Continuano a dirmi che parlo troppo, che spavento e che creo risentimento. Bene, allora funziona.
Non sento di avere niente da perdere, né da rimproverarmi. Il valore nella mia attività è sempre lo stesso, la mia capacità anche, i bambini che recuperano ne sono la dimostrazione.
Ma con questo articolo voglio ritornare alla cultura pedagogica, perché sono io a essermi stufata di certi argomenti, più di chi legge.
Questa volta voglio stare dalla parte degli insegnanti. Anche se vi pare strano. Ma non nella dicotomia insegnanti-allievi, ma nella loro (nostra) professione.
Mi è capitato spesso di essere insultata per il lavoro che svolgo come docente, ovvero di essere etichettata come “maestrina” in senso dispregiativo. Un insulto sottile, subdolo, meschino, da ignorante ovviamente. Può sembrare strano, ho lavorato come docente in tutte le fasce di età: bambini, adolescenti, adulti. Ma quando dico sono una docente in modo generico, dall'altra parte capiscono, non so come, che sono una maestra, anche quando insegnavo al liceo o nella formazione ai docenti. È come se dal mio viso trapeli la mia sensibilità verso i bambini, per cui, anche se non dico di essere una maestra, sono scambiata per tale. Ma non mi dispiace!