venerdì 11 settembre 2020

A scuola per essere portatori di vita, non di morte. Elogio della mascherina.

 


È diventato il tormentone di questi ultimi giorni, mascherina sì, mascherina no, difficoltà degli insegnanti a comunicare con i bambini che non comprenderanno più i sorrisi. Bene, è vero, la pandemia ci ha tolto parte di quella quotidianità che molti insegnanti reputano sostanziale. Ma non è colpa di nessuno di noi: i virus nella storia ci sono sempre stati e hanno sempre fatto dei danni enormi, oggi dobbiamo difenderci.

Eppure, a pensarci bene, siamo un popolo di polemiconi. 


Tiriamo qualche somma.

Il Covid-19 uccide, lo abbiamo visto tutti eccetto chi nega, ma sono fortunatamente una piccolissima parte della popolazione.

La polemica che nasce sul presunto male che farebbe la mascherina, la osserverei con più occhio ‘clinico’ in quanto i chirurghi lavorano indossandole tutto l’arco della loro vita professionale e non mi risulta che mai qualcuno di loro abbia sollevato la questione di malattie respiratorie per l’uso della mascherina. I nostri bambini le indosserebbero per un anno scolastico, quale danno mai potrebbero provocare loro se non garantirgli la salute?

La mascherina insieme ad altri accorgimenti (lavare le mani e distanziamento), è il nostro più importante dispositivo di sicurezza per non contagiare ed essere contagiati, pertanto trovo inutile polemizzare su questo, chi lo fa, non ha capito contro chi sta lottando. Dovremmo essere anzi molto contenti di avere un dispositivo che ci consenta di evitare di ammalarci continuando a vivere tutto sommato normalmente. E invece ci insultiamo e polemizziamo per l’utilizzo che gli esperti, gli scienziati, ci chiedono di farne. Io personalmente se avessi un figlio che va a scuola per otto ore gli chiederei di indossarla il più possibile anche se gli fosse consentito non tenerla, gli chiederei di continuare a essere portatore di vita e non di morte.

Personalmente ringrazio la mia migliore amica per aver rispettato la mia richiesta di non abbracciarmi quando mi incontra, lei, che è sempre stata una donna molto “fisica” molto “carnale” ha compreso la mia richiesta. Ringrazio mia nipote che ha compreso per quale motivo non l’abbraccio e la bacio più, che ha compreso che deve evitare di abbracciarsi sua nonna. L’ho ringraziata perché ha capito che mia madre è più fragile di noi. Ho chiesto loro di farlo per me sicuramente, e poi per tutti i bambini e i loro genitori che sarebbero entrati nel mio studio e pertanto a contatto con me, e loro hanno capito. Sono certa che moltissima gente fa quello che faccio io, ovvero continua a essere portatrice di vita e non di morte.


Ma torniamo all’inutile polemica sulle mascherine a scuola.

Gli esperti ci dicono di indossarle, ci dicono però anche che le possiamo far levare agli studenti se hanno un distanziamento tra loro di almeno un metro e se è possibile arieggiare l’aula di frequente. 

I problemi delle scuole però, le sezioni pollaio, le aule le cui finestre sono sigillate da anni, i mezzi pubblici per raggiungere le scuole insufficienti, non possono essere risolti in due mesi. Allora la polemica delle mascherine è così forte che gli scienziati, sotto pressione politica, accorciano le distanze in classe, aumentano la capienza dei bus fino all’80% ecc. Ma tutto questo, vi ricordo lo fanno sotto pressione, non per libera decisione consapevole. Non vi fa pensare a nulla questa realtà? Vi rende contenti? Non vi fa intuire che se arrivano a rivedere un protocollo che dovrebbe garantire la vita è solo perché sono sotto pressione? Ci accontentano…

Io personalmente la mascherina la porto e la porterò perché voglio continuare ad essere portatrice di vita, come chiederò di farlo a tutti coloro che entreranno nel mio studio.


Ma veniamo agli insegnanti, alla comunicazione che non ci sarebbe con la mascherina.

Ho più volte scritto nei miei libri e nei miei articoli che esistono diversi tipi di comunicazione, il più importante però è proprio quello dello sguardo che può essere in sintonia o in contraddizione con il contenuto della comunicazione verbale. Io posso parlare gentilmente a un bambino, ma allo stesso tempo guardarlo in modo freddo, anaffettivo; oppure posso essere ferma e decisa nell’intonazione della voce argomentando una lezione, ma avere uno sguardo dolcissimo nei confronti dei miei studenti: « […] riuscii a comprendere solo in un secondo momento quello sguardo ipocrita dell’insegnante. Mi accorsi che quando la sua docente le parlava, più o meno inconsapevolmente assumeva un atteggiamento che forse solo un attento osservatore poteva notare o un osservatore che voleva notare certe cose. Quel ghigno veloce espresso tra una parola ipocritamente gentile e un’altra. Quel tremolio e assottigliamento dell’occhio che è una via di mezzo tra chi fa finta di credere alle tue parole e chi tradisce, chi teme ma punisce. Quell’intonazione ipocritamente pacata che nasconde il grido dell’isteria. Tutto questo viene chiamato linguaggio prosodico: il ritmo, l’intonazione, l’enfasi, la forza vocale che assumiamo con l’interlocutore […]*. 

Ecco, non credo di dover aggiungere altro. Le docenti intelligenti avranno compreso che nello sguardo c’è tutta l’affettività che a un bambino serve per sentirsi sereno, per comprendere se sta facendo bene, per entrare in relazione con il docente o con i compagni di classe. 

La mascherina ci ha tolto un po’ di libertà, ma oggi è un inno alla vita per scacciare la morte. 


Dr.ssa Tiziana Cristofari

© Tutti i diritti riservati


*Tratto da T. Cristofari, Bambini senza DSA: una realtà possibile!, Figli Meravigliosi, 2016


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