genitori.
Quello che non si sa è che un bambino, a volte, riesce a costruire il suo bisogno di affettività e attenzioni su una problematica scolastica (DSA) a lui conosciuta e su cui il mondo adulto rivolge l’attenzione. E il piccolo, scoprendo il piacere delle attenzioni si autoconvince che quella difficoltà momentanea nell’apprendimento, superabile, deve essere esattamente come gli adulti dicono che è. È chiaro che per lui il ragionamento non è cosciente, è una spinta, un impulso a costruire il suo pensiero in un certo modo perché gli fa più comodo, ma confermando così quanto vanno dicendo della sua capacità di apprendimento.

Mi spiego meglio.

Vi ricordate le letterine scambiate nella lettura o nella scrittura (D con T, S con F, A con E e via cantando?), fatte passare dalla comunità scientifica come problemi di dislessia? Bene vi racconto un fatto  uno dei tanti che mi sono capitati  di questo “disturbo dell’apprendimento” che uomini di scienza, medici neuropsichiatri, biologi genetisti, logopedisti e docenti poco formati ululano alla genetica e a qualche malformazione neurologica. Senza ovviamente avere alcun confronto con chi conosce formazione e didattica in modo ottimale.

Rosita (il nome è di fantasia) era una bambina che frequentava la seconda classe della primaria… oggi fa la quarta, ma non viene più al mio studio; le bastarono 4 mesi, e per “magia” i neuroni capricciosi e il gene depresso hanno deciso di andare a far visita a un altro malcapitato.

sabato 9 settembre 2017

Insegnanti: professione o vocazione? L'errore del nostro pensiero…

Sembra proprio, in questo inizio di anno scolastico 2017/18, che vada di moda una certa competizione tra chi dichiara che per fare l’insegnante bisogna avere una “vocazione” e chi invece sostiene essere una “professione”.
La Ministra Valeria Fedeli sostiene che la vocazione non serve e che si parla di professioni. Dirigenti scolastici sostengono che la vocazione è tutto, perché bisogna fare questo lavoro con passione e sentimento, dato che si ha a che fare con esseri umani piccoli.

Allora mi domando.

E i grandi non hanno diritto a usufruire di professionisti capaci di svolgere il loro mestiere con passione e sentimento?

giovedì 31 agosto 2017

Per fare un buon inserimento al nido...

di Annalisa Falcone
Settembre è il capodanno scolastico: un periodo di inizi per piccoli e grandi.
Per questo vi presento piccole ma importanti strategie per gestire serenamente l’inserimento dei vostri pargoli, frutto dei miei anni di lavoro negli asili nido.
Spero vivamente possano esservi utili e che tutti voi possiate trasformare questo distacco in una splendida opportunità di crescita personale e genitoriale.
Buon inserimento!
  1. Parlate con le educatrici. Chiedete alla struttura di poter avere un colloquio preliminare con le insegnanti durante il quale vi informerete sugli orari, i ritmi, le attività e chiedete informazioni sull’educatrice che vi accompagnerà durante l’inserimento, per riportare al/alla bambino/a informazioni certe. Raccontate alle educatrici del vostro piccolino, le sue caratteristiche, le sue abitudini e cosa gli piace.
  2. Raccontagli/le che andrà al nido. È importante raccontare al/alla bambino/a, anche se ha solo 5-6 mesi, la grande novità che lo aspetta. Può esser fatto sotto forma di racconto, anticipando le esperienze che farà. Si può portare il bambino davanti al nido e spiegargli che quella è la sua seconda casetta dove andrà fra poco. Queste azioni predispongono la mente del piccolo ad affrontare la nuova esperienza e inoltre aiuta genitori e figlio/a a integrare il cambiamento.
  3. Controlla le tue emozioni. I bambini hanno una capacità davvero elevata di comprendere gli stati emotivi dei propri genitori. Per questo è fondamentale raccontare della nuova esperienza in modo positivo, senza trasmettere ansie e possibili timori. L’ingresso all’asilo nido rappresenta il primo distacco e questo carica notevolmente a livello emotivo questo tipo di evento. Non è facile ma è necessario trasmettergli fiducia verso questo piccola grande avventura.
  4. Esplora lo spazio con il bambino durante le giornate di compresenza con le educatrici al nido. Fategli conoscere ogni angolo della struttura, mostrando entusiasmo e contentezza per i giochi presenti e la presenza di altri bambini.
  5. Costruisci un rituale speciale che gli anticipi l’esperienza e lo rassicuri allo stesso tempo. Come ad esempio preparare insieme lo zainetto con tutto il necessario, mettendoci anche il suo oggetto preferito che gli infondi sicurezza. Insomma, un piccolo rito da ripetere tutte le mattine prima di andare in asilo che gli offra rassicurazione e senso di cura.
  6. Dai un richiamo temporale preciso, spiegargli/le in modo preciso ciò che sta accadendo, ad esempio una affermazione come “La mamma deve andare via, ma torna a prenderti dopo la merenda.”, contribuisce a rassicurarli. È importante legare il tempo a una situazione nota al bimbo. “Il papà deve andare a lavorare ma ti vengo a prendere prima della nanna”. Il concetto “prima” e “dopo” è astratto e davvero complesso per i bambini, per questo bisogna dare dei riferimenti temporali a loro conosciuti. Questo anche con i più piccini: sapere che esiste un limite entro il quale accettare la separazione è per loro rassicurante. Dite loro che tornerete sempre a prenderlo:il richiamo al ritorno è essenziale, non stancatevi mai di ripeterlo. Inoltre, anche se difficile, è necessario salutare senza mostrarsi dubbiosi e Se percepirà l’insicurezza dei propri genitori, per il/la bambino/a sarà naturale non fidarsi delle sue educatrici e faticherà molto ad accettare la separazione.
  7. Crea una rete sociale. Un nuovo contesto apre numerose opportunità, fra cui conoscere e ampliare le vostre conoscenze. Entra in contatto con altri genitori, per condividere le esperienze positive e possibili ansie e paure. Parlate con loro di possibili cambiamenti importanti nel comportamento del/della vostro/a bambino/a. Espandere il vostro orizzonte sociale vi permetterà di condividere momenti importanti e delicati con qualcuno che sta passando la vostra stessa fase. Inoltre, sarà un’opportunità per mostrare ai vostri piccoli quanto aprirsi agli altri sia piacevole e utile.
  8. Rispetta i ritmi del/della tuo/a bimbo/a. Ogni persona ha tempistiche diverse e l’inserimento è un esperienza da fare gradualmente. Non ci sono schemi prestabiliti che decidono delle tempistiche corrette per tutti. Bisogna rispettare i tempi per permettere al/alla bambino/a di conoscere il nuovo ambiente, acquisire sicurezza, fidarsi delle sue educatrici ed entrare in sintonia con le sue nuove abitudini.
di Annalisa Falcone
Fonte: Diario di un'educatrice a Londra





Il libro è reperibile 
attraverso il web tramite il nostro sito con PAYPAL  
o tramite AMAZON 

Un titolo e un contenuto sicuramente contro tendenza, dato che libri e manuali sull’argomento parlano solo di come riconoscere i disturbi dell'apprendimento e quali sono gli strumenti dispensativi e/o compensativi per sostenere una realtà che, secondo la maggioranza della comunità scientifica, non ha soluzione in quanto i disturbi sarebbero causati da fattori genetici o neurobiologici.
Nel mio libro affronto scientificamente tutti questi argomenti e li smonto uno per uno dimostrando come sia improbabile quanto viene affermato. Ma soprattutto spiegando perché la comunità scientifica non ha ancora compreso o voluto comprendere, che questi “disturbi” mettono radici lì dove la scuola e la famiglia crescono figli e studenti senza una pedagogia adeguata.

Descrizione del libro. È intelligentissimo, ma il maestro mi dice che non ascolta. Legge stentatamente e la maestra mi ha detto che potrebbe essere dislessica. Non ricorda le tabelline e mi hanno detto che potrebbe essere discalculico. Mi hanno consigliato il logopedista. Mi hanno detto che dovrei portare mia figlia a fare una visita dalla neuropsichiatra infantile. Poi ho letto un suo articolo... Poi cercando su internet il significato di queste parole mi sono imbattuta nel suo sito... È con le stesse parole che un papà arriva da una pedagogista che ha trovato la soluzione ai disturbi specifici dell’apprendimento. Inizialmente scettico, ma speranzoso - perché sua figlia, presunta dislessica, ha difficoltà relazionali con lui e un calo del rendimento scolastico -, s’imbatte in un’avventura scientifica, realistica e umana senza precedenti. Andrà alla scoperta del pensiero di medici e pedagogisti di fama mondiale che gli spiegheranno perché quello che comunemente si racconta sui disturbi dell’apprendimento non è realistico, trovandosi così involontariamente alla ricerca di una conoscenza genetica, neurobiologica, psicologica e soprattutto pedagogica di cui era profondamente allo scuro come del resto buona parte della comunità scientifica ed educativa. Riuscirà in questo modo a capire come nascono, come si prevengono e come si superano i disturbi dell’apprendimento. Ma soprattutto imparerà come è possibile evitarli con l’applicazione di una scienza che nel tempo è stata annullata dalla politica e negata nella formazione dei nuovi docenti: la scienza pedagogica.
Oggi il 25% dei bambini di una classe viene diagnosticato con un disturbo dell’apprendimento. Dicono che il problema è genetico o neurobiologico e per questo non si può far nulla se non dispensare e/o compensare. E se così non fosse?
La dottoressa Tiziana Cristofari pedagogista e docente, con l’aiuto tratto da teorie e prassi di eminenti e riconosciuti studiosi in pedagogia, psicologia e psichiatria - tra i quali Giovanni Genovesi, Shinichi Suzuki, Howard Gardner, Lev Semënovič Vygotskij, Massimo Fagioli -, ha dimostrato come sia ampiamente improbabile che i disturbi specifici dell’apprendimento abbiano origine genetica o neurobiologica e come invece siano il frutto dell’assenza totale di pedagogia scolastica e familiare. 
Codice ISBN: 9791220015424
Il libro è reperibile sul nostro sito scontato cliccando qui 



o su Amazon cliccando qui

martedì 25 luglio 2017

La pedagogia rende visibile l'invisibile


Mi chiamo Veronica Venafra e sono una pedagogista.

Vorrei soffermare l’attenzione di tutti i lettori su una questione fondamentale: il diritto di “Imparare a pensare”. 
Questo diritto viene negato alle nuove generazioni non da oggi, ma fin da quando agli studenti venivano trasmessi solo determinati saperi a seconda delle esigenze economiche e politiche del paese, ovvero da sempre. Tuttavia gli insegnanti hanno un compito molto complesso, ossia quello di guidare gli alunni verso un pensare qualitativo, in grado di far emergere le proprie attitudini e competenze. 
Noi possiamo insegnare solo se permettiamo all’altro di essere libero di fare, di diventare, di esprimersi. Questa è pedagogia! Insieme a centinaia di metodi didattici per trasmettere il sapere, affinché il bambino lo faccia proprio e non resti una conoscenza passiva. Gli insegnanti invece, spesso si preoccupano troppo di concludere il programma didattico restando indifferenti alle richieste e alle esigenze degli alunni.

lunedì 26 giugno 2017

Don Milani disprezzava il divertimento.

Ultimamente Papa Francesco ha riabilitato Don Milani come “uno dei pochi e veri uomini che hanno saputo servire i poveri, il Vangelo e la Chiesa”. Lo riabilita in nome di una scuola sempre evidentemente più cattolica e privata, a scapito di quella laica e pubblica odiata da Don Milani come è ampiamente evidente nel suo famoso libro Lettera a una professoressa*. Ma questo libro non è l’unico suo scritto sulla scuola, ce ne sono altri che non hanno avuto lo stesso impatto ideologico di Lettera a una professoressa, ma che raccontano il suo, a mio giudizio, assurdo, coercitivo, caritatevole pensiero educativo che oggi molti pedagogisti ancora enfatizzano fino a negare la propria identità in nome di un personaggio che fa più discriminazioni pedagogiche di quante sostiene di condannare.

Da un estratto di Ore di straordinaria follia di Tiziana Cristofari*:

Adesso lo ritroviamo in un altro suo scritto Una lezione alla scuola di Barbina. Però, come vi accennavo, lo ritroviamo sì, ma con una sensazione di rammarico per quel sottile atteggiamento repressivo sull’attività ludica. Cosa successe?
In ‘Una lezione’ conversando con le studentesse, in riferimento alla necessità o meno, alla voglia o meno, alla motivazione o meno, del piacere di recarsi presso una sala da ballo, don Milani asserì che a ballare ci vanno coloro che non sanno cosa farne del tempo a disposizione e che, proprio coloro che non riescono a trovare altra occupazione più ‘intelligente’, sono da considerarsi addirittura delle persone ‘anormali’. Sentite un po' cosa riesce a dire:
Il divertimento serve soltanto a quelli che non riescono a riempire decentemente le ventiquattro ore della giornata. […] Anche a me pare molto giusto che un povero anormale, cui la vita pare troppo, che non ha ideali sufficienti per riempire le ore della sua giornata, alzi e abbassi dei cartoncini o i piedi sul pavimento, per divertirsi. Ma io il divertimento non l’ho mai cercato e non lo cerco. Mi vergognerei di ‘divertire’ la mia bella vita. Se una bambina alla vostra età non ha ancora deciso di riempire la propria vita rendendosi utile al prossimo, poverina!!! Ballonzoli allora in attesa che le venga da qualche parte l’ispirazione.

giovedì 22 giugno 2017

A scuola: pedagogia o psicologia?

A scuola: pedagogia o psicologia? Ecco perché le due discipline sono profondamente diverse, ma anche perché la pedagogia non può ignorare la psicologia.

Torno sull’argomento nel tentativo di chiarire ancora una volta le posizioni delle due discipline scientifiche quali la pedagogia e la psicologia.
La confusione nello svolgimento delle mansioni tra pedagogisti e psicologi fa sì che l’un l’altro si accusino di usurparsi il lavoro: il pedagogista dichiarando che lo psicologo vuole entrare a scuola e medicalizzare tutti i bambini, forse con ragione; lo psicologo dichiarando che il pedagogista si vuole occupare della mente dei bambini, mentre sarebbe un loro compito. In parte è vero, ma non del tutto. Vediamo perché.

mercoledì 14 giugno 2017

Docenti e genitori: una disputa continua. Quando la famiglia deve rimanere fuori dall’aula scolastica.

È una vecchia storia. 
Da anni oramai i docenti hanno perso il loro ruolo e i genitori hanno acquistato una certa prepotenza nei loro confronti. Ma non è neanche tutto vero. Con questa storia dei disturbi dell’apprendimento, i docenti spesso si sentono “preparati” a fare diagnosi e con piglio quasi autoritario pretendono che i genitori sottopongano i propri figli ad accertamenti diagnostici spesso deleteri per il rendimento scolastico di questi bambini. Insomma: insegnanti che non insegnano, genitori che non educano, queste sono i rinfacci che i primi rivolgono ai secondi e i secondi ai primi, come in un circolo vizioso da cui difficilmente se ne esce. Ma di chi è la colpa: dei primi o dei secondi?

lunedì 12 giugno 2017

CORSO: Figli, Studenti e DSA

Finalmente il corso tanto atteso da genitori e insegnanti per capire di più i Disturbi Specifici dell'Apprendimento! 
E non un corso per sapere come "valutare i bambini", ma per sapere come aiutarli a prevenire dislessia, disortografia, discalculia, ADHD ecc. ed eventualmente superarli 
con la consapevolezza e la conoscenza di come nascono
Noi adulti (genitori e insegnanti) siamo ciò che permetterà o meno a figli e studenti di avere un futuro sereno a scuola, ma solo se siamo consapevoli di ciò che facciamo e di come lo facciamo.


Non è più possibile ignorare la nuova frontiera psicologica con la conoscenza della teoria e prassi dello straordinario psichiatra Massimo Fagioli, né con la conoscenza e la prassi della 
Pedagogia Dinamica della Dr.ssa Tiziana Cristofari 
(teorie e prassi entrambe ampiamente discusse nel corso).
Un corso che affronterà con motivazioni scientifiche perché il DSA non è di origini genetiche, né neurobiologiche. 
Un corso per chi vuole capirne veramente di più: genitori, insegnanti, pedagogisti, educatori, psicologi, logopedisti ecc.
A tutti i partecipanti sarà dato in omaggio il libro della Dr.ssa Tiziana Cristofari Bambini senza DSA: una realtà possibile! e un attestato di partecipazione dello Studio di Consulenza Pedagogica Figli Meravigliosi 

Per saperne di più sul corso clicca qui

mercoledì 7 giugno 2017

Ecco cosa manca ai nostri insegnanti per diventare migliori

Mi chiamo Tiziana Cristofari e sono una pedagogista e insegnante.
A soli 6 anni già dicevo di voler fare l’insegnante, a circa venticinque anni, durante il percorso universitario, capii che per fare l’insegnante avrei dovuto realizzare un’identità professionale adeguata, perché conoscere la materia da impartire non mi sarebbe bastato, dovevo diventare un’esperta dei processi formativi, perché a un bambino/ragazzo in formazione non gli serve solo la conoscenza di specifiche materie, ma gli serve soprattutto imparare a pensare.

Perché riempire la testa di nozioni dei nostri studenti è facile: basta conoscere la materia di insegnamento e trasferire un certo quantitativo di saperi. Ma questo non è insegnare! Io posso insegnare solo se permetto all’altro di imparare con la propria testa, la propria capacità, il proprio modo di fare, il proprio modo di apprendere… e questa è pedagogia. Pertanto, insegnare senza conoscere la pedagogia, non è insegnare, è solo trasferire un sapere come fanno le guide turistiche, come fanno gli allenatori sportivi, come fanno i datori di lavoro quando passano i concetti e i contenuti al nuovo lavoratore dell’azienda. Ma la scuola non è questo! Non è un’azienda! La scuola deve far crescere persone capaci di pensare, non riproduttori di concetti e cose come fossero su una catena di montaggio. Ma tant’è che la società questo fa! La scuola questo impartisce! Non insegna a crescere, perché insegnare a crescere è qualcosa di più, molto di più.

venerdì 26 maggio 2017

Mamma... maestra, permettetemi di sbagliare


Più volte la Montessori ha scritto nelle sue relazioni sulla pedagogia che i bambini chiedono “permettimi di fare da solo”. Il metodo Montessori è incentrato su questo riconoscimento delle potenzialità del bambino non solo perché può, ma anche per crescere indipendente.
Nonostante questo proposito sia, a mio avviso, un imperativo del riconoscimento delle capacità insite nel bambino e che andrebbe attuato sempre, nelle scuole e nella realtà familiare non viene quasi mai applicato, anzi si imbocca il bambino anche quando ha già imparato a mangiare da solo. Anche quando sa e può fare, spesso genitori e insegnanti lo trattano come un impedito, come un “essere” che non può, non sa, non è.
E invece il bambino è, può e sa fare tutto quello che è tipico della sua età, basterebbe che gli permettessimo di dimostrarcelo! Ma mi spiego meglio.

giovedì 18 maggio 2017

Cos'è l'ADHD e come si supera

COS’E’ L’ADHD?

Innanzitutto comincerei col dire che la cosiddetta ADHD ovvero la sindrome da iperattività e deficit dell’attenzione non è una patologia genetica, né di natura neurobiologica (in assenza di lesioni organiche), ma semmai il bambino avesse una qualche difficoltà a mantenere la calma e la concentrazione può essere al limite un problema psicologico, ovvero legato all’ambiente affettivo ed emotivo circostante.
Come pedagogista, mi occupo di formazione sia sul piano pedagogico che didattico, ma non certo di cura psicologica. Qualcuno quindi mi potrebbe obiettare di non poter affermare che il problema non sia genetico o neurobiologico, in quanto non sono né medico né psicologa. 


COME FACCIO ALLORA AD AFFERMARE CHE L’ADHD NON HA NE’ NATURA GENETICA, NE’ NEUROBIOLOGICA?

mercoledì 10 maggio 2017

L’indifferenza dell’adulto crea i disturbi dell’apprendimento

La parola è interesse nei confronti del rapporto umano, interesse per la realizzazione dell’altro. Comincia tutto da qui, dall’interesse che ho provato e provo per i miei studenti e per la loro realizzazione individuale.
Poi viene l’affettività che è un segno evidente dell’interesse.
Mi sono chiesta se un insegnante potesse avere interesse per tutti, ma proprio tutti i suoi studenti. E la risposta è sì. Lo può avere. Anzi no, lo deve avere. Perché quell’interesse, quell’affettività umana fa la differenza tra chi apprende e chi potrebbe sviluppare delle difficoltà.

venerdì 28 aprile 2017

Ecco 2 grossi errori degli adulti quando “insegnano” ai bambini a leggere e far di conto


Partendo dalla convinzione che i cosiddetti disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, discalculia, disortografia, ADHD) sono superabili — fatta eccezione per percentuali bassissime e per specifiche patologie quali ad esempio l’autismo su base genetica, ma non ad esempio su quello psicogeno, ovvero su base epigenetica —, e tenuto conto di quanto la pedagogia può fare con la didattica e una corretta relazione pedagogica nello sviluppo cognitivo dei piccoli, dobbiamo ribadire come le difficoltà dell’apprendimento sarebbero il risultato di una cattiva formazione/comunicazione/didattica tra il mondo adulto e il bambino che apprende. In funzione di questo ho sentito la necessità di fare alcuni chiarimenti per quando riguarda il primissimo approccio dei bambini alla lettura e al calcolo.

mercoledì 19 aprile 2017

Educare senza educare

Può sembrare una contraddizione affermare di educare senza educare, ma di fatto è ciò che avviene sistematicamente in ogni famiglia, consapevolmente o meno, in positivo o in negativo.
La domanda che ci dobbiamo porre è cosa sia l’educazione. Le risposte che arrivano dai genitori o dagli insegnanti generalmente sono: insegnare a non dire parolacce; insegnare a comportarsi in società; insegnare ad avere un certo tipo di atteggiamento in un certo tipo di ambiente, piuttosto che in un altro; insegnare a comportarsi a tavola; parlare e muoversi in maniera civile ecc… Qualcuno con conoscenze pedagogiche fa riferimento ai vari metodi pedagogici (Montessori, Dewey, Rousseau, Don Milani, Morin, Decroly ecc.) che però sono poco applicati a scuola e pressoché sconosciuti alle famiglie.
Insegnare quindi, è la parola che più spesso si sente dire per riferirsi all’educazione. E difatti si dice spesso: non ti hanno insegnato a mangiare a bocca chiusa! oppure, non ti hanno insegnato a stare composto! Nel pensiero collettivo c’è l’idea che un genitore o chi è preposto all’educazione dei giovani e meno giovani, debba trasferire verbalmente un sapere o una competenza ad un altro essere umano esattamente come purtroppo siamo abituati a trasferire una materia nozionistica a scuola: il più delle volte impartendo lezioni verbali.