domenica 17 settembre 2017

Ecco le cause per cui i vostri figli vanno male a scuola

Vi ricordate quando gli insegnanti dicevano:
  • è intelligente ma non si applica; 
  • potrebbe fare di più ma è spesso distratto;
  • non ascolta quello che dico e quindi poi non sa cosa deve fare;
  • fa molti errori di grammatica, dovrebbe esercitarsi di più;
  • non legge ancora bene, dovrebbe leggere di più;
  • non ha voglia di studiare;
  • scrive male, dovrebbe fare più esercizio con le righe giuste e nei quadretti grandi;
  • deve studiare di più le tabelline perché ancora non le conosce bene;
  • non ragiona è sempre con la testa fra le nuvole altrimenti sarebbe bravissimo;
Oggi dicono:
  • non si applica, potrebbe avere qualche difficoltà cognitiva;
  • si distrae continuamente e non presta attenzione a ciò che dico, potrebbe avere l’ADHD;
  • fa molti errori di grammatica, potrebbe essere disortografica;
  • scrive male, potrebbe essere disgrafico;
  • non sa le tabelline potrebbe essere discalculico;
  • legge stentatamente, potrebbe essere dislessica.

Credo che pochissimi genitori avranno il “piacere” di sentirsi dire ancora oggi le affermazioni scritte nel primo elenco. Espressioni che sì, scaricavano un po’ l’attività didattica sulla famiglia, ma almeno avevano la decenza di sollevare un problema senza far passare il bambino o la bambina per un “cognitivamente diverso”, giusto per non dire “malato” che non convince nessuno, almeno idealmente.
Ora non esiste più il bambino bravo che si applica e quello meno bravo che non si applica; oggi esiste la bambina brava e che si applica e il “cognitivamente diverso”.

La società odierna ha cancellato letteralmente tutte le sfumature di grigio delle realtà individuali, soprattutto emotive, dei bambini. 
Ma la verità sulle motivazioni delle difficoltà scolastiche sono diverse e passano per: 
  • genitori violenti fisicamente e/o oggi soprattutto verbalmente anche nelle migliori famiglie; 
  • atti educativi errati di varia natura che passano per lo studio, per il gioco, per lo sport, ecc.;
  • situazioni individuali di cattive relazioni insegnanti/allievi; 
  • poca pazienza da parte degli insegnanti con i bambini più lenti;
  • cattiva e inefficace didattica; 
  • schernire (deridere) e denigrare (danneggiare) i bambini se non sono abbastanza veloci, abbastanza attenti, abbastanza intelligenti, abbastanza magri, abbastanza belli, abbastanza ordinati, ecc.;
  • totale mancanza di fiducia nei vostri figli o studenti;
  • poca pazienza o voglia o possibilità per i genitori di seguirli nelle attività scolastiche (anche solo per le difficoltà incontrate);
  • troppa invadenza nello studio dei bambini da parte della famiglia, fino a renderglielo insopportabile;
  • violenza verbale tra genitori in crisi coniugale;
  • disattenzione e indifferenza da parte della famiglia; 
  • anaffettività familiare; 
  • solitudine; 
  • problemi di salute;
  • periodi difficili dati da lutti e altri eventi traumatici familiari; 
  • cambi di residenza; 
  • difficoltà relazionali tra pari (bullismo); 
  • povertà economica e morale della famiglia; 
  • paura dello studio e della maestra, nata in classe;
  • angoscia e disperazione per il pensiero di non farcela, nate in classe;
  • pressioni psicologiche per prestazioni sempre superiori da parte di genitori e insegnanti;
  • droga in famiglia; 
  • alcolismo in famiglia; 
  • e tutto quello che vi viene in mente di negativo nella vita di relazione tra il mondo adulto e quello infantile.

Vi pare poco? 

Noi pedagogisti, con una formazione a tutto tondo sull’essere umano (pedagogia, psicologica, antropologia, didattica, sociologia, filosofia ecc.) conosciamo bene le implicazioni di tali atteggiamenti nella vita di un bambino e sul suo rendimento scolastico. Comportamenti non idonei all’ottimale crescita di un figlio possono portare a difficoltà in ambito cognitivo e prestazionale, ma sembra che nessuno (medici compresi) ne voglia tener conto, mentre invece è diventata prassi patologizzare i bambini. Questo perché giustifica gli adulti causa spesso della motivazione di scarso rendimento dei propri figli e studenti, e trova un colpevole a cui non poter scaricare la colpa stessa: il neurone o gene capriccioso che nessuno conosce e di cui non vi è mai traccia né prova con esami clinici, se non ipotetica, della sua colpevolezza. 

Se non si prende coscienza di tutte queste realtà contingenti e per lo più transitorie sopra descritte che costringerebbero genitori e insegnanti a mettersi in discussione e ad assumersene le responsabilità, valutando con obiettività la strada da intraprendere, non resta altro che affidarsi come indicano i medici impreparati, ai logopedisti. Quest’ultimi sono inutili per due o tre motivi: se il problema è un gene o un neurone, non possono intervenire. Se è un fattore ambientale allora non hanno alcuna preparazione in tal senso, né conoscenza della pedagogia (crescita e formazione), né della didattica (strumenti per il recupero delle materie). Pertanto proprio non capisco come possano essere indicati come coloro i quali porre un rimedio alle carenze scolastiche. Illuminatemi!

Un tempo quando la famiglia si ritrovava con un figlio poco bravo a scuola, per chi ne aveva la possibilità, la strada era quella di far venire un docente a casa che si facesse carico del recupero nelle materie carenti. Se il docente era bravo e il bambino superava le difficoltà tutto andava per il meglio, se ciò non accadeva si diceva che il bambino era uno svogliato, ma in quanto figlio di ricchi «può considerare la laurea una specie di diploma di famiglia, trasmissibile di padre in figlio, come ornamento decorativo di una agiatezza che lo assiste e lo accompagna fin dalla culla, e che lo aiuta a spianargli tutti gli ostacoli, compreso il difetto di vocazione e perfino quello di intelligenza*». Tutti gli altri restavano ciucci, ma la loro autostima almeno era salva!


Vi vorrei far notare che anche adesso, con le certificazioni, il discorso non è cambiato come in tanti vorrebbero far credere. Una volta certificato, il bambino ha diritto al logopedista dell'assistenza sanitaria pubblica è vero, ma come abbiamo detto, non serve a nulla e la loro autostima è oramai compromessa. Quelli che hanno invece la possibilità economica si cercano altre strade e forse, mettendosi in discussione, daranno ai propri figli delle possibilità in più.
L’unica realtà che accomuna entrambi i genitori (ricchi o poveri), è per quell’alleggerimento psicologico di pensare che forse il proprio pargolo non raggiunge certi risultati perché ha “qualcosa che non va”, e proprio per questo possono sentirsi e dichiararsi esenti da ogni responsabilità genitoriale in merito alla formazione, concedendo ai propri figli di arrivare al diploma con la compassione dei docenti. Meglio di niente, giusto? Ma queste famiglie hanno pensato alle conseguenze nel futuro dei propri figli?

Quello a cui genitori e insegnanti (per quest’ultimi dal punto di vista deontologico) non hanno forse mai pensato è il danno che causano a questi bambini negando la realtà dei fatti e la possibilità di una conoscenza e formazione come quella degli altri studenti (anche se la dovranno raggiungere con più fatica). Questa formazione gli servirà quando saranno adulti e resteranno soli, quando non ci sarà più né il genitore né l’istituzione scolastica a giustificarli e proteggerli, ma verranno fagocitati nel mondo del lavoro, della competizione e del potere a tutti i livelli.
Le famiglie non pensano che certificare significa semplicemente arrivare a superare l’anno scolastico essendo stati compensati o dispensati su ciò che ai propri figli non è stato permesso di provare a imparare. Questi genitori si sentiranno contenti di avere bambini “sereni” di non fare e nemmeno di tentare di fare. Renderanno i loro figli “felici perché non costretti a lavorare” ma diversi dagli altri, a scapito di un futuro difficile e da emarginati. È questo che volete?

Dr.ssa Tiziana Cristofari
© Tutti i diritti riservati

*Da un discorso in Parlamento di Calamandrei, tratto da: Piero Calamandrei, Per la scuola (2008).

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