Nel mestiere di insegnante ci sono moltissimi momenti che danno soddisfazione: quando vedi i bambini imparare argomenti nuovi, quando superano ostacoli, quando ti sorridono compiacenti e compiaciuti, quando ti cercano perché tu sei diventata uno dei loro punti di riferimento. Ma ce ne è uno in particolare che mi dà soddisfazione più di tutti gli altri: quando dopo aver lavorato sodo, i piccoli non hanno nessuna intenzione di andare via. Lì capisci che sei riuscita a dare di più di quello che ti chiedono, capisci che sentono che l’obiettivo non è finalizzato a imparare quell’argomento o quella competenza, ma a fargli amare lo studio, a farli star bene. E quando si raggiunge questo, loro, ma anche io, abbiamo vinto per sempre.
Molti anni fa leggendo il libro Pigmalione in classe, scoprii una cosa che mi impressionò moltissimo e che feci diventare mia. Scoprii cosa permetteva a ogni bambino di poter amare la conoscenza non come strumento per diventare tutti dottori, ma come arma pacifica per affrontare la vita. Robert Rosenthal, l’autore del libro, aveva scoperto che i bambini che ricevevano stima e fiducia da parte dei propri docenti, non solo ottenevano enormi risultati a scuola, ma gli stessi li mantenevano nel tempo anche se gli insegnati successivi non riponevano in loro le stesse aspettative.
Mi sono chiesta allora se questa realtà fosse possibile a tutte le età, ovvero se mostrare fiducia e stima ai bambini in prima o in quinta primaria portasse allo stesso risultato.
I recenti studi sulle neuroscienze hanno chiarito molti aspetti del funzionamento neurocognitivo dei bambini; in particolare la scienziata Daniela Lucangeli ha spiegato chiaramente cosa si intende per evolutivo, termine utilizzato moltissimo quando ci si riferisce soprattutto alle difficoltà di apprendimento. La Scienziata chiarisce che per disturbo evolutivo non si intende che nasce in età evolutiva, ma che è evolutivo, ovvero maturazionale, cioè indica la condizione per cui quella determinata realtà ha la possibilità di evolvere, quindi di cambiare, migliorare, recuperare. Dice inoltre che l’evoluzione cognitiva può essere progressiva o regressiva e questo dipende da come il cervello viene esposto a determinati stimoli. È l’esposizione quindi (l’habitus* direbbe Pierre Bourdieu), che produce funzioni cerebrali differenti per cui poi il bambino risponde in una certa maniera.
Sappiamo poi che, nell’età evolutiva, in particolare fino agli 11/12 anni, la plasticità neuronale è massima. E difatti i bambini che si presentano al mio studio con difficoltà di apprendimento, con una buona e mirata didattica e pedagogia (habitus), recuperano le carenze.
Fatto questo inciso sulle neuroscienze, quello che mi interessa ora è spiegarvi perché la scoperta di Rosenthal, ovvero dei benefici di una buona didattica ed educazione, possano essere portati avanti nel tempo anche con docenti meno qualificati, ma solo nell’eventualità in cui l’età dei piccoli non superi i primi due anni di scuola primaria.
Quello che ne risulta dai miei studi e dalla mia esperienza è incentrato su tre realtà:
- una è la qualità e l’intensità della relazione vissuta tra docente e studente;
- la seconda è il tempo su cui una relazione ha avuto modo di costruirsi;
- la terza è legata all’impatto istruttivo ed educativo (l’habitus) che il bambino ha avuto nei primi due anni di scuola. Ma vediamoli uno per uno.
Parlando sempre dei bambini di scuola primaria, la relazione sia in riferimento alla qualità che all’intensità, non è solo costruita nel rapporto docente-discente, ma anche nel rapporto docente-genitore — questo perché il bambino ha una forte considerazione dei propri genitori, molto più di quanto poi viene riposta dagli adolescenti —. Tutto ciò significa che non è sufficiente creare solo un habitus e una relazione ottimale tra docente-studente (seppur valida) senza una stima e una fiducia tra docente e genitore.
Nella mia esperienza ho potuto constatare che genitori che hanno riposto fiducia e stima nelle capacità dell’insegnante, hanno trasmesso ai loro figli la stessa fiducia per cui la relazione positiva docente-discente è aumentata sensibilmente, restituendo il massimo rendimento istruttivo da parte del bambino. Nel caso contrario, il bambino tende a “dimenticare” la positività vissuta in quella relazione.
La seconda questione fondamentale abbiamo detto essere il tempo. Se è vero che i bambini sanno riconoscere quasi immediatamente le qualità positive dell’adulto, è pur vero che l’esperienza positiva può solo nel tempo essere assimilata e fatta propria. La relazione e la didattica positiva, per diventare patrimonio esperenziale del bambino, dovrà essere vissuta nel tempo, ovvero il bambino dovrà usufruire di un lungo periodo per “godere” di quel piacere relazionale/didattico e farlo diventare una realtà psichica costruttiva e duratura per il futuro. L’esperienza di almeno due anni con docenti validi, con genitori capaci di stimare e “godere” a loro volta della validità di quei docenti, avranno ripercussioni estremamente positive per i bambini.
Ma per ottenere il massimo del rendimento e una evoluzione cognitiva senza intoppi, il cervello del bambino deve essere esposto a procedure funzionali istruttive e pedagogiche come quelle appena descritte, ma anche un tempo specifico a cui affidarsi, ovvero i primi due anni di scuola primaria.
Seppur possiamo parlare di istruzione fin da quando il bimbo nasce — in quanto ogni competenza che acquisisce, dalla parola, al camminare, al conoscere i colori e i nomi degli animali eccetera, è un processo istruttivo —, l’impegno cognitivo che gli si richiede nelle scuole primarie è esponenzialmente superiore a quello a cui fino ad allora è stato esposto.
Qui, in questo momento, con l’esperienza della prima alfabetizzazione, avviene il più importante dei momenti per ciò che concerne lo sviluppo cognitivo, la capacità adattiva all’ambiente scolastico o dell’apprendimento, ovvero quello che permetterà o meno al bambino di “innamorarsi” della scuola o di odiarla, ma soprattutto quello che gli permetterà di innamorarsi della conoscenza.
Non sarà impossibile né improbabile che tutto questo possa accadere anche nel futuro, ma la prima alfabetizzazione porta con sé le basi culturali per affrontare le classi successive. Una carenza creerebbe ulteriori disagi a un inizio già di per sé faticoso per qualunque bambino.
Dr.ssa Tiziana Cristofari
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* Per habitus si intende l’ambiente in cui è inserito il bambino.
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