Trovo alquanto sconfortante quello che sta succedendo ai nostri bambini.
Come si può pensare di giustificare ogni loro atteggiamento, ogni difficoltà incontrata sul percorso di crescita con una patologia (anche se gli studiosi ipocritamente la definiscono “difficoltà” di apprendimento). Se fosse realmente considerata una difficoltà, ci dovrebbe essere l’adulto (genitore o insegnante che sia) a tendere una mano per superare quella salita in senso pedagogico. E invece no, ci vuole il medico, lo specialista che faccia la certificazione e poi sia quel che sia del futuro del bambino.
Siamo talmente soggiogati dalla medicina a tutti i costi, per deresponsabilizzarci dalle nostre competenze genitoriali ed educative, da non renderci conto di come la scuola sia diventata un ospedale: ci sono più insegnanti di sostegno e psicologi che docenti!
Un crollo nella cultura è sotto gli occhi di tutti, soprattutto per quella pedagogica.
Al contrario, la cultura del “sono il migliore e so tutto” vince spudoratamente su quella socratica “so di non sapere”. Il mondo della tecnologia ci ha resto tutti onnipotenti, onniscienti. E quando qualcosa non ci torna, non ci convince, non ci chiediamo il perché andando ad approfondire seriamente nel proprio operato; siamo incapaci di una ricerca su noi stessi perché ci sentiamo infallibili e scarichiamo così il problema su gli altri: sui bambini prima di tutto.
E il mondo scientifico dell’infanzia legato al pensiero e alla cognizione (psicologi, neuropsichiatri infantili) ringrazia; sente come bisogno professionalizzante la pretesa e la soddisfazione di trovare la patologia in ogni bambino; ignora però la pedagogia, ignora la didattica, ignora tutte quelle forme di cultura che non gli appartengono in ambito scientifico, ma che intervengono più di ogni altra cosa nello sviluppo cognitivo dei nostri bambini. Se lo specialista della salute mentale e neurologica ignora o meglio, nega, queste verità (perché farebbe scadere il suo intervento), non potrà mai fare una valutazione obiettiva del bambino, soprattutto perché, come dimostrano le ultime ricerche scientifiche neurobiologiche di cui dovrebbero essere informati, il tipo di educazione esercitata in famiglia e/o in classe influisce decisamente nello sviluppo connettomico-sinaptico-neuronale (D. Lucangeli) dei nostri bambini.
Facciamo degli esempi.
A quanti di voi che mi state leggendo è capitato di non capire una lezione a scuola, però poi ve l’ha spiegata qualcun altro e l’avete capita: era colpa vostra il non averla capita o di chi non ve l’ha saputa spiegare? Ovviamente il bambino non potrà mai dirvi che l’insegnante non ha saputo spiegare. È compito dell’adulto difendere e comprendere i propri figli, magari cambiando semplicemente insegnante o aggiungendone uno che compensi le deficienze di quello di cattedra.
Altro esempio.
Quante volte vi siete ritrovati in classe con un/una docente speciale che vi ha fatto innamorare della materia che più odiavate? O semplicemente avete cominciato ad andare bene in quella materia solo dopo che l’insegnante è cambiata? Oppure quante volte siete entrati in una classe preparati ma avete sbagliato il compito perché il docente vi metteva paura, soggezione, ansia? O quante volte andando bene in una materia, cambiando docente avete cambiato in negativo il rendimento?
Ecco, i medici non indagano mai su queste realtà prima di emettere una sentenza di difficoltà d’apprendimento. Si limitano al test che dice quel che il bambino sa in quel momento, non quello che, con insegnanti preparati e diversi, potrebbe sapere nel futuro.
Quante volte, portando vostro figlio a fare una valutazione, il medico valutante gli ha permesso di conoscerlo prima, lo ha messo a suo agio creando una relazione? O quante volte gli ha spiegato il compito che gli si chiedeva di fare e come doveva farlo? So che state pensando: se glielo dice che valutazione è. È quella corretta. Nessuno affronta un quesito senza aver capito cosa deve fare.
Non si può valutare un bambino se non si tiene conto di tutto quello che ho appena scritto, se non si tiene conto del fatto che uno studente a cui gli vengono somministrate le sottrazioni, magari non ha capito cosa significa sottrarre. Non si può non tener conto del fatto che possa essere agitato o aver paura. L’emotività influisce tantissimo nel rendimento scolastico e trovo assurdo che i medici non abbiano coscienza di questo e non ne tengano conto per fare le valutazioni.
Vi sembrerà un paradosso, ma la vera valutazione sull’apprendimento, la può fare solo una brava insegnante che ha adottato ogni strategia didattica disponibile per spiegare la lezione e farsi capire, oltre che modalità adeguate di relazione per mettere a proprio agio il bambino. Ma vi dirò di più. I bambini non hanno necessità di essere valutati. Hanno bisogno solo di una pedagogia adeguata, che è assolutamente assente nelle scuole e spesso anche in famiglia, non certo della medicalizzazione.
Dr.ssa Tiziana Cristofari
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*Per un approfondimento si rimanda al testo T. Cristofari, Cos’è l’educazione e come si educa. Perché si ammalano i bambini. La pedagogia prima della patologia, in corso di stampa.
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