mercoledì 25 gennaio 2017

Trasmissione “Il Collegio”: un buon esempio di pedagogia applicata.

La trasmissione Il Collegio andata in onda su Rai Due per quattro serate è stata molto utile per lanciare il messaggio pedagogico per eccellenza, ovvero cosa si celi dietro l’insegnamento, dove arriva il compito dell’insegnante, quali sono le sue verità poco visibili.
Certo non tutto corrisponde al vero degli anni Sessanta. Se escludiamo la disciplina intesa come volontà di fare certe cose in un certo modo tutto il resto era molto utopistico. Facciamo degli esempi. I controllori e gli insegnanti nella loro fermezza erano estremamente affettivi; mai un atto di cattiveria volontaria, ma solo un atteggiamento fermo per far applicare le regole e raggiungere l’obiettivo. Ma quando mai nella realtà quella rigidità delle regole si è espressa senza cattiveria o sadismo? La capacità di mantenersi fermi sulla disciplina ma non violenti è una bella utopia, sia per i giorni nostri ma ancor di più in quelli passati. Certo, esistono insegnanti con queste capacità, ma sono rarissimi. Se le scuole fossero tutte con docenti così, l’obiettivo pedagogico sarebbe non solo capito e applicato, ma addirittura centrato.

sabato 21 gennaio 2017

Una motivazione sulle false epidemie dei disturbi dell’apprendimento

La natura umana è stabile e resiliente. Non c’è mai stata una reale epidemia di malattia mentale, c’è stata una definizione molto più sfumata di malattia che ha reso molto più difficile considerare le persone sane. Gli individui sono sempre gli stessi; sono le etichette diagnostiche che cambiano, diventano più elastiche. Problemi che eravamo abituati a tollerare come parte della nostra vita vengono ora diagnosticati e curati come disturbi mentali. […]
Lo stress sociale non è causa reale di un incremento della malattia mentale, ma ci sono altre tendenze nella società che spingono per farci pensare che ci stiamo ammalando sempre più.

giovedì 19 gennaio 2017

Vaccino antipapilloma virus, cosa fare? Ecco l’opinione della pedagogista.

Capire cosa fare con le vaccinazioni non è solo una questione di salute fisica — anche se ovviamente prioritaria —, ma spesso è anche una questione antropologica, psicologica e soprattutto pedagogica.
Nei giorni passati una mamma si è presentata al mio studio e mi ha detto: “Lei si occupa di formazione, sviluppo e crescita a 360 gradi; quando io ho fatto le magistrali, diversi anni fa, c’era una materia che si chiamava puericultura…” Annuii e lei continuò: “Allora vorrei che mi dicesse cosa devo fare con mia figlia di 14 anni e il vaccino contro il Papilloma virus (HPV): c’è chi dice che va fatto e chi invece sostiene che potrebbe essere causa di altre conseguenze”. Dopo un attimo di esitazione aggiunse: “Io non so cosa mia figlia farà della sua sessualità, non potrò sapere se e quando avrà rapporti sessuali, non posso e non voglio controllare quello che di più umano e naturale ci può essere nella sua vita, ma la possibilità che contragga questa infezione mi spaventa più dell’HIV… Anche perché dall’HIV ci si può proteggere con il profilattico, mentre da questa infezione no!”

mercoledì 11 gennaio 2017

DSA e prove INVALSI, perché mentire?


DSA e prove INVALSI, perché mentire?

A cosa servono le valutazioni scolastiche se non a confrontare e paragonare fornendo così motivo di competizione continua agli alunni, ai docenti, alla scuola…?
Ogni nostro movimento a scuola è farcito — non di crema o cioccolata, che saprebbe addolcire la parte più sgradita del lavoro e della fatica scolastica —, ma di veleno. Un veleno che si trova dentro a ogni voto, ogni gara per mostrare di essere il migliore, ogni valutazione che possa confrontare competitivamente negli studi gli studenti, e nel lavoro didattico i docenti.
E allora ci sono i voti, le verifiche, i test, continui… e… le prove INVALSI!
Lo so, vi starete chiedendo come potrebbe essere diversamente da tutto questo, come potrebbe esserci una scuola senza voti e esami; di risposte ce ne sarebbero un’infinità e forse anche questo potrebbe essere un argomento e un buon motivo per scrivere un altro libro!


Oramai mi conoscete: sono contraria a chi sbandiera i disturbi dell’apprendimento come fossero erbacce in un campo di rose, e poi ce li fanno passare come immodificabili e marchianti per tutta la vita! Sì, la penso diversamente rispetto a coloro che sostengono che i disturbi dell’apprendimento sono provenienti dalla genetica e/o dalla neurobiologia e però poi fanno test statistici di lettura e scrittura per “diagnosticarli”! Assurdo! Test e ancora test che dovrebbero essere di competenza dell’insegnante o del pedagogista perché solo loro possono veramente valutare se un bambino è indietro nel rendimento scolastico oppure no… ed eventualmente intervenire. Invece li fa il logopedista o il neuropsichiatra andando a cercare quel gene capriccioso o quel neurone insolente dentro ai test per il rendimento scolastico, (assurdo!) ed escludendo completamente l’antropologia, la psicologia dinamica, la sociologia e naturalmente la pedagogia e la didattica che sono le principali artefici dello sviluppo cognitivo e metacognitivo di quell’essere umano.
Parliamo dei test INVALSI, motivo specifico di questo scritto.