sabato 20 maggio 2023

Ecco perché i figli sono sempre più dipendenti dai genitori. Non lo volete? Ecco come fare!


Lettera aperta a quei genitori che fanno di tutto per avere i propri figli sempre dipendenti da loro. Lo fanno inconsapevolmente? Forse! Ma è bene sapere che…

Parlo come pedagogista: i genitori devono volere i figli indipendenti. E questo è il primo punto. I genitori devono cominciare a mettersi in discussione e chiedersi se vogliono che i propri figli diventino o meno indipendenti nello studio, nelle relazioni, nella propria vita presente e futura, nelle grandi e nelle piccole cose. Continuo a pensare che l'idea del controllo* impedisce che ciò avvenga. Ma non è solo l’idea di voler controllare. A volte i genitori temono che vedendo i propri figli crescere, loro poi si possano sentire inutili, come se i propri figli non avessero più bisogno di loro, e allora inconsciamente assumono atteggiamenti che non permettono ai propri figli di crescere e quindi di farli diventare indipendenti.


A parole tutti vorrebbero che i propri figli diventassero indipendenti ognuno con le caratteristiche della propria fascia di età, ma poi nei fatti, molti genitori ne sono spaventati. È come in politica: popolo colto e autonomo si gestisce male e fa paura! Quindi meglio il controllo lasciando la popolazione ignorante e facendole fare tante scuole tecniche; e anche poca indipendenza: lasciando la popolazione con salari da fame!


Ancora troppo spesso sento dire in riferimento ai compiti: mamma ha detto che va bene così, mamma ha detto che posso studiarne solo la metà. E quello che ha detto l'insegnante non conta? Lo sapete cari genitori che contrastare le decisioni didattiche degli insegnanti significa screditarli agli occhi dei propri studenti? E lo sapete cosa comporta tutto questo atteggiamento? A rendere i vostri figli sempre più dipendenti da voi, incapaci di sapersi gestire le situazioni che gli appartengono in esclusiva (vedi la scuola) e quindi anche a farli diventare arroganti e supponenti nei confronti degli adulti: tanto c'è mamma che mi dice che lo posso fare (anche se so che non lo dovrei fare) e soprattutto che mi protegge ogni volta che non ho voglia di assolvere al mio compito. 


Così facendo, facciamo crescere futuri uomini e donne che non sanno cosa sia il rispetto per l'adulto, che non danno più valore all'adulto, alla sua preparazione, a ruolo che ricopre, ma soprattutto incapaci di affrontare la vita, sia nelle questioni tra bambini (lo dimostra il fatto che chiedono continuamente l'intermediazione dell’adulto anche per il gioco); sia come futuri adolescenti (preferendo a volte trovarsi alternative ai disagi relazionali per mezzo della violenza, dell'alcol e del fumo); sia come futuri adulti, incapaci di decidere con la propria testa e di trovare soluzione alle problematiche che si pongono nella vita.


Avendo avuto, come pedagogista, una vastità di contatti con bambini e ragazzi di ogni età, per problematiche di relazione e studio una diversa dall’altra, ma tutte accumunate dalla difficoltà relazionale delle famiglie, tutto quello che vi sto raccontando non sono realtà da talkshow o che accadono solo agli altri, ma sono verità che si concretizzano prima o poi, proprio utilizzando questi metodi relazionali che avvengono prevalentemente nella prima infanzia. Quando il ragazzo diventa adolescente è già troppo tardi per provare a porvi rimedio e a quel punto sì, c’è bisogno dello psicoterapeuta.


Molto spesso i genitori intervengono nel giustificare i compiti dei propri figli perché pensano a loro stessi, li vivono come se dovessero farli loro, e invece l'unico atteggiamento che dovrebbero assumere è quello di dire ai propri bambini che hanno fiducia in loro e nelle loro capacità, di provare a farli, e se non ci riescono per qualche motivo reale e concreto, cioè dopo averci veramente provato, bisogna consigliare loro di chiedere all'insegnante di spiegarli nuovamente. 


Succede invece a volte, che è il genitore che non ha capito il compito che il proprio figlio deve fare, e pertanto non è in grado di aiutarlo. Per mascherare la propria inadeguatezza agli occhi del figlio, scrive all'insegnante che il proprio figlio non ha capito il compito e pertanto non lo ha fatto. Poi scopro che il bambino ha capito perfettamente il compito (perché in classe da solo lo fa), ma banalmente non lo ha fatto a casa perché la famiglia lo ha impegnato in altre attività senza lasciare il tempo sufficiente a farli. Mentire ai propri figli, o anzi, mentire alla docente nel tentativo di imbrogliare entrambi, figlio e insegnante, non è un atto educativo, e quel genitore dovrebbe chiedersi dove porta quell'atto che non è educativo. 


Quello che le famiglie non comprendono è che l'attività didattica è fatta su misura per la fascia di età a cui si riferisce. Sono decenni (quasi un secolo) che vengono svolti gli stessi programmi e i genitori un tempo erano analfabeti, impossibilitati ad aiutare i propri figli, ma gli studenti andavano avanti ugualmente. Oggi per giustificare il nostro controllo sui bambini o la nostra paura di vederli crescere, anche perché non ci fidiamo di loro** (perché non ci fidiamo di noi), gli diciamo che non sono capaci o in grado di fare da soli, o quantomeno gli passiamo questo messaggio, e pertanto, gli diciamo che possono anche non farli. 

Insomma, i genitori giustificano la fatica dei figli, che invece li farebbe crescere. Ma giustificandoli il controllo è assicurato. Il figlio non stanco è garantito, come garantita è la dipendenza. E tutti ci sentiamo più felici: noi adulti perché controlliamo e i piccoli perché non hanno faticato.


Si è talmente persa l'idea di cultura, di cosa sia il valore della scuola, (perché si pensa che aprendo Internet si trova ogni cosa di cui si necessita), che non ci accorgiamo che questo atteggiamento interrompe un processo cognitivo fondamentale (che i nostri antenati hanno potuto avere senza doversi sentire stupidi come accade invece ai nostri bambini), e che mette le basi o le ostacola, nel futuro dei propri figli. Quel processo cognitivo interrotto o fatto male, porterà poi a 16 anni il risultato dell'avviamento al lavoro (perché, pensiamo, mio figlio non è portato per lo studio) o della scuola tecnica (sempre perché pensiamo, mio figlio non è portato per lo studio) o alla critica dei professori universitari (i ragazzi non sanno scrivere) o nel peggiore dei casi, fin da piccolissimi, ai cosiddetti disturbi dell’apprendimento, che oramai nascono per qualunque piccola o infinitesima difficoltà di crescita, causata dall’adulto anaffettivo e incapace di educare***. 


Tutto ciò in nome di una popolazione sempre più ignorante, ovvero quelle persone che vengono indicate come analfabeti di ritorno (cioè coloro che una volta diplomati o laureati, non hanno più preso in mano un libro, ma vogliono insegnare ai propri figli), e così che lo Stato si possa sentire a sua volta garantito dalla dipendenza dei suoi sudditi. 


È questo che vogliamo per i nostri figli? Che rimangano prima nostri sudditi e poi, una volta adulti, lo diventino dello Stato? 

Cari genitori, lo dico con molta amarezza: per questo destino dei vostri figli, siete sulla buona strada.


Dr.ssa Tiziana Cristofari

© Tutti i diritti riservati


*Il riferimento è a un altro mio articolo uscito sempre su questo blog.

**cit. Massimo Fagioli

***Come ostacoliamo l’apprendimento dei nostri bambini. Cos’è l'educazione e come si educa. La pedagogia una prevenzione primaria, Tiziana Cristofari 




Il libro è reperibile 
sul nostro sito oppure su AMAZON 

Un titolo e un contenuto sicuramente contro tendenza, dato che libri e manuali sull’argomento parlano solo di come riconoscere i disturbi dell'apprendimento e quali sono gli strumenti dispensativi e/o compensativi per sostenere una realtà che, secondo la maggioranza della comunità scientifica, non ha soluzione in quanto i disturbi sarebbero causati da fattori genetici o neurobiologici.
Nel mio libro affronto scientificamente tutti questi argomenti e li smonto uno per uno dimostrando come sia improbabile quanto viene affermato. Ma soprattutto spiegando perché la comunità scientifica non ha ancora compreso o voluto comprendere, che questi “disturbi” mettono radici lì dove la scuola e la famiglia crescono figli e studenti senza una pedagogia adeguata.

Descrizione del libro. È intelligentissimo, ma il maestro mi dice che non ascolta. Legge stentatamente e la maestra mi ha detto che potrebbe essere dislessica. Non ricorda le tabelline e mi hanno detto che potrebbe essere discalculico. Mi hanno consigliato il logopedista. Mi hanno detto che dovrei portare mia figlia a fare una visita dalla neuropsichiatra infantile. Poi ho letto un suo articolo... Poi cercando su internet il significato di queste parole mi sono imbattuta nel suo sito... È con le stesse parole che un papà arriva da una pedagogista che ha trovato la soluzione ai disturbi specifici dell’apprendimento. Inizialmente scettico, ma speranzoso - perché sua figlia, presunta dislessica, ha difficoltà relazionali con lui e un calo del rendimento scolastico -, s’imbatte in un’avventura scientifica, realistica e umana senza precedenti. Andrà alla scoperta del pensiero di medici e pedagogisti di fama mondiale che gli spiegheranno perché quello che comunemente si racconta sui disturbi dell’apprendimento non è realistico, trovandosi così involontariamente alla ricerca di una conoscenza genetica, neurobiologica, psicologica e soprattutto pedagogica di cui era profondamente allo scuro come del resto buona parte della comunità scientifica ed educativa. Riuscirà in questo modo a capire come nascono, come si prevengono e come si superano i disturbi dell’apprendimento. Ma soprattutto imparerà come è possibile evitarli con l’applicazione di una scienza che nel tempo è stata annullata dalla politica e negata nella formazione dei nuovi docenti: la scienza pedagogica.
Oggi il 25% dei bambini di una classe viene diagnosticato con un disturbo dell’apprendimento. Dicono che il problema è genetico o neurobiologico e per questo non si può far nulla se non dispensare e/o compensare. E se così non fosse?

La dottoressa Tiziana Cristofari pedagogista e docente, con l’aiuto tratto da teorie e prassi di eminenti e riconosciuti studiosi in pedagogia, psicologia e psichiatria - tra i quali Giovanni Genovesi, Shinichi Suzuki, Howard Gardner, Lev Semënovič Vygotskij, Massimo Fagioli -, ha dimostrato come sia ampiamente improbabile che i disturbi specifici dell’apprendimento abbiano origine genetica o neurobiologica e come invece siano il frutto dell’assenza totale di pedagogia scolastica e familiare.