venerdì 26 maggio 2017

Mamma... maestra, permettetemi di sbagliare


Più volte la Montessori ha scritto nelle sue relazioni sulla pedagogia che i bambini chiedono “permettimi di fare da solo”. Il metodo Montessori è incentrato su questo riconoscimento delle potenzialità del bambino non solo perché può, ma anche per crescere indipendente.
Nonostante questo proposito sia, a mio avviso, un imperativo del riconoscimento delle capacità insite nel bambino e che andrebbe attuato sempre, nelle scuole e nella realtà familiare non viene quasi mai applicato, anzi si imbocca il bambino anche quando ha già imparato a mangiare da solo. Anche quando sa e può fare, spesso genitori e insegnanti lo trattano come un impedito, come un “essere” che non può, non sa, non è.
E invece il bambino è, può e sa fare tutto quello che è tipico della sua età, basterebbe che gli permettessimo di dimostrarcelo! Ma mi spiego meglio.
Tutti sanno che bambini di 6 anni, possono imparare a leggere e scrivere. Certo, ci sono bambini che lo fanno già dai 5 anni e bambini che tardano un po’ oltre i 6, ma poi tutti arrivano a saper leggere, scrivere e far di conto. E nessuno metterebbe in discussione queste possibilità, almeno a priori!



Facciamo un altro esempio. Quando verso gli 8 mesi il bambino comincia a fare con il suo movimento un’esplicita richiesta di voler stare in piedi e di camminare, noi lo assecondiamo senza pretendere che al primo tentativo il bambino cammini. Ci proverà per giorni, un po’ gattonando, poi alzandosi, cadendo, ma insisterà nell’alzarsi nuovamente, e vi chiederà la mano che voi non negherete, poi lo lascerete nuovamente solo e lui cadrà ancora una volta, ma poi un’altra volta si rialzerà… Credo però che in tutto questo suo movimento nessuno di voi, e ribadisco nessuno, lo punirà perché non riesce a stare in piedi, o perché non riesce a camminare, o perché continuerà a cadere. Insomma gli permetterete di provarci tutte le volte senza sgridarlo, senza forzarlo, senza pretendere di ottenere che la bambina proprio in quel momento cammini da sola.
Ma perché non la ostacolate? Perché quando il bambino chiede di alzarsi non glielo impedite? Forse perché è molto piccolo e ci impressiona rimproverare un bimbo così piccolo? Forse.



Tutti noi però vogliamo che impari presto e speriamo che sia precoce a parlare, precoce a camminare, così che tutta la società possa dire guarda quel bambino o quella bambina quanto è sveglia, intelligente, appunto precoce, diverso e migliore da tutti gli altri, come se un bambino dovesse essere sempre l’oggetto delle nostre gratificazioni, non certo delle sue! 

La maestra a casa

Poi però quando si fa più grande, tutto quel rispetto per i suoi tempi e quella speranza che possa essere una bambina “prodigio” non vi interessano più. E allora il bambino deve in qualche modo “regredire” perché non possa essere troppo libero di crescere autonomamente altrimenti vi sentireste inutili nella sua vita e nella vostra; deve regredire perché non possa diventare troppo autonomo altrimenti perdereste il “controllo” su di lui che fino a quel momento avete avuto perché totalmente dipendente da voi e questo, vi gratificava molto. 
Vi chiederete ora come sia possibile che proprio voi siate gli artefici di questa regressione. Semplice, ad esempio, come diceva la Montessori “impedendo al bambino di fare da solo”; oppure con le vostre coercizioni (che inibiscono/rallentando il bambino); i vostri “insegnamenti*” (a parole non si raggiungono risultati, ma solo con l’esempio dei fatti); pretendendo che rispetti i vostri tempi (se sono vostri, non potranno certo essere i suoi, visto che ci sono almeno vent’anni di differenza tra voi e lui); attuando le vostre richieste impositive (con l’imposizione si crea paura e il cervello ricorderà quella, anziché l’apprendimento); regredirà ogni volta che lo castrerete nei suoi desideri: negandovi, facendo ritardi, non mantenendo le promesse, ridicolizzandolo, sminuendolo, ecc. Ma lui/lei regredirà anche con affermazioni/comandi tipo: stai fermo, leggi che devi imparare, prendi quello, vai a dormire, vieni qui che ti vesto, sei l’unico che ancora non ha capito, tutti gli altri lo sanno fare tranne te, ti ho detto che devi lavarti le mani, i compiti li devi fare adesso perché io dopo non posso aiutarti ecc. Chiedetevi solo se al vostro compagno di vita o alla vostra compagna, al vostro datore di lavoro, al vostro collega direste mai un’affermazione come questa! Se non lo fate con loro, perché farlo con i vostri figli/studenti? Il vero insegnamento sta nell'essere in un certo modo, non nel dire certe parole!**    





Quando 35/40 anni fa frequentavo la scuola elementare mia madre era un po’ fissata con la bella calligrafia e l’ordine (come ancora oggi moltissime mamme), e per questo motivo mi ha sempre fatto scrivere con la penna stilografica. Poi la stilografica aveva come accessorio il cancellino per correggere gli errori, che era una penna piuttosto lunga dove da un lato aveva una punta bianca puzzolente per cancellare l’inchiostro della stilo e dall’altra aveva una penna con un altro inchiostro che permetteva di riscrivere sopra a quanto il cancellino puzzolente aveva eliminato. 


Oggi abbiamo le penne con la gomma per cancellare l’inchiostro che non puzzano, non imbrattano come la stilografica, riscrivono con lo stesso inchiostro sulla parte cancellata, quindi sono più facili da usare, ma soprattutto (cosa che non permetteva la stilografica), se usate bene non ci si accorge nemmeno di aver cancellato l’errore.



Ecco la parola: errore!
È una realtà dura a morire, come tanti luoghi comuni, detti antichi e via cantando. 
Come se la scienza pedagogica, la cultura scolastica in generale, le sperimentazioni in aula, insomma l’evoluzione in ambito scolastico, non contassero nulla, per cui l’errore è stato nel passato ed è tutt’ora, un mostro da punire, eliminare, nascondere, reprimere, assolutamente da non fare… 



Quando c’era la sifilide che violentemente faceva stragi tra le persone, non è stato difficile da parte di tutti accettare la scoperta della penicillina per debellare la malattia, per permettere alle persone che l’avessero contratta di curarsi e guarire. Certo, mi direte, la sifilide uccideva le persone… È vero la scienza medica è andata avanti e le cure e i risultati del benessere delle persone sono sotto gli occhi di tutti.
Ciò che non è sotto gli occhi di tutti è un altro tipo di “morte”, che non intacca il corpo (almeno inizialmente) e pertanto non si vede. E quando una cosa non si vede con gli occhi, il più delle volte si è portati a negarla completamente. Sto parlando della violenza psicologia che uccide il pensiero, la capacità cognitiva e l’apprendimento, e che potrebbe in seguito, per somatizzazione, diventare anche malattia malattia del corpo. Parlo naturalmente di una violenza nascosta ai più, ma utilizzata dai più soprattutto nei confronti di chi è fragile psicologicamente (bambini, anziani, diversamente abili).



Mi direte: ma cosa sta dicendo questa qui? È partita dall’errore (da un discorso pedagogico) per finire a parlare di morte psichica. 
Ebbene sì, la repressione, la punizione, la cancellazione dell’errore è una sottile violenza psicologia. E non ci vogliono studi particolarmente approfonditi o esperimenti scientifici o analisi di laboratorio per capirlo. È sufficiente lavorare con i bambini e vedere le reazioni che hanno coloro che sono sottoposti continuamente a repressioni, insulti, condanne, cancellazioni, sgridate sugli errori fatti durante l’apprendimento delle materie scolastiche, e chi invece non subisce tutte queste pressioni ma fa comunque degli errori.




Ma partiamo dalle origini. Se io vado a scuola, faccio un corso di aggiornamento, frequento l’università, ma anche faccio pratica in un’officina, in un negozio per parrucchieri, in una qualunque attività, sempre, e sottolineo sempre, parto da un non saper fare per arrivare ad una nuova conoscenza. Se parto da un non saper fare, probabilmente qualche volta sbaglierò. Non ho conoscenza della nuova attività o del nuovo processo cognitivo pertanto, chi ne ha, farà  sicuramente meglio; quel “meglio” sarà distinto da un errore di chi non sa o da un qualcosa che può migliorare il rendimento rispetto a chi sa. Allora mi domando: perché se un bambino alle primarie sta imparando a leggere e contare (ed è un fatto naturale), deve essere punito, insultato, denigrato quando commette un errore? 
Torniamo alla scuola, torniamo a quella necessità di imparare sempre con una penna cancellabile per nascondere, eliminare, non far vedere l’errore. Per dimostrare che sono il migliore anche se tutti sanno che sto imparando e quindi non sono il migliore; forse non lo sarò mai, perché probabilmente ci sarà sempre qualcuno migliore di me. E questa è competizione: un’altra realtà che mortifica l’alunno in formazione. Perché stando al desiderio dei genitori la bambina deve eccellere, primeggiare, deve dimostrare a mamma e papà, alla maestra e ai nonni che lei/lui è il migliore, che lui/lei è biologicamente superiore, come pensavano i nazisti e come ancora troppo spesso si pensa, ovvero che una superiorità biologica sia insita in noi. Perché la mamma, di questa mia superiorità, lo possa dimostrare alle sue amiche e alle altre mamme. Perché mi possa mettere in vetrina facendo leva sulla diversità del patrimonio genetico della nostra famiglia, affinché io possa trionfare sugli altri bambini. 


Poi però se tutto questo si fa sul mio benessere psichico di bambino o di bambina, mi sembra ovvio che non importi a nessuno. Se io che devo imparare trovo un docente che mi spaventa, un genitore che mi sgrida continuamente perché non ho capito (magari semplicemente perché non ha saputo spiegarmelo) ho paura dell’errore, ma avrò anche paura di crescere; perché se per crescere devo imparare, per imparare devo poter sbagliare, ma se non posso sbagliare perché mi hai terrorizzato allora il mio apprendimento resterà un circolo vizioso senza via di uscita. Così diranno di me (quando mi avranno distrutto psicologicamente), che ho un disturbo dell’apprendimento e nessuno di loro si accorgerà che quel disturbo proviene dalla mia paura, dalla frustrazione che mi ha reso fragile, dall’insicurezza che mi rende timido, che non mi permette di essere presente con la mente quando mi spieghi, perché oramai sono terrorizzato dall’idea che mi urlerai ancora una volta che ho fatto un errore… ho paura che mi dirai che sono sbagliato…




Cari insegnanti e genitori, lasciate che i bambini abbiano nell’astuccio penne non cancellabili; lasciate che scrivano sempre con quelle penne non cancellabili; lasciate che sull’errore si possa tracciare una riga e ricominciare dal principio, senza tragedie. Lasciate che i quaderni si imbrattino degli errori, che si finiscano prima. Lasciate che i quaderni e i libri diventino un luogo dove poter realizzare liberamente il proprio desiderio di conoscenza. Lasciate che quell’errore nei quaderni e nei libri, possa essere visibile ed accettato affinché si possa imparare che sbagliare fa parte della vita; affinché si possa accettare che sull’errore si cresce per non commetterlo nuovamente; affinché si possa accettare che la tolleranza parte dalla nostra fallibilità e soprattutto che lavorare serenamente, accettando tutto questo, è il cardine di ogni buon rapporto umano.

Dr.ssa Tiziana Cristofari
© Tutti i diritti riservati


PS: Invece di evidenziare l'errore, soffermatevi sulle conquiste ed elogiate i bambini per quelle: otterrete risultati inimmaginabili.


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Un titolo e un contenuto sicuramente contro tendenza, dato che libri e manuali sull’argomento parlano solo di come riconoscere i disturbi dell'apprendimento e quali sono gli strumenti dispensativi e/o compensativi per sostenere una realtà che, secondo la maggioranza della comunità scientifica, non ha soluzione in quanto i disturbi sarebbero causati da fattori genetici o neurobiologici.
Nel mio libro affronto scientificamente tutti questi argomenti e li smonto uno per uno dimostrando come sia improbabile quanto viene affermato. Ma soprattutto spiegando perché la comunità scientifica non ha ancora compreso o voluto comprendere, che questi “disturbi” mettono radici lì dove la scuola e la famiglia crescono figli e studenti senza una pedagogia adeguata.

Descrizione del libro. È intelligentissimo, ma il maestro mi dice che non ascolta. Legge stentatamente e la maestra mi ha detto che potrebbe essere dislessica. Non ricorda le tabelline e mi hanno detto che potrebbe essere discalculico. Mi hanno consigliato il logopedista. Mi hanno detto che dovrei portare mia figlia a fare una visita dalla neuropsichiatra infantile. Poi ho letto un suo articolo... Poi cercando su internet il significato di queste parole mi sono imbattuta nel suo sito... È con le stesse parole che un papà arriva da una pedagogista che ha trovato la soluzione ai disturbi specifici dell’apprendimento. Inizialmente scettico, ma speranzoso - perché sua figlia, presunta dislessica, ha difficoltà relazionali con lui e un calo del rendimento scolastico -, s’imbatte in un’avventura scientifica, realistica e umana senza precedenti. Andrà alla scoperta del pensiero di medici e pedagogisti di fama mondiale che gli spiegheranno perché quello che comunemente si racconta sui disturbi dell’apprendimento non è realistico, trovandosi così involontariamente alla ricerca di una conoscenza genetica, neurobiologica, psicologica e soprattutto pedagogica di cui era profondamente allo scuro come del resto buona parte della comunità scientifica ed educativa. Riuscirà in questo modo a capire come nascono, come si prevengono e come si superano i disturbi dell’apprendimento. Ma soprattutto imparerà come è possibile evitarli con l’applicazione di una scienza che nel tempo è stata annullata dalla politica e negata nella formazione dei nuovi docenti: la scienza pedagogica.
Oggi il 25% dei bambini di una classe viene diagnosticato con un disturbo dell’apprendimento. Dicono che il problema è genetico o neurobiologico e per questo non si può far nulla se non dispensare e/o compensare. E se così non fosse?
La dottoressa Tiziana Cristofari pedagogista e docente, con l’aiuto tratto da teorie e prassi di eminenti e riconosciuti studiosi in pedagogia, psicologia e psichiatria - tra i quali Giovanni Genovesi, Shinichi Suzuki, Howard Gardner, Lev Semënovič Vygotskij, Massimo Fagioli -, ha dimostrato come sia ampiamente improbabile che i disturbi specifici dell’apprendimento abbiano origine genetica o neurobiologica e come invece siano il frutto dell’assenza totale di pedagogia scolastica e familiare. 
Codice ISBN: 9791220015424
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