martedì 1 settembre 2020

Perché falliscono i corsi di aggiornamento degli insegnanti


Pubblicato su Aganews il 18 ottobre 2019.

Parto da un dato: i risultati dei test Invalsi, resi noti a luglio di quest’anno, hanno certificato che il 35% degli studenti delle superiori di primo grado (ex terza media), ha difficoltà a comprendere un testo di italiano. 
Il dato più allarmante però — visto che nonostante i risultati Invalsi, la politica non si attiva per modificarne gli esisti —, è che la dispersione scolastica non accenna a diminuire: siamo il Paese europeo con più abbandoni superata l’età dell’obbligo scolastico.
Mauro Boarelli sostiene che gli insegnanti sono sempre più preparatori ai test Invalsi e meno insegnanti; in tal modo gli Invalsi andranno poi a descrivere la realtà che gli insegnanti hanno istruito con i test stessi. Perché, sempre secondo Boarelli (con il quale concordo pienamente), oggi non c’è alcun interesse a formare un pensiero critico. L’orientamento di tutto il sistema scolastico è quello di produrre competenze. 

Ma le competenze si producono solo se la capacità cognitiva dello studente rientra perfettamente in quelle caratteristiche utili a sviluppare le competenze stesse. Sarà forse anche questo il problema delle numerose certificazioni? Sarà questo il problema che agevola una logica degli insegnanti puntata solo a “escludere” e non a “includere” gli studenti nel loro lavoro? 
Facciamo una piccola disamina di quanto avviene in classe e di cui ancora troppo poco se ne parla. Quando un bambino non raggiunge gli standard previsti dall’attività dell’insegnante, la procedura, ovvero le istruzioni che vengono impartite ai docenti e spesso abusate dagli stessi, sono quelle di attivare un protocollo pronto alla certificazione. La pedagogia degli anni passati con tutte le sue deficienze, ma con la sua forza valutativa umana, viene letteralmente messa da parte. 
Detto in parole molto povere, la certificazione esclude, vittimizza, ghettizza lo studente nell'attività didattica. Difatti spesso succede che, seguito separatamente da altri docenti o dispensato dal fare certe attività didattiche, il bambino viene escluso dalla possibilità di sviluppare ed esprimere le sue capacità e le sue peculiarità. L'ho detto tante volte: la certificazione non integra lo studente nella classe, ma lo esclude senza appello condannandolo spesso alla dispersione scolastica. Ma non solo. Toglie a questi studenti la possibilità di credere in se stessi e pertanto, anche senza un diploma, tentare di aprirsi una carriera da artigiani, parrucchieri ecc. Cosa che nel passato era frequentissima: quando lo studente non rendeva e lasciava la scuola, portava comunque avanti una professione. Oggi invece, gli diciamo che è “stupido”, che “non ci arriva” e gli tagliamo letteralmente le gambe prima ancora che si siano completamente formate, facendogli credere che non sarà mai in grado di fare nulla se non essere certificato come invalido e pertanto dover aspettare che qualcuno gli dia il tanto atteso lavoro “da scrivania” perché solo quello si spera possa fare.
Tutto questo accade perché i docenti non sono formati a gestire e affrontare le nuove sfide che il Millennio ci presenta. Mi sono sempre chiesta perché fosse tanto importante l’aggiornamento dei dottori in medicina, ma molto meno quello dei docenti, quando invece la professione del docente svolta con competenza è molto importante in quanto, un insegnante preparato e aggiornato, permette la prevenzione al malessere dello studente (soprattutto la prevenzione psicologica-cognitiva). Diversamente, il medico interviene solo quando il malessere si è presentato e a quel punto va curato. Analizzando i due aspetti pertanto, non vi è dubbio che l’importanza dell’aggiornamento si equivalga tra educazione e medicina, e che per il docente corrisponda a una preparazione preventiva importantissima. 
Per spiegarvi questo punto fondamentale, vi dovrò parlare di cosa c'è dietro la formazione dei docenti di qui oggi ci si riempie tanto la bocca, ma che ha una caratteristica del tutto fuorviante da quello che è l'obiettivo della formazione continua di un insegnante.
Sono partita dalle prove Invalsi perché sono certa che moltissimi docenti, forse la maggioranza, le vorrebbe abolire; anche perché tolgono loro l’identità e la soggettività nella valutazione docente-studente che può avvenire solo nel rapporto interumano, senza quiz. Sicuramente le vorrebbero abolire tutti coloro che vogliono aiutare i propri studenti a imparare a pensare con la propria testa. 
Ma le prove Invalsi, contrariamente a ciò, servono solo a certificare le competenze in modo uniforme e standardizzato, senza alcuna appartenenza individuale di rielaborazione critica della competenza stessa. Ma purtroppo le competenze sono quelle capacità specifiche che il mondo dell’economia richiede: standard e certificate. In poche parole il mondo dell’economia prevede di crescere fin da piccolissimi, giovani marionette da muovere con i giusti fili e indirizzare nei giusti settori economici-produttivi. Non vi scandalizzate poi che il 35% dei ragazzini di terza media non sanno comprendere un testo: la comprensione di un testo non è appannaggio dell’economia, ma piuttosto della capacità critica e filosofica di ogni essere umano, che dovrebbe poter sviluppare le proprie attitudini a prescindere dal mercato economico-finanziario.
L’economia purtroppo, è così entrata ovunque, anche nella scuola già da diversi decenni. E questo fa sì che tutto, anche la formazione dei docenti, ne sia terribilmente impiastricciata: i corsi di aggiornamento ne sono un esempio. E proprio di loro, come vi accennavo, vi voglio parlare, perché loro vi spiegheranno perché il docente ha completamente annullato la sua identità professionale diventando l’assistente dello psicologo, il procacciatore d’affari del logopedista, ovvero, colui o colei che non conoscendo più il suo mestiere (ovvero cosa sia la pedagogia) delega quando possibile e procaccia clienti, in poche parole alimenta le fila per la valutazione e la certificazione eliminando fin da subito ciò che il mercato del lavoro non richiede: la libertà di essere unici.
Da diverso tempo mi occupo dei disturbi dell’apprendimento come ricercatrice indipendente, frequento corsi come studente per il mio aggiornamento e svolgo corsi come docente per la formazione degli insegnanti. 
Devo dire che i corsi fatti da studentessa sono tutti molto simili. Ma purtroppo, anche gli incarichi istituzionali pubblici che mi sono stati affidati e nei quali sono stata docente mi hanno relegata in direttive immodificabili per quanto concerne il contenuto dei corsi.
E i contenuti erano tutti omologati, standardizzati alla valutazione delle cosiddette “patologie” cognitive, ovvero alla conoscenza dei sintomi, come individuarli nei bambini con procedure disastrosamente standardizzate, come comunicarlo alle famiglie, come indirizzarli ai servizi medici territoriali. Niente di più. Permettetemi. 
I corsi di aggiornamento per il pediatra che vuole saperne di più sui disturbi dell’apprendimento, è giusto che preveda la formazione dell’elenco che vi ho appena stilato. Lui sì, deve sapere come riconoscerli, come comunicarlo alle famiglie, quale percorso seguire.
Il docente però, si occupa di pedagogia e didattica. Ma la pedagogia che è oramai silente dalla scomparsa di Maria Montessori, ha trasformato il docente in un assistente dello psicologo in quanto informa la famiglia sui percorsi da fare quando un bambino ha difficoltà a capire la matematica, oppure lo indirizza direttamente dal logopedista suo vicino di casa (che ha bisogno di lavorare), per farlo recuperare nella lettura, togliendosi così il problema e garantendosi lo scambio di favori, tipico all’italiana.
La domanda è: perché i docenti non fanno aggiornamento sulla pedagogia e si limitano a qualche informazione medica? 
Personalmente, più che occuparmi di “disturbo” mi sento di dover formare i docenti ad aiutare gli studenti a creare una relazione proficua con loro, ad aiutare i più lenti, i più distratti, con pessime calligrafie, con difficoltà a capire quando mettere l’H e quando no o a imparare le tabelline. Questo è il mio mestiere, non mi occupo io di cercare la “patologia” nella difficoltà scolastica, meno che mai lo dovrebbero fare i docenti. Se faccio un corso di aggiornamento senza Istituzioni pubbliche alle spalle, fornisco ai docenti informazioni su cosa la letteratura dice dei disturbi dell’apprendimento, questo sì, ma soprattutto come il docente deve, prima di ipotizzare un disturbo dell’apprendimento, aver provato tutte le tecniche pedagogiche-didattiche che oggi conosciamo per aiutare i bambini che hanno un approccio diverso dalla maggioranza all’attività scolastica. 
Ma le Istituzioni non vogliono… Scusate, forse non sanno di pedagogia, hanno difficoltà a riconoscerne il ruolo e il valore. La pedagogia è una materia che a partire dall’università stessa viene ancora troppo spesso accantonata per fare ricerca esclusiva sulla realtà biologica fino al punto di indirizzare gli studi pedagogici verso la medicina, in una confusione terribile a partire dalla ricerca accademica. Ma l’abbandono dello studio pedagogico, come hanno fatto con la Montessori stessa del resto, ha una finalità precisa che sono costretta a ribadire: impedire di far crescere menti libere, critiche e pensanti.
I percorsi universitari di pedagogia speciale (come i corsi di aggiornamento), non parlano di pedagogia e didattica o di metodo e se lo fanno è in modo sfacciatamente superficiale; parlano invece di come riconoscere e riconoscere e ancora riconoscere il disturbo dell’apprendimento in ogni atteggiamento o particolarità esclusiva di quel bambino; mai che si metta in discussione la capacità pedagogica-didattica del docente o banalmente la pedagogia genitoriale, entrambe imputate, in quanto fattori ambientali, nell’insorgenza delle difficoltà cognitive e che fornirebbero la corretta formazione/informazione per i docenti. 
Questi corsi privi di pedagogia e di didattica alternativa sono solo uno modo per convincere sempre più gli insegnanti a scaricare al medico quelle competenze che il mercato economico non può trovare in quel bambino che, scusate la brutalità, deve uscire fuori dal mercato il prima possibile certificato dalle prove Invalsi.
Tutto questo per me è molto triste. 

Dott.ssa Tiziana Cristofari
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