lunedì 16 agosto 2021

La paura che nasce a scuola e i disturbi dell’apprendimento

La paura che nasce a scuola
Sempre più scienziati, sempre più insegnanti, sempre più pedagogisti, ma anche sempre più bambini parlano di paura che mette radici a scuola. lo fanno gli scienziati come Daniela Lucangeli che relaziona molto bene come la paura interferisca con lo sviluppo neurologico del bambino, o gli insegnanti come Daniel Pennac, che racconta di come lui stesso da studente ha avuto molta paura dei suoi insegnanti riportando pessimi risultati per tutto il percorso di studi e di come, una volta diventato professore (grazie a un docente meraviglioso), per aiutare i suoi studenti più somari (come li definisce lui) abbia dovuto lavorare come insegnante proprio sulla loro paura*.


Anche io nel mio lavoro di pedagogista affronto tutti i giorni questo sentire distruttivo che nasce a scuola con docenti incapaci di relazionarsi agli studenti. Lo affronto restituendo ai bambini un’immagine diversa di insegnante che gli permette di recuperare l’autostima, di credere in se stessi, e pertanto di non avere più paura dell’altro (che sia docente o compagno di scuola), o la paura di non farcela, per cui un compito diventa un inferno, una relazione diventa impossibile e una propria fragilità un problema insormontabile. E non è normale che ciò accada, non è normale che un bambino provi paura andando a scuola. Si può provare tensione per un compito in classe, per una interrogazione, ma la paura no, quella distrugge, inibisce la connessione sinaptica, la formazione di nuovi neuroni, rovina la propria immagine di sé; in breve: la paura ostacola l’apprendimento del bambino.


La paura a scuola c’è da sempre e da sempre è il problema delle difficoltà didattiche e relazionali, ma mai nessuno nel tempo l’ha imputata come causa delle difficoltà scolastiche dei nostri bambini. Nel passato erano asini e basta, poi di colpo sono diventati tutti malati e certificati. Quella paura endemica non è stata mai affrontata per quello che è veramente. 

Oggi che la situazione è molto più chiara bisognerebbe far crescere una generazione di insegnanti consapevoli che, per fare bene il proprio lavoro, non devono far nascere la paura negli studenti e se già c’è, la devono saper spegnere. Bisognerebbe fare formazione ai docenti, una vera formazione, quella che permette un cambiamento personale del proprio operato e non quella che indottrina sulle atipie (oggi chiamano così tutte le caratteristiche particolari dei bambini); e sui presunti disturbi dell’apprendimento provenienti da non si sa dove (dato che al 99% delle volte tutte le analisi cliniche —ematologiche o elettroencefaliche o radiologiche— risultano negative). Sono stranamente positive solo le indagini obiettive/discrezionali/statistiche formulate attraverso domande o esercitazioni pratiche prestazionali; ma queste le fa anche la maestra con i compiti in classe, c’è bisogno del medico per una valutazione delle prestazioni? 


Se in classe c’è uno o due bambini relativamente più lenti degli altri (che è normale fortunatamente, in quanto siamo esseri diversi uno dall’altro), non significa che hanno problemi di apprendimento (come al 99% gli insegnanti richiederebbero alle famiglie di certificare), ma è probabile invece che, la loro lentezza, frustrata continuamente dall’insegnante (e spesso anche dalla famiglia) diventi paura. La stessa bloccherà così la trasmissione sinaptica e non permetterà al bambino di ricordare ciò che ha imparato il giorno prima; perché la paura, è una reazione calda, ed è più forte del ricordo freddo e razionale della spiegazione dell’insegnante, pertanto prende il sopravvento sul bambino non permettendogli di dimostrare allo stupido mondo adulto quanto ha appreso. 


Ma negli anni, sia quando si parlava di asini, che poi successivamente quando si è cominciato a parlare di disturbi, si è preferito puntare il dito sempre e solo sul bambino anziché sul mondo adulto che quel bambino lo sta crescendo. È più facile e più conveniente per tutti dire che il problema è il piccolo. Così facendo si possono trovare delle pezze da rattoppo (dispensare e compensare); degli escamotage per non addossare la causa ai docenti o alle famiglie (neurospichiatria e logopedia); e poi quello più interessante per la politica e l’economia: far girare “il soldo” sulla pelle dei bambini, senza permettere risultati che li rendano poi capaci di viversi una vita autonoma, piena e soddisfacente. Il problema vero è che non si pensa mai che i bambini di oggi, saranno gli adulti di domani e che tutto ciò che non sono stati capaci di costruirsi nella prima e seconda infanzia, il più delle volte non lo costruiranno più. Se tutta questa medicalizzazione portasse a risultati per il futuro di quei bambini, avrebbe un senso cercarla e metterla in pratica, ma quello che è successo negli ultimi 20 anni è stato portare gli studenti d’Italia a livelli di scolarizzazione tra i più arretrati dell’Unione Europea. Siamo coloro che si laureano di meno, siamo tra quelli peggiori nelle prove INVALSI ecc. Perché? Perché in Italia si è preferito annullare la pedagogia e l’educazione per far avanzare la patologia. 


Sono fortunati i bambini di quelle famiglie che possono costruirsi un futuro senza medicalizzazione; ma sono fortunati anche perché i loro genitori hanno capito quanto tutto questo stia portando le nuove generazioni a livelli di alfabetizzazione veramente bassi e che pertanto, si rifiutano di portare avanti percorsi deleteri per i propri figli, abbracciando invece con umiltà e informazione, la consapevolezza che una buona pedagogia ed educazione possano fare la differenza sull’apprendimento dei loro bambini. Questi genitori studiano, si informano, cercano di capire cosa la prevenzione pedagogica può fare prima di arrivare a parlare di patologia.


Se pensi che la conoscenza possa aprirti a una realtà sconosciuta per il benessere di tu@ figli@, prima di sottoporl@ a percorsi diagnostici deleteri leggi, informati, costruisci il suo miglior futuro. Comincia da qui: Bambini senza DSA: una realtà possibile! e da qui: Come ostacoliamo l’apprendimento dei nostri bambini. E poi consulta anche le letture consigliate a questo link. 


Dr.ssa Tiziana Cristofari

© Tutti i diritti riservati


*D. Pennac, Diario di scuola 


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Un titolo e un contenuto sicuramente contro tendenza, dato che libri e manuali sull’argomento parlano solo di come riconoscere i disturbi dell'apprendimento e quali sono gli strumenti dispensativi e/o compensativi per sostenere una realtà che, secondo la maggioranza della comunità scientifica, non ha soluzione in quanto i disturbi sarebbero causati da fattori genetici o neurobiologici.
Nel mio libro affronto scientificamente tutti questi argomenti e li smonto uno per uno dimostrando come sia improbabile quanto viene affermato. Ma soprattutto spiegando perché la comunità scientifica non ha ancora compreso o voluto comprendere, che questi “disturbi” mettono radici lì dove la scuola e la famiglia crescono figli e studenti senza una pedagogia adeguata.