La settima lezione del mio corso di pedagogia proseguiva il discorso sul PEI iniziato nella lezione precedente, affrontando l'argomento dei facilitatori e delle barriere.
Per facilitatori e barriere si intendono, in ambito scolastico, tutti quegli elementi capaci di favorire o inibire l’apprendimento, la partecipazione e il benessere dello studente. Di ogni studente, sia esso portatore di un qualsiasi handicap o con funzionamento normale.
Ricordo distintamente di aver sofferto molto questa lezione. Non l’ho trovata noiosa, come la stessa docente si sarebbe aspettata. L’ho trovata triste, mi ha fatto male.
E ricordo che, improvvisamente, mentre le slide scorrevano e le parole della docente guidavano i miei pensieri, io, rispetto all’esperienza scolastica, riuscivo a vedere solo un sistema -anche piuttosto ordinato- di barriere.
A partire dagli stessi edifici. Asettici, squadrati, puramente funzionali, senza bellezza. Gli edifici scolastici hanno il volto rigido dell’Istituzione e non si preoccupano minimamente né di accogliere, né di sedurre lo studente. Sembra addirittura, chissà perché, che vogliano ribadire una certa distanza, o incutere un rispetto che poggia sulla paura, secondo un modello che è vecchio in modo imbarazzante.
Al loro interno, le aule, i corridoi e tutti gli spazi comuni sono in linea con la facciata.
I libri adottati, semplicemente, sono libri che nessuno al mondo sceglierebbe di leggere. Sono manuali che sembrano parlare tutti la stessa lingua, indipendentemente dalla materia trattata, e che espongono gli argomenti proposti in modo freddo, impersonale, spesso eccessivamente schematico, come un banale susseguirsi di nozioni di cui riempirsi, ma incapaci di emozionare. I libri scolastici sembra lavorino - inspiegabilmente- per scoraggiare l’interesse per il sapere, anziché incentivarlo.
La didattica frontale è ancora adottata in una grande maggioranza dei casi per illustrare alla classe le nozioni che su quei libri sono elencate. E spesso si traduce nella loro mera ripetizione, altrettanto asettica e tediosa, all’interno di una lezione che scoraggia le domande da parte dello studente, il suo intervento e in generale la sua partecipazione, anche semplicemente emotiva.
Aggiungiamo a questo che spesso la disciplina viene somministrata con violenza, attraverso atteggiamenti che passano per il giudizio, il rimprovero, la valutazione...e arrivano a beffeggiare l’alunno, a umiliarlo, a ferire la sua sensibilità e la sua autostima, in un gioco che appare (uso una parola forte) un vero e proprio abuso di potere.
Ricordo che, nel mezzo di questa lezione, la scuola mi è apparsa come una gigantesca struttura coercitiva, dove bambini e adolescenti trascorrono gran parte delle loro giornate in strutture che non sembrano costruite per loro, all’interno delle quali devono restare seduti, in silenzio, sotto la guida di adulti rigidi, poco empatici e poco coinvolgenti, e dove sono intenti a svolgere compiti che non li appassionano e ai quali non avrebbero mai scelto di dedicarsi.
Durante la fase più vitale della loro vita, proprio quando hanno maggiore energia, i bambini vengono rinchiusi per otto ore al giorno in una classe e inchiodati in silenzio a un banco, in un contesto dove il fluire delle emozioni, gli interessi personali o un modo originale di apprendere vengono presentati come sconvenienti e dove il gioco e la collaborazione fra compagni sono spesso scoraggiati.
“Lo si fa per educarli”, ci viene regolarmente risposto.
Ma è davvero questa l’educazione? L’etimologia stessa della parola non dovrebbe rimandare ad un “tirare fuori” quello che si ha dentro, quello che agita, quello che si è? Cosa può tirare fuori un sistema che chiede continuamente di reprimere? Anche quando non serve, anche quando quello che si è o si fa non dà fastidio a nessuno e non è di ostacolo alla lezione, anche quando si vuole semplicemente condividere la merenda con la cuginetta più piccola.
Nei fatti, questa educazione si è dimostrata totalmente inefficace: studi dell’OMS ci collocano ai primi posti per analfabetismo funzionale, dispersione scolastica e malessere degli studenti già da diversi anni.
Ma basterebbe osservarli i ragazzi. E accettare il feedback che ci rimandano. Ci accorgeremmo, per esempio, che non festeggiano il termine del loro percorso di studi riversandosi in musei, mostre, biblioteche ed eventi culturali. Piuttosto bruciano i libri. Ecco, io credo che in quel falò, che arde di entusiasmo e liberazione, ci sia tutto il fallimento di un sistema che dovrebbe insegnare la gioia del sapere e che invece porta a identificare la cultura con il nemico.
Mio figlio in primo Liceo ha sperato fino all’ultimo minuto che la recente sospensione delle attività scolastiche per le vacanze di Natale fosse prolungata a causa della situazione emergenziale che stiamo vivendo. Quale efficacia spera di avere una scuola che un ragazzo si augura solo di poter eludere o almeno di patire restando a casa, a distanza, persino approfittando di una tragedia che ha prodotto tanto dolore?
Anche la mia piccola, dopo soli 4 mesi di scuola dell’obbligo, chiede in lacrime ogni mattina di poter restare a casa, perché la scuola la fa sentire come non si era mai sentita prima: inadeguata.
I miei figli sono una bambina e un ragazzo fra tanti. Mi rendo conto che non fanno statistica. Ma la scuola deve smettere di pensare di potere essere efficace solo per chi della scuola non avrebbe nemmeno bisogno! Una scuola così semplicemente non serve. A nessuno. O, peggio, fa danni. O ancora, non ha capito cosa significa essere efficace.
La costruzione del sapere è una delle esperienze più belle della nostra vita. Mi fa impressione immaginare che la si voglia ridurre a mero strumento di tortura, forse orientato a generare persone ancora più facilmente manipolabili e incastrabili in un sistema di produzione voluto dai grandi interessi economici. Che sia mortificata da un’istituzione che non produce alcun interessamento alla cultura, ossia allo strumento che ci consentirebbe di non accettare la situazione in cui siamo. O, ancora meglio, che ci avrebbe consentito di operare scelte (anche politiche) che avrebbero condotto a una situazione diversa.
Ci saranno certamente meravigliose eccezioni. Non le conosco, ma spero di incontrarle presto e di interagire con loro dall’interno. So che ci sono, non ho dubbi. Perché la scuola è fatta anche di persone. E io resto convinta che, persino lì dove la politica sbaglia tutto e la realtà economica è disastrosa, la passione, la responsabilità e l’amore possano fare ancora tantissimo.
FRANCESCA NAZZICONE
Le precedenti lezioni della dr.ssa Tiziana Cristofari nel corso OEPAC, che hanno portato a queste meravigliose relazioni di Francesca Nazzicone, le trovate sotto:
Gioie, dolori, paure, rabbia e frustrazioni di genitori, insegnanti e operatori OEPAC. Parte I
Gioie, dolori, paure, rabbia e frustrazioni di genitori, insegnanti e operatori OEPAC. Parte II
Sgridato e spaventato, convinto di non essere capace. Gioie, dolori, paure, rabbia e frustrazioni di genitori, insegnanti e operatori OEPAC. Parte III