domenica 6 marzo 2022

Ogni volta che mi arrabbiavo e alzavo appena la voce o ogni volta che piangevo disperata, correva a chiudere la finestra… Gioie, dolori, paure, rabbia e frustrazioni di genitori, insegnanti e operatori OEPAC. Parte V

Ogni volta che mi arrabbiavo e alzavo appena la voce o ogni volta che piangevo disperata, correva a chiudere la finestra…

LEZIONE 5 – 20 DICEMBRE 2021 

La quinta lezione del mio corso di pedagogia è stata come un colpo di vento che ha disseminato per tutta la stanza fogli e fogli di emozioni, certezze, schemi comportamentali e ricordi lontani faticosamente ordinati negli anni. Vederli volare via dalla scrivania è stato angosciante, e tuttora nella mia stanza c’è un caos che impone di fare ordine daccapo. Ma sono contenta di aver aperto la finestra a quel vento nuovo e avergli permesso di creare scompiglio in un assetto rigoroso e invariato da tempo, più per pigrizia che per soddisfacimento. 

A colpirmi particolarmente è stata la parte dedicata alle emozioni e al loro ruolo nello sviluppo del bambino e della percezione che ha di sé, che in un attimo mi ha riportata a quando ero bambina. 

Quanta tenerezza nel rendermi conto che tutti quei “che sarà mai?, non è niente, non fare così, non devi pensare certe cose” erano in realtà rifiuti severi al mio mondo interiore, segni rossi sui miei tentativi di sentire l’altro, di comprenderlo e di mettermi in relazione con lui! 

Nella mia casa di bambina, erano accettate e accolte solo le emozioni positive. Quelle facili da gestire, che non pretendono spiegazioni scomode, non fanno rumore e non danno fastidio. 

Una cosa che ricordo distintamente della mia infanzia è che mia mamma, ogni volta che mi arrabbiavo e alzavo appena la voce, o ogni volta che piangevo disperata, correva a chiudere la finestra. Non cercava di capire cosa mi fosse successo. Non si preoccupava che avessi bisogno di un abbraccio, un sorriso, una parola, un gesto qualsiasi di comprensione. Probabilmente non ascoltava nemmeno cosa stessi dicendo. Il suo primo impulso era nascondere me e la mia emozione al resto del mondo, affinché tutti potessero continuare a credere che in casa nostra si era solo e sempre felici. 

Mia mamma chiudeva la finestra e questo bastava a farla sentire meglio. Io invece ne uscivo ogni volta un po' più ferita, e oggi capisco il perché: con un solo gesto e senza dire una parola, mia mamma mi comunicava dapprima che il giudizio degli altri era più importante del mio stato d’animo, poi che quello che provavo era sbagliato, deplorevole, imbarazzante. Così, anziché guidarmi nel comprendere cosa mi si agitava dentro e nell'apprendere come esprimerlo in modo accettabile, mia mamma mi insegnava a provarne vergogna e a censurarlo, rifiutando la mia parte interiore e accrescendo senza volerlo la mia disistima. 

Anche quel suo timore eccessivo del giudizio altrui, quel suo bisogno di apparire sempre perfetta, persino nelle emozioni e nei sentimenti provati, sono figli di una bassa autostima. Anche lei deve aver avuto i suoi trascorsi dolorosi, le sue difficoltà non risolte. Anche lei, come chiunque si ponga nel difficilissimo ruolo di educatore, avrà dovuto fare i conti con il proprio passato e i propri limiti. E anche lei in alcuni aspetti ha fallito. Come me. Come molti. 

Mi dispiace sia rimasta sempre così ingessata. Così immobile nelle sue posizioni. Così rigida e sempre identica a se stessa, indipendentemente dai risultati. Se avesse provato ad aggiustare il tiro, a modellare le sue strategie sulla figlia che aveva di fronte e sui successi e insuccessi via via registrati, avrebbe potuto avere e dare molto di più. 

Invece mia mamma è stata una donna squisitamente buona, ma rigida, bloccata dalle proprie insicurezze, che non ha mai avuto l’opportunità di avventurarsi in un corso di pedagogia che le scompigliasse i vecchi schemi e la costringesse a guardarsi dentro per trovare loro un ordine nuovo. 

Eccomi qui. Commossa davanti al mio notebook, gli occhi lucidi, di fronte a me una pagina riempita in pochi minuti che parla di emozioni negate, di mia mamma, di una Francesca bambina… eppure… avevo aperto Word certa che avrei sviluppato una riflessione sul metodo Suzuki. Ecco cosa succede quando una lezione è capace di diventare altro, di entrarti nel cuore senza bussare, di diventare una parte di te. 

Mi dispiace essermi dilungata, ricordo il limite di una pagina Word stabilito dalla docente per ogni argomento trattato. Ma questo corso mi ha insegnato anche che un allievo, a volte, può e deve uscire dai margini. E io non posso non parlare del metodo Suzuki, perché mi è piaciuto troppo e perché trovo sia il proseguimento perfetto delle mie riflessioni precedenti, tutte tese a criticare una scuola che etichetta, giudica, discrimina, esclude. 

Il metodo Suzuki ci mostra, al contrario, come tutti i bambini, attraverso un intervento educativo intelligente, possono raggiungere risultati eccellenti. Non sufficienti. Eccellenti! TUTTI i bambini! Taluni prima, altri dopo. Ovvero: il traguardo raggiunto da un individuo nella sua vita non dipende da elementi geneticamente dati e quindi stabili e immodificabili, ma bensì qualsiasi bambino può raggiungere risultati prodigiosi, se inserito in un contesto stimolante e ben strutturato. 

Io questa cosa l'ho trovata davvero elettrizzante! 

Ho adorato quando si è parlato di attenzione puntata sui progressi compiuti dal singolo allievo e mai sull’antagonismo fra bambini; di lavoro costante ma senza frustrazione; di prove da superare sufficientemente difficili da permettere al bambino di progredire, ma sempre adeguate al suo livello di preparazione e mai impossibili per lui; di bambini incoraggiati ad aiutarsi fra loro, sfruttando i benefici e l’efficacia dell’apprendimento tra pari; di bambini autorizzati a sbagliare. Che meraviglia! 

Da mamma di un ragazzo che per anni ha vissuto i compiti come una punizione, industriandosi esclusivamente allo scopo di non farli, mi sono emozionata quando ho letto che il bambino, tornando a casa, ha un desiderio sempre maggiore di suonare! 

E mi sono persino commossa quando la conclusione della lezione mi ha svelato che il metodo non aveva l’intento di produrre esecuzioni eccellenti, ma di formare individui con una personalità positiva, forte e attraente. Ecco, io credo che il piacere e la voglia crescente di apprendere del bambino nascano molto da qui. Dallo scopo della scuola che si allontana dalla mera prestazione e si concentra sul ragazzo e sulla sua personalità. 

Così mi sono persa a fantasticare di una scuola dove il bambino viene liberato dall'oppressione del giudizio e dove la valutazione delle competenze acquisite serve a individuare il livello successivo da proporgli e non a valutarlo attraverso un numero. E già ho sentito sciogliersi un po' della tensione che ho addosso da una settimana, da quando la mia bambina mi ha confessato di "vergognarsi troppo" perché in italiano ha preso "brava" mentre tutte le sue amiche prendono superOttimo, bravissimaPiù e note di merito varie. La mia bambina fa la prima elementare da tre mesi ed è la più piccola della classe avendo appena compiuto 6 anni. Inoltre, non aveva mai fatto mezzo esercizio di prescrittura prima di settembre, perché le sue insegnanti della materna ritenevano che la scuola dell'infanzia fosse un luogo dove apprendere la socializzazione, il riconoscimento e la gestione delle emozioni proprie e altrui, il rispetto delle regole e dei turni. E che questo lavoro fosse già sufficientemente oneroso per bambini in età prescolare. Perché dunque non possono essere rispettati il suo punto di partenza e il suo ritmo di apprendimento? Perché la si mette in competizione con compagne che sono obiettivamente più avanti di lei e in tal modo la si scoraggia e la si umilia? Io non voglio entrare nel merito del giudizio della maestra. Certamente mia figlia brilla meno delle sue amiche se i suoi compiti non sono valutati come superOttimi. Dico anche, molto onestamente, che non provo alcun interesse per i voti che porta a casa e che ho sempre cercato di spostare l'attenzione sull'impegno dimostrato e sulla valenza di quanto stava apprendendo. Il problema è che quel voto è importante per lei! Perché in soli tre mesi è già stata istruita alla competizione e alla schiavitù del risultato. E, a mio avviso, se una bambina di appena 6 anni, al suo primo approccio con la scuola dell'obbligo, con la sfida e con la performance, dice di "vergognarsi troppo" per aver svolto come poteva il compito che le era stato assegnato, o è sbagliato lo strumento (il voto) o l'uso che se ne fa. 

Poi, incoraggiata dalle belle sensazioni che sentivo fluire, ho continuato a fantasticare su una scuola che, attraverso il superamento di prove sfidanti, ma mai impossibili, accresce l'autostima dei propri studenti. Una scuola di questo tipo propone sfide efficaci perché, come detto dalla dott.ssa Lucangeli, gli studenti hanno voglia e piacere di superarle. E, aspetto indispensabile, dispongono delle potenzialtà per farlo. Si tratta infatti di sfide costruite e proposte sulla base delle competenze attualmente possedute dallo studente. Parliamo allora di una didattica che si adegua al passo del bambino cui si rivolge, anziché pretendere il contrario e punire quando non lo ottiene. Che posto meraviglioso dove formarsi! Quanta attenzione, comprensione e rispetto deve respirare un bambino in una scuola così! Quanto deve sentirsi a proprio agio e quanto deve essere semplice e naturale imparare a conoscere ed esprimere se stesso! 

E ancora, sempre più sedotta dalle piacevoli sensazioni che continuavano a fluire, mi sono regalata la fantasia di bambini che collaborano fra loro. Forse l'immagine più bella di questa lezione! Ho osservato bambini che, in un luogo dove non ci sono giudizi né voti e dove la didattica è orientata a costruire personalità solide e non a registrare performances eccellenti, non cercano di essere migliori dei compagni, né soffrono perché non si sentono alla loro altezza. Bambini che si aiutano per il piacere di ricevere e divulgare conoscenza. Bambini più competenti che prendono per mano chi è indietro e, attraverso un uso appropriato e generoso delle loro competenze, accrescono la propria autostima. Bambini meno competenti che, attraverso il sostegno di un coetaneo con cui condividono linguaggio e modalità, riescono a raggiungere l'obiettivo più facilmente e accrescono la propria autostima a loro volta. 

Nelle nostre scuole, chi sa di più copre il compito con la mano per non farlo copiare al compagno, dimostrando di conoscere la materia in questione, ma di non saper entrare in relazione con l'altro. Nelle nostre scuole chi sceglie di suggerire la risposta giusta all'amico in difficoltà viene rimproverato e messo a tacere dall'insegnante. La collaborazione non solo non è incoraggiata, ma punita. Perché? 

Ho continuato poi immaginando un luogo dove i bambini possono sbagliare, senza per questo venire umiliati da un segno rosso, un votaccio, un rimprovero. Dove si riconosce l'errore come momento importante dell'apprendimento. Dove i bambini non hanno paura di mettersi alla prova e di mostrarsi, perché sono accettati e accolti tanto nei successi, quanto nei fallimenti. Che sogno! 

Certo, va detto, che tutti questi bambini hanno alle spalle famiglie particolarmente attente al loro sviluppo e alla loro formazione. Lo dimostra la scuola scelta, che, almeno nei primi anni, impegna attivamente anche i genitori. 

Tuttavia, questa consapevolezza non è per me un risveglio eccessivamente severo, visto che questo modello di scuola così lontano dal nostro mi ha lasciato tanti spunti su cui riflettere e sui quali costruire un mio modo nuovo e personale di guardare ai bambini e di relazionarmi con loro. 

Adoro questo corso ogni giorno di più, perché mi sta dimostrando con la pratica quello che una buona pedagogia dovrebbe fare sempre: non mi sta indottrinando, non mi ha fornito una lista di comportamenti utili in situazioni critiche. Sta invece tirando fuori da me un nuovo modo di essere, più funzionale al mio ruolo di mamma, al lavoro che ho sempre più voglia di svolgere e alla mia stessa felicità. 

Francesca Nazzicone

Le precedenti lezioni della dr.ssa Tiziana Cristofari nel corso OEPAC, che hanno portato a queste meravigliose relazioni di Francesca Nazzicone, le trovate sotto:

Gioie, dolori, paure, rabbia e frustrazioni di genitori, insegnanti e operatori OEPAC. Parte I

Gioie, dolori, paure, rabbia e frustrazioni di genitori, insegnanti e operatori OEPAC. Parte II

Sgridato e spaventato, convinto di non essere capace. Gioie, dolori, paure, rabbia e frustrazioni di genitori, insegnanti e operatori OEPAC. Parte III




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