Nel 2015 scrissi un libro intitolato Invidia e solitudine. Fu il risultato di uno studio personale che avevo portato avanti sul cosa fosse l’invidia, da cosa scaturisse e quali conseguenze portasse. Per raccontare tutto ciò, avevo spiegato a livello scientifico cosa fosse e come nascesse e lo avevo dimostrato attraverso la narrazione storica di come l’invidia avesse perseguitato gli ebrei, di come perseguita spesso personaggi dello spettacolo o sportivi. Avevo dimostrato come questa deformazione psichica fosse intorno a noi e spesso insita in persone non sospette. Scrivevo che l’invidia è la trasformazione dell’odio diventato insopportabile (concetto teorizzato e spiegato dallo psichiatra M. Fagioli) e aggiungevo che sfuggirne, se se ne è vittime, non è facile. Avevo pertanto accostato a questo discorso una ipotesi d’uscita: la solitudine, intesa come possibilità di non permettere agli altri di farti del male.
Quando fai cose straordinarie (nel senso che non sono nell’ordinario), quando esci fuori dagli schemi, quando non ti amalgami alla maggioranza e mantieni, nonostante tutto, la tua bellezza interiore, la tua capacità di essere, seppur nell’isolamento imposto (perché questo è quello che succede a chi esce fuori dagli schemi), ecco che scatta una forte invidia nei tuoi confronti, che a sua volta ti costringe a ulteriore isolamento per proteggerti dagli attacchi vigliacchi e rabbiosi.
Succede anche a scuola, tra i bambini che hanno un vissuto invidioso per la mancanza affettiva della famiglia. Bambini che vedono la bellezza e la serenità nei compagni e li invidiano, li sporcano, mentono per renderli brutti. E tutto questo per insoddisfazione affettiva, per desiderio deluso.
Si può essere fisicamente soli, magari anche per scelta, e saper amare il prossimo, chiunque esso sia. Si può essere fisicamente con tante persone, avere tanti parenti, tanti amici, ma non saper amare nessuno o pensare di saper amare solo i propri cari.
Questo accade perché quella persona non ha ricevuto l’affettività di cui avrebbe avuto bisogno, e quel bisogno, quel desiderio di affettività deluso, si trasforma in rabbia, poi in odio fino a diventare invidia e pertanto a fare del male.
E come si fa a fare del male a qualcuno invidiandolo?
È spesso, ma non solo, un movimento psichico: si mente, si rende brutto ciò che invece è bello, si tenta di sporcare, infangare con la menzogna la reputazione dell’invidiato. È un atteggiamento sottile, a volte nemmeno visibile ai più.
Nei posti di lavoro è frequentissimo: si invidia perché l’altro è più bravo, più bello, più capace, più simpatico, più onesto, più etico, più felice, più sereno, più amato… per tantissimi motivi.
E pensare che basterebbe amare di più i nostri figli affinché non sviluppino invidia; basterebbe essere amati di più da adulti, da un compagno, da una madre, da un amico. Basterebbe aver sviluppato la capacità di sentire gli altri, per poter godere della bellezza degli altri, anziché invidiarla.
Un collega potrebbe imparare da quello più bravo e diventare più bravo a sua volta, anziché farsi prendere dall'invidia. Ma l’invidia è l’incapacità di pensarsi capaci. E pertanto è più facile sporcare, distruggere, che imparare.
Ci vorrebbe, da bambini, ma anche da adulti, che qualcuno ci stimasse, ci dicesse bravo, anziché trovarci continuamente difetti. Questo potrebbe accadere a scuola, con le insegnanti, che invece di formarsi (continuare a studiare) su come gestire una problematica didattica, dicono che il bambino ha un problema, lo sporcano, lo rendono brutto; invece di comprendere come sostenere una difficoltà, dicono che ha bisogno del sostegno, ovvero dicono ai bambini che sono stupidi e gli instillano così l’odio per chi dimostra di essere più bravo facendoli diventare invidiosi.
Quando a un bambino gli passiamo il messaggio che non è come gli altri e lo isoliamo con il sostegno in classe, lo facciamo sentire solo, brutto e incapace; in questo modo imparerà a odiare, e più odierà più svilupperà invidia.
Troppi genitori insegnano involontariamente a odiare ogni volta che non stimano abbastanza i loro figli o che li paragonano ad altri. Troppi insegnanti (alcuni non meriterebbero neanche questo appellativo), insegnano a odiare ogni volta che invece di trovare la soluzione pedagogica/didattica, dicono che un bambino ha difficoltà. Troppi insegnanti stanno insegnando a odiare quando a un bambino della scuola primaria si ha il coraggio di mettere “in via di prima acquisizione” nell’attività fisica.
Figli Meravigliosi® non solo non insegna a odiare, ma attraverso la corretta didattica e pedagogia restituisce quella fiducia necessaria per toglie rabbia e odio e quindi l'invidia, spesso insiti nel bambino.
Dott.ssa Tiziana Cristofari
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