giovedì 3 settembre 2020

L’inascoltato urlo dei più piccoli. La verità sulla scuola e l’istruzione nel periodo Covid-19

 


Ci sono moltissime situazioni nel mondo della scuola che non mi piacciono: la superficialità con cui si affrontano le realtà difficili dei bambini, le insegnanti anaffettive, le violenze psicologiche sugli studenti eccetera. Tutte realtà che se si vogliono vedere indignano genitori e la società tutta.

Recentemente però, con il problema del Coronavirus, ce ne è una che mi salta all’occhio più di tante altre e di cui se ne fa spesso un uso strumentale. Ma l’uso strumentale è il minore dei danni. Si sta diffondendo la notizia, infondata, che i bambini non si ammalano di Covid-19 e pertanto, a loro dire, tutto il chiasso che si fa sulla questione parlando di scuola sarebbe terrorismo. 

Forse è il caso che si metta qualche punto fermo sul danno ‘non fisico’ o non solo, che il virus sta portando nelle scuole e che il mondo della politica e dell’informazione tacciono.

Prendiamo pure in considerazione, momentaneamente, il fatto che i bambini non si ammalano o si ammalano molto meno. Le persone che affermano questo, non dicono però che gli stessi bambini potrebbero essere portatori sani, che molti di loro stanno a contatto con gli anziani —ricordiamoci che solo pochi mesi fa i morti, prevalentemente anziani, erano un quantitativo tale che sono stati portati via dall’esercito—, e che molti adulti giovani stanno o sono stati in rianimazione; possiamo dire che questi giovani sono i genitori dei bambini?

Fatta questa precisazione vengo al punto che mi sta più a cuore: l’educazione e l’istruzione.

Fatta salva l’ipotesi che la scuola sarà in grado di riaprire il 14 settembre, il come, ognuno lo vedrà per la sua scuola, resta il fatto che per ogni alunno o genitore di quell’alunno che verrà trovato positivo saranno fatti tamponi a tappeto e che, se positivi, la scuola potrebbe chiudere.

Ma facciamo tre considerazioni soprattutto sulla scuola primaria, che è quella che a mio giudizio risulta oggi più fragile dal punto di vista dell’istruzione.


Prima considerazione: ogni volta che troveranno un positivo a scuola verranno fatti i tamponi alla classe o all’intera scuola. Quindi ai bambini saranno effettuati i tamponi piuttosto frequentemente. C’è qualcuno che ha pensato ai risvolti psicologici di tutto questo? —Teniamo presente che ci sono scuole di 1500/1700 alunni, pertanto la probabilità è molto alta di trovare un contagiato; se consideriamo inoltre che ogni alunno sarà costantemente in contatto con i genitori lavoratori e tutti i parenti che gli ruotano intorno, allora immaginate voi quanto potrebbe alzarsi la probabilità di un’infezione. Quante volte un bambino verrà sottoposto a tampone durante tutto l’anno? Si polemizza tanto sull’uso della mascherina in classe, ma a nessuno sembra considerare che è peggio per i bambini fare continuamente tamponi.


Seconda considerazione: ogni volta che troveranno un positivo, augurandoci che il resto della classe o della scuola possa risultare negativo, ma se così non fosse e sarà molto probabile, la classe o la scuola sarà messa in quarantena. Quindi c’è la possibilità che molto spesso durante tutto l’anno il bambino interrompa la continuità didattica in presenza, per passare a quella online. Diciamoci la verità, per chi la vuole vedere. I bambini rendono meno della metà e imparano meno della metà via online. E lo so per certo perché li ho avuti. Pertanto, come al solito, riusciranno solo coloro che saranno seguiti dalle famiglie, sia per quanto riguarda il collegamento, sia per quanto riguarda la didattica. Bene.


Terza considerazione. Avete mai sentito i politici sottoporre all’attenzione la gravità per la discontinuità della didattica e una soluzione per la sua perdita e quindi per il recupero nelle classi primarie? 

La Ministra Lucia Azzolina il 27 agosto ha firmato per la prima volta nella storia dell’educazione con le Associazioni di categoria dei Pedagogisti e degli Educatori, un protocollo d’intesa per una collaborazione tra scuole e pedagogisti ed educatori, affinché possano svolgere come dall’Art. 2 e 3 percorsi di valutazione pedagogico-educativa finalizzati a sostenere attività innovative nell’ambito dell’apprendimento, il supporto consulenziale e operativo ai docenti attraverso metodologie didattiche innovative, di gestione relazionale della classe e dell’ambiente, di attività educative e inclusive e speciali in funzione compensativa e abilitativa, con particolare riguardo ai bambini con bisogni educativi speciali (disabilità, DSA e altri disturbi evolutivi specifici, svantaggio socio-economico linguistico e culturale). Tutto questo però avverrà solo se la scuola ne farà richiesta perché, sempre come da protocollo, non ci dovranno essere ulteriori oneri aggiuntivi per lo Stato. 

Non vi fa un po’ sorridere? Le scuole, quelle con più fondi, potranno se vorranno, se riterranno che i loro bambini hanno bisogno di un aiuto, richiedere il supporto delle figure citate. Le altre staranno a guardare o compreranno la carta igienica.

Ragioniamo. Fino a ieri le scuole hanno sempre potuto chiamare professionisti anche senza il protocollo: bastava avere fondi sufficienti per pagare pedagogisti ed educatori e il gioco era fatto, esattamente come avviene per lo psicologo.  

Quello che vorrei dire è che vorrebbero farci passare il messaggio di avere attenzione per i bambini, ma di fatto non ce ne è, e me ne dispiace, dato che il mio pensiero politico appartiene alla sinistra. Se avessero assunto concretamente un pedagogista e due o tre educatori in ogni scuola, con le competenze sopra descritte, allora sì che avrebbero sostenuto l’infanzia svantaggiata. È la solita pillola dorata che offusca la verità.


È bene che ci rendiamo conto che i bambini che oggi frequentano le primarie, se perderanno la continuità didattica anche con quest’anno scolastico, avranno grossissimi problemi per le competenze di base che sono il fondamento importantissimo per proseguire gli studi in modo adeguato.

La Ministra ha deciso che nell’anno scolastico 2019/2020 tutti i bambini e i ragazzi fossero promossi? Benissimo, ma solo se tutto ciò avesse portato a un recupero della didattica durante il periodo estivo per i bambini della primaria. In questo modo i bambini che non hanno potuto seguire si porteranno dietro lacune così importanti da avere enormi difficoltà a proseguire gli studi (anche perché l’insegnante penserà ad andare avanti con il programma, non certo a recuperarlo). Pensiamo ai bambini di seconda o quinta elementare che dovranno fare le prove INVALSI. Gli insegnanti dovranno prevedere già la perdita di un mese per fare le esercitazioni necessarie alle prove e dovranno necessariamente finire il programma. Secondo voi cosa faranno? Torneranno indietro per fare un favore a chi non è rimasto al passo? I ragazzi delle superiori di secondo grado, ma sostanzialmente anche quelli di primo grado, se vogliono hanno gli strumenti conoscitivi sufficienti per recuperare, hanno le basi dell’alfabetizzazione. Quindi dovranno faticare un po’ ma riusciranno a recuperare anche da soli. 

Per i bambini più piccoli di prima e seconda primaria, ma anche nelle classi successive, non sarà così scontato. Diventeranno anni scolastici possibili e fruttuosi solo per chi avrà l’opportunità di essere seguito dai genitori o da un professionista che non li farà rimanere indietro.

Aborro all’idea di un’intera generazione con grosse difficoltà culturali. Le statistiche hanno parlato del 30% degli studenti che durante il lockdown non hanno potuto seguire le lezioni. Ce ne siamo forse dimenticati?

Vi sembra possibile che si sia cominciato a parlare di scuola solo per capire come si aprirà e se si riuscirà a farlo entro la data stabilità? Niente sulle carenze didattiche, il vuoto assoluto. Avete mai sentito parlare di come verrà affrontato il problema della eventuale discontinuità didattica, qualora anche la sola singola scuola chiudesse?

Ci siamo forse dimenticati che questi studenti saranno i lavoratori (si spera) di domani? Non sentite anche voi un vuoto dell’informazione sul disastro culturale a cui andremo incontro? Ne ha accennato solo l’ex presidente della BCE Mario Draghi nel suo discorso al Meeting di Rimini: lo ha fatto un economista, ma non lo ha fatto la Ministra dell’Istruzione. E questo basta a capire che il problema non è sentito e non si crea solo esclusivamente con un lockdown. Nessuno si pone il problema che la realtà è in ogni singola scuola e il nostro pensiero dovrebbe essere per ogni singolo edificio scolastico. Quindi forse è il caso di fare qualcosa. Oppure anche voi siete tra quelli che pensano che in fondo il problema non vi appartiene, perché la vostra scuola non sarà quella che chiuderà, la vostra famiglia non si ammalerà, a voi non toccherà?


Siamo tutti interconnessi, ma non solo per la tecnologia o per il virus, lo siamo anche e soprattutto come democrazia (uguaglianza), come potenziale sviluppo economico e come futuri lavoratori. Come pensate che tra 10/20 anni la nostra economia possa andare bene con il 30% della popolazione giovanile che ha ipoteticamente abbandonato la scuola per il Covid-19? Non possiamo pensare a tutto questo tra 20 anni, lo dobbiamo fare adesso, oppure il nostro pianto sarà solo rimandato.

Rinnovo pertanto l’appello a tutti i genitori che possono, di togliere per quest’anno i propri figli dalle scuole e affidarli a insegnanti privati in pensione o che non lavorano, per lasciare che i bambini meno abbienti possano frequentare la scuola più serenamente e i vostri con altrettanta serenità. La socializzazione dei bambini non è prerogativa della scuola e non frequentarla per un anno o due non toglierà nulla alle loro capacità di socializzazione.


Dr.ssa Tiziana Cristofari

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