DSA e
prove INVALSI, perché mentire?
A cosa
servono le valutazioni scolastiche se non a confrontare e paragonare fornendo
così motivo di competizione continua agli alunni, ai docenti, alla scuola…?
Ogni
nostro movimento a scuola è farcito — non di crema o cioccolata, che saprebbe
addolcire la parte più sgradita del lavoro e della fatica scolastica —, ma di
veleno. Un veleno che si trova dentro a ogni voto, ogni gara per mostrare di
essere il migliore, ogni valutazione che possa confrontare competitivamente
negli studi gli studenti, e nel lavoro didattico i docenti.
E allora
ci sono i voti, le verifiche, i test, continui… e… le prove INVALSI!
Lo so,
vi starete chiedendo come potrebbe essere diversamente da tutto questo, come
potrebbe esserci una scuola senza voti e esami; di risposte ce ne sarebbero
un’infinità e forse anche questo potrebbe essere un argomento e un buon motivo
per scrivere un altro libro!
Oramai mi conoscete: sono contraria a chi sbandiera i disturbi dell’apprendimento
come fossero erbacce in un campo di rose, e poi ce li fanno passare come
immodificabili e marchianti per tutta la vita! Sì, la penso diversamente
rispetto a coloro che sostengono che i disturbi dell’apprendimento sono
provenienti dalla genetica e/o dalla neurobiologia e però poi fanno test
statistici di lettura e scrittura per “diagnosticarli”! Assurdo! Test e ancora
test che dovrebbero essere di competenza dell’insegnante o del pedagogista
perché solo loro possono veramente valutare se un bambino è indietro nel
rendimento scolastico oppure no… ed eventualmente intervenire. Invece li fa il
logopedista o il neuropsichiatra andando a cercare quel gene capriccioso o quel
neurone insolente dentro ai test per il rendimento scolastico, (assurdo!) ed
escludendo completamente l’antropologia, la psicologia dinamica, la sociologia
e naturalmente la pedagogia e la didattica che sono le principali artefici
dello sviluppo cognitivo e metacognitivo di quell’essere umano.
Parliamo
dei test INVALSI, motivo specifico di questo scritto.
La fonte MIUR (Ministero
dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca) dichiara che l’Istituto
INVALSI:
• effettua
verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell'offerta formativa delle
istituzioni di istruzione […];
• effettua
le rilevazioni necessarie per la valutazione del valore aggiunto realizzato
dalle scuole;
• predispone
annualmente i testi della nuova prova scritta, a carattere nazionale,
volta a verificare i livelli generali e specifici di apprendimento
conseguiti dagli studenti nell’esame di Stato al terzo anno della scuola
secondaria di primo grado[1].
Quindi
l’istituto INVALSI valuta il rendimento degli studenti e il lavoro didattico
degli insegnanti.
Ma l’AID (Associazione Italiana Dislessia) specifica:
•
“Le prove INVALSI di rilevazione non sono
finalizzate alla valutazione individuale degli alunni, ma a monitorare i
livelli di apprendimento conseguiti dal sistema scolastico. Pertanto i
risultati di tali prove non verranno, in alcun modo, presi in considerazione
nella scheda di valutazione e non faranno media con le altre prove di verifica
effettuate nel corso del secondo quadrimestre da ciascun alunno.”[2]
Dopo aver letto, e qui sintetizzato, quello che entrambi gli enti riferiscono sulla questione delle prove INVALSI, mi sono domandata perché questa evidente contraddizione tra i due, ovvero perché l’Associazione AID fosse così propensa a specificare che le prove svolte alla scuola primaria e al secondo anno della superiore di primo grado, non rientrano nella valutazione personale dello studente, quando poi è esplicitamente dichiarato (e lo dichiara anche l’AID) che rientreranno nella valutazione dell’alunno nell’ultimo anno delle scuole superiori di primo grado (ex scuola media).
Mi
domando: ma per arrivare all’ultimo anno delle scuole e affrontare così l’esame
di Stato anche con le prove INVALSI, questi bambini non devono attraversare
dignitosamente anche gli anni di scuola precedenti per raggiungere poi un
obiettivo soddisfacente alla fine? Questa prova INVALSI a detta del MIUR la devono fare tutti e
rientra nella valutazione dello studente all’esame finale del ciclo di studi.
Quindi perché l’Associazione AID deve sottolineare che tali prove non entrano
nel curriculum dello studente e fare poi addirittura una tabella che dimostra
come, a discrezione della scuola, lo studente certificato o in fase di
certificazione, può non parteciparvi?
Così nel
chiedermi perché l’AID volesse sottolineare la nullità delle prove antecedenti
quella di Stato, ho provato a fare dei ragionamenti per darmi una risposta,
anche se potrebbe non essere esaustiva, ma che pone molti altri interrogativi.
Mi spiego meglio.
I
disturbi dell’apprendimento che vengono diagnosticati fino alle scuole
superiori, a mio parere hanno un particolare picco nella prima infanzia per due
motivi: 1) perché dicono che il disturbo precocemente riscontrato, può far
vivere meglio lo studente (ma questo è tutto da dimostrare e molto spessoaccade il contrario); 2) perché se fosse riscontrato nelle scuole
superiori, diverse agenzie mediche e paramediche perderebbero tantissimi soldi.
E anche per questo ultimo caso le motivazioni sono due: 1. perché il più delle
volte, con il passare del tempo lo studente, se lasciato lavorare liberamente,
senza oppressioni, coercizioni o etichettature, trova autonomamente le
modalità per superare quelli che chiamano i “disturbi dell’apprendimento”;
2. perché quando lo studente è nell’età dell’adolescenza è molto più difficile
fargli seguire protocolli medici, diagnostici e terapeutici senza la sua
volontà.
L’Associazione
AID a tal proposito, come accennavo prima, ha fatto una bella tabella[3]
per rassicurare i genitori e specificare come tutti i bambini
certificati o in procinto di certificazione possano essere esclusi dalle prove
INVALSI a discrezione della scuola. Ho cercato ovunque qualcosa di
ufficiale del MIUR che mi convalidasse l’affermazione dell’AID per l’esclusione
di questi bambini alle prove INVALSI, ma non sono riuscita a trovarla. Anzi, le
linee guida inviate dal MIUR alle scuole per la prova INVALSI citano:
•
Si ricorda l’applicazione delle norme vigenti
previste per gli allievi con bisogni educativi speciali. In particolare, per le
seguenti tipologie di studenti è previsto un tempo di somministrazione
maggiore:
− gli alunni con diagnosi
specifica di dislessia o di altri disturbi specifici di apprendimento
sosterranno la Prova nazionale con l’ausilio di strumenti compensativi con un
tempo aggiuntivo stabilito dalla singola commissione;
− gli alunni con disabilità visiva sosterranno la Prova a carattere nazionale con l’ausilio delle strumentazioni in uso e con un tempo di somministrazione aggiuntivo stabilito dalla singola commissione (generalmente fino a 30 minuti)[4].
− gli alunni con disabilità visiva sosterranno la Prova a carattere nazionale con l’ausilio delle strumentazioni in uso e con un tempo di somministrazione aggiuntivo stabilito dalla singola commissione (generalmente fino a 30 minuti)[4].
Voglio
comunque pensare di non essere stata capace di trovare questo elemento di
esclusione nella documentazione MIUR, e
che effettivamente quanto dichiarato dall’AID sia vero.
Ma se
tutto questo è come appare, rimangono comunque poco evidenti ai genitori due
importantissimi fattori: 1) che il bambino non riceverà più lo stimolo e le
attenzioni giuste per recuperare le carenze, arrivando così all’esame di Stato
con una preparazione decisamente inferiore rispetto agli altri compagni; 2) la
scuola si sente autorizzata in modo legalizzato a eliminare dalle prove
INVALSI ogni bambino che reputa sotto la media richiedendone banalmente una
certificazione, oltre a essere così certa di ottenere punteggi più alti per il
rendimento del suo personale didattico e pertanto “del valore aggiunto
realizzato dalle scuole”.
Ma la
questione più grave è sempre l’aspettativa che ci si pone nei confronti di quel
bambino (Effetto Pigmalione), dove, ottenuta la certificazione per DSA, nessuno
più (genitori compresi) si sentiranno in dovere di lavorare maggiormente con
quei bambini che al 99% delle volte hanno solo bisogno di più tempo e di unadidattica alternativa.
Ma tempo
e didattica alternativa costano fatica: perché faticare se è permesso
loro eliminare!
Dr.ssa Tiziana Cristofari
© Tutti i diritti riservati
Il libro è reperibile
attraverso il web tramite il nostro sito con PAYPAL
o tramite AMAZON
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Un titolo e un contenuto sicuramente contro tendenza, dato che libri e manuali sull’argomento parlano solo di come riconoscere i disturbi dell'apprendimento e quali sono gli strumenti dispensativi e/o compensativi per sostenere una realtà che, secondo la maggioranza della comunità scientifica, non ha soluzione in quanto i disturbi sarebbero causati da fattori genetici o neurobiologici.
Nel mio libro affronto scientificamente tutti questi argomenti e li smonto uno per uno dimostrando come sia improbabile quanto viene affermato. Ma soprattutto spiegando perché la comunità scientifica non ha ancora compreso o voluto comprendere, che questi “disturbi” mettono radici lì dove la scuola e la famiglia crescono figli e studenti senza una pedagogia adeguata.
Descrizione del libro. È intelligentissimo, ma il maestro mi dice che non ascolta. Legge stentatamente e la maestra mi ha detto che potrebbe essere dislessica. Non ricorda le tabelline e mi hanno detto che potrebbe essere discalculico. Mi hanno consigliato il logopedista. Mi hanno detto che dovrei portare mia glia a fare una visita dalla neuropsichiatra infantile. Poi ho letto un suo articolo... Poi cercando su internet il significato di queste parole mi sono imbattuta nel suo sito... È con le stesse parole che un papà arriva da una pedagogista che ha trovato la soluzione ai disturbi specifici dell’apprendimento. Inizialmente scettico, ma speranzoso - perché sua figlia, presunta dislessica, ha difficoltà relazionali con lui e un calo del rendimento scolastico -, s’imbatte in un’avventura scientifica, realistica e umana senza precedenti. Andrà alla scoperta del pensiero di medici e pedagogisti di fama mondiale che gli spiegheranno perché quello che comunemente si racconta sui disturbi dell’apprendimento non è realistico, trovandosi così involontariamente alla ricerca di una conoscenza genetica, neurobiologica, psicologica e soprattutto pedagogica di cui era profondamente allo scuro come del resto buona parte della comunità scientifica ed educativa. Riuscirà in questo modo a capire come nascono, come si prevengono e come si superano i disturbi dell’apprendimento. Ma soprattutto imparerà come è possibile evitarli con l’applicazione di una scienza che nel tempo è stata annullata dalla politica e negata nella formazione dei nuovi docenti: la scienza pedagogica.
Descrizione del libro. È intelligentissimo, ma il maestro mi dice che non ascolta. Legge stentatamente e la maestra mi ha detto che potrebbe essere dislessica. Non ricorda le tabelline e mi hanno detto che potrebbe essere discalculico. Mi hanno consigliato il logopedista. Mi hanno detto che dovrei portare mia glia a fare una visita dalla neuropsichiatra infantile. Poi ho letto un suo articolo... Poi cercando su internet il significato di queste parole mi sono imbattuta nel suo sito... È con le stesse parole che un papà arriva da una pedagogista che ha trovato la soluzione ai disturbi specifici dell’apprendimento. Inizialmente scettico, ma speranzoso - perché sua figlia, presunta dislessica, ha difficoltà relazionali con lui e un calo del rendimento scolastico -, s’imbatte in un’avventura scientifica, realistica e umana senza precedenti. Andrà alla scoperta del pensiero di medici e pedagogisti di fama mondiale che gli spiegheranno perché quello che comunemente si racconta sui disturbi dell’apprendimento non è realistico, trovandosi così involontariamente alla ricerca di una conoscenza genetica, neurobiologica, psicologica e soprattutto pedagogica di cui era profondamente allo scuro come del resto buona parte della comunità scientifica ed educativa. Riuscirà in questo modo a capire come nascono, come si prevengono e come si superano i disturbi dell’apprendimento. Ma soprattutto imparerà come è possibile evitarli con l’applicazione di una scienza che nel tempo è stata annullata dalla politica e negata nella formazione dei nuovi docenti: la scienza pedagogica.
Oggi il 25% dei bambini di una classe viene diagnosticato con un disturbo dell’apprendimento. Dicono che il problema è genetico o neurobiologico e per questo non si può far nulla se non dispensare e/o compensare. E se così non fosse?
La dottoressa Tiziana Cristofari pedagogista e docente, con l’aiuto tratto da teorie e prassi di eminenti e riconosciuti studiosi in pedagogia, psicologia e psichiatria - tra i quali Giovanni Genovesi, Shinichi Suzuki, Howard Gardner, Lev Semënovič Vygotskij, Massimo Fagioli -, ha dimostrato come sia ampiamente improbabile che i disturbi specifici dell’apprendimento abbiano origine genetica o neurobiologica e come invece siano il frutto dell’assenza totale di pedagogia scolastica e familiare.
Codice ISBN: 9791220015424
Il libro è reperibile sul nostro sito scontato cliccando qui