Per tutti coloro che non hanno potuto partecipare e me lo hanno chiesto, pubblico il mio intervento al convegno del 12 dicembre 2015 svoltosi per celebrare l'anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo
Dopo aver preparato questo intervento, mi sono accorta che per poterlo ripetere a voi esattamente come lo avevo scritto, avrei dovuto impararlo a memoria. Ma vi confesso che mi è venuta la pelle d’oca: nella mia vita scolastica non sono mai riuscita a imparare a memoria una poesia, figuriamoci un intervento di quattro pagine!
Riconosco a me stessa (ho imparato a riconoscermelo), di avere un limite. Ma oggi stiamo celebrando la giornata per i Diritti Umani, quindi penso di potervelo svelare senza sentirmi giudicata:
mi trovo più a mio agio con la penna in mano (o con una tastiera), piuttosto che con la parola verbale. E così mi ritrovo a pensare ancora, ma, se so scrivere, dovrei sapere anche parlare. Ma è pur vero che anche a Saviano più di una volta hanno detto: “È meglio che continui a scrivere, lascia perdere la parola!”. Così è successo che mi sono incuriosita e ho aspettato l’occasione di sentirlo parlare, Saviano: e poi ho pensato che avessero ragione! Così mi sono rincuorata, e la mia mente ha continuato a ricordare. Cosa? Ora vi racconto.
Quando frequentavo le scuole superiori mi piaceva moltissimo la storia (e vi confesso mi piace ancora, visto che poi sono diventata insegnante di storia e filosofia), ma quello che non riuscivo a capire allora, era come mai ai compiti in classe scritti di storia prendevo 8/9, ma all’orale stentavo il 6. Oggi lo so, mi pare evidente: sapevo esprimermi molto meglio nella scrittura, anziché a voce.
Questo fatto dimostra oggi tre cose:
- che io la storia la sapevo (ma senza i compiti scritti, chiunque avrebbe pensato il contrario);
- che il mio modo di esporre era differente tra lo scritto e l’orale (quindi la mia mente reagiva in modo diverso, con modalità diverse, su un medesimo argomento);
- che oggi vi leggerò questo scritto perché ne avete capite le motivazioni e perché non voglio perdermi niente di ciò che ho deciso di raccontare.
Partiamo dai fatti della storia, motivo per cui oggi è stata organizzata questa giornata.
Dopo le atrocità della Seconda Guerra Mondiale, i leaders di Cina, Regno Unito, USA, URSS (l’attuale Russia) e la Francia, organizzarono una conferenza che si tenne a San Francisco nel 1945 e alla quale presero parte i rappresentanti di 50 Paesi. Qui venne firmato lo Statuto delle Nazioni Unite (ONU), che aveva come ideali la pace e il progresso economico e sociale. Questo Statuto delle Nazioni Unite, rappresenta la premessa a quello che sarà il fondamentale documento in tema di diritti umani: ovvero la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata il 10 dicembre 1948 e che poggia su 4 pilastri fondamentali:
- i diritti della persona (diritto alla vita, alla libertà, all’uguaglianza, alla sicurezza ecc.);
- i diritti dell’individuo nei suoi rapporti con i gruppi sociali (ovvero diritto alla riservatezza della vita familiare, libertà di movimento, diritto di avere una nazionalità, diritto di proprietà, libertà religiosa);
- i diritti politici (ovvero libertà di pensiero e di riunione, diritto di voto ecc.);
- i diritti che si esercitano nel campo economico e sociale (ovvero diritto al lavoro e ad un’equa retribuzione, diritto al riposo, all’assistenza sanitaria ecc.).
Successivamente nel 1998 (17 anni fa) ci fu il cinquantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. In questa occasione l’Alto Commissario per i diritti umani dell’ONU (Mary Robinson), in un incontro che si svolse a Roma dichiarò che quello dei 50 anni non era un anniversario da celebrare, perché nel mondo c’erano ancora gravi violazioni dei diritti umani.
Dopo 17 anni da quell’affermazione, siamo ancora purtroppo in alto mare per tantissimi diritti non riconosciuti alle persone; i temi da trattare sarebbero veramente tanti, ma oggi io concentrerò il mio argomentare su due articoli dei 30 che formano la Dichiarazione: all’art. 1 che cita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali […]” e all’art. 26 che ribadisce: “Ogni persona ha diritto all’istruzione […]”. Oggi vi parlerò di questi due concetti: il diritto all’uguaglianza e all’istruzione.
Cominciamo col definire il concetto di ineguaglianza con degli esempi:
- 350 anni prima dell’anno Zero, Platone (filosofo che ancora oggi viene considerato come un grande pensatore) sosteneva che solo alcuni cittadini superiori avessero il diritto di possedere la conoscenza e la cultura.
- lo sterminio degli esseri umani su base eugenetica è stato possibile perché parte del pensiero scientifico e filosofico ha creduto che gli esseri umani non fossero uguali e che si potessero migliorare le caratteristiche sopprimendo le persone che non rientravano in certi parametri (pensate ai diversamente abili, piuttosto che gli omosessuali, prima, fino ad arrivare allo sterminio degli Ebrei poi).
- L’altro esempio che vi farò è legato alle discriminazioni fatte nel campo dell’istruzione dopo la Seconda Guerra Mondiale, ovvero quando l’istruzione comincia ad essere sentita come fonte di possibilità per il passaggio da una classe sociale ad un’altra. Piero Calamandrei (politico, avvocato e accademico, nato a Firenze nel 1889 e morto nel 1956) nel 1946 (due anni prima della Dichiarazione) in un suo bellissimo discorso fatto in parlamento, affermava: «[…] anche all’Università possono oggi arrivare […] i figli dei poveri: e quasi sempre essi sono, come le statistiche dimostrano i migliori studenti. Ma quando questo avviene, è il frutto di lunghi e oscuri sacrifici, abnegazione di certi genitori operai, che per molti anni si consumano nelle fatiche più insalubri e lesinano il pane sul desco familiare pur di riuscire a tirare su un figlio «dottore»; ferrea volontà di certi giovani, che per comprarsi i libri da studiare la notte, sono disposti il giorno a servire nei più umili lavori manuali. Ma questi sono eroismi eccezionali: e non si riesce a comprendere come si possa chiamare allo stesso modo fabbro della propria fortuna il figlio dei poveri che può arrivare alla cultura solo a prezzo di questi eroismi, e il figlio dei ricchi, che può considerare una laurea una specie di diploma di famiglia, trasmissibile di padre in figlio, come ornamento decorativo di una agiatezza che lo assiste e lo accompagna fin dalla culla, e che lo aiuta a spianargli tutti gli ostacoli, compreso il difetto di vocazione e perfino quello di intelligenza.»
Un discorso forte, di condanna alla discriminazione degli studenti fatta sul censo, pone l’accento sull’impossibilità dei figli dei poveri di avere il diritto all’istruzione che desiderano (quindi anche a quella più elevata come l’università), e di come invece sia garantito ai figli dei ricchi. Ci mostra una disuguaglianza inaccettabile, e nonostante questo, il diritto allo studio dopo 69 anni dal suo discorso e dopo 67 dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ancora, non è garantito a tutti.
Come ben sappiamo la discriminazione è su vari fronti: nazionalità, censo, diversità fisiche e psicologiche. Ma non solo: miti e leggende hanno, per secoli, fatto sì, che si pensasse ad una qualche diversità e quindi una disparità nel diritto, anche tra uomo e donna (pensiamo per esempio alla religione cattolica che ci racconta di come la donna fu creata da una costola di Adamo, e per questo considerata inferiore). Questi culti sono radicalizzati nella cultura e pertanto contribuiscono alle discriminazioni.
Insomma, nella cultura di tutti i giorni o nei vecchi retaggi culturali, nella non conoscenza della scienza e delle sue recenti scoperte, ancora si hanno pensieri e azioni discriminanti nei confronti di specifiche categorie di persone. Ma se noi approfondiamo scientificamente che cos’è la realtà e l’identità umana, ci accorgiamo che è decisamente inappropriato pensare ancora di discriminare.
Proviamo allora a sfatare definitivamente questo pensiero inaccettabile, cercando di capire dal punto di vista scientifico, perché le persone alla nascita sono tutte uguali seppur diverse nel loro essere uomo e donna.
Lo psichiatra Massimo Fagioli, con la sua teoria della nascita ci dimostra scientificamente questa uguaglianza.
Lui ha dimostrato come la prima trasformazione del neonato appena venuto alla luce, non è nella capacità di respirare autonomamente (cosa che non può fare nell’utero materno), ma questa prima trasformazione del bambino che avviene passando dallo stato fetale a quello neonatale è nella creazione del pensiero1. Vediamo come.
Quando il feto è nell’utero, non ha possibilità psichiche (ovvero non pensa), ossia la sostanza cerebrale (quella che permette l’attivazione del pensiero) non funziona. Quand’è che comincia a funzionare? Quando alla nascita una realtà inanimata e che non ha massa (la luce), colpisce la retina (che è sostanza cerebrale) e la attiva. Quindi l’incontro e il rapporto tra la materia (ossia la biologia del feto) e l’energia (ossia la luce), crea il pensiero umano, che non è né materia, né energia luminosa, ma, è qualcosa che prima non c’era, qualcosa di assolutamente nuovo, che è stato creato alla nascita, esattamente in quei primi 20 secondi di vita in cui il bambino, appena uscito dall’utero materno, non piange. In quei 20 secondi, quando la luce che ha colpito la retina attiva la sostanza cerebrale, il bambino fa una pulsione di annullamento, ossia rifiuta la realtà non umana (luce, freddo, rumori), immaginando così di tornare nel calore dell’utero materno e in quella sensazione piacevole provata sul suo corpo, che era il contatto con il liquido amniotico. In questo preciso momento nasce la sua prima immagine mentale, ricrea la memoria della propria realtà biologica (il contatto del liquido amniotico, il calore) ossia fa il primo pensiero, si realizza la certezza dell’esistenza di un essere simile a se stesso. Questo meccanismo mentale è l’essenza della vita umana.
Le potenzialità psichiche, il pensiero, nascono da quest’incontro (materia-energia), e sono una realtà unicamente dell’essere umano, sono una realtà universale, ossia, che appartiene a tutti gli uomini e le donne ancor prima di arrivare a percepire la propria specificità di essere donna o di essere uomo. La realtà della nascita è ciò che ci rende tutti uguali a ogni latitudine del pianeta.
Però a noi che vogliamo parlare di istruzione e diritto alla conoscenza, non ci basta di sapere che nasciamo tutti uguali, ma è solo un punto di partenza, per non essere discriminati. Perché? Ora lo vediamo.
Come conseguenza della grande discriminazione scolastica avvenuta sul censo, e nata proprio con la nascita della scuola di massa dopo la Seconda Guerra mondiale, verso la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 nelle scuole si faceva molto uso della parola uguaglianza. Anzi direi che se ne faceva abuso (senza conoscerne il vero significato), pretendendo di trattare tutti gli studenti in un unico modo, con un solo metodo e approccio alle attività scolastiche.
Si diceva che il modo giusto per non discriminare fosse quello di trattare gli studenti in modo egualitario. E invece fu un errore gravissimo, di cui tutt’oggi, ne paghiamo le conseguenze. Ad esempio, ritorniamo un po’ con la mente a quanto vi ho raccontato all’inizio di questo discorso, del mio approccio allo studio (ossia ripensate alle mie capacità o meno di sapermi esprimere meglio per iscritto, anziché con la parola e che poi valutati insieme mi abbassavano la media, o qualcuno poteva pensare che avessi copiato lo scritto, o peggio ancora avrebbero potuto pensare a qualche PATOLOGIA del linguaggio) e capirete così perché dal diritto di essere riconosciuti uguali alla nascita, abbiamo bisogno, necessità, abbiamo l’esigenza di riconoscerci il diritto dell’unicità.
Ciò che tentarono di fare in quegli anni fu un tentativo di uguaglianza molto discriminante perché come ci insegnano la pedagogia e la psicologia dinamica, se io sono ricco, ho una famiglia serena, posso avere tutto, come il cinema, viaggi, libri a volontà, giochi e divertimenti, oltre a quel benessere psico-fisico che una famiglia tale trasmette, la mia capacità di apprendimento ne gioverà, se ne avvantaggerà e mi permetterà di essere più brillante, più ricettivo, cognitivamente più preparato, perché la mia mente sarà costantemente stimolata da tutte queste attività. Se sono più veloce, più brillante, cognitivamente più predisposto, la maggioranza degli insegnanti saranno portati a seguirmi, terranno i miei tempi di formazione, lasciando indietro, con la scusa dell’uguaglianza di trattamento, chi non ha la stessa velocità, capacità o potenzialità cognitive.
Oggi, parliamo un po’ meno di povertà, più persone si possono permettere le stesse opportunità, anche se non stiamo dicendo che la povertà è sparita, anzi. Diciamo solo che le possibilità di accesso a determinati oggetti (computer, telefonini) o della possibilità di svago, per la stragrande maggioranza, si sono ampliate.
Il problema è che l’istruzione, e di conseguenza il suo diritto di essere parte della vita di tutti, è una delle più importanti possibilità per sviluppare civiltà sempre più democratiche e libere. In virtù di questo, il diritto all’istruzione è sempre più ostacolato dalla classe dominante, che teme la democrazia come processo per la libertà di essere.
Forse vi chiederete come sia possibile osteggiare questo processo di affermazione del diritto all’istruzione, sancito dall’art. 26 della Dichiarazione e che permetterebbe più democrazia e libertà. La risposta è semplice: omologando gli esseri umani, sostenendo l’inaccettabile uguaglianza didattica, quella che rende gli studenti tutti simili tra loro, senza capacità di critica o di libertà espressiva, senza la possibilità di ESSERE. Ma questa uguaglianza non è quella dell’identità umana, del pensiero, che ci fa uguali e unici nello stesso momento e di cui abbiamo parlato prima. È un’uguaglianza ipocrita, populista, che toglie, che reprime, che offende. E oggi ce ne possiamo accorge perché, non essendoci più quel grande divario tra ricchi e poveri, non potendo fare più discriminazioni sulla base del censo, hanno trovato un modo nuovo alternativo per ingannare subdolamente la popolazione ed eliminarla dal diritto e dal piacere dello studio. Come fanno tutto questo?
Facendoci credere che l’unicità dell’essere umano, la sua diversità, è una patologia della nostra mente, e come tale, va repressa, curata, accudita, confortata, ma non nutrita, né tantomeno incoraggiata. Ci eliminano dal diritto alla conoscenza puntando là, dove la diversità si evidenzia nella specifica cultura o lingua, nella specificità dei propri tempi di apprendimento, delle proprie competenze, del proprio modo di essere, nelle proprie capacità relazionali o comportamentali, lì, proprio lì, veniamo condannati, respinti, ostacolati, in una sola parola etichettati, per sempre con quegli acronimi tanto odiosi quanto irreali come DSA, ADHD, BES ecc.
Questo farà sì, che quella persona probabilmente non continuerà gli studi, o, se lo farà, sarà, ancora una volta (ricordando le parole di Calamandrei), con grosse difficoltà e sacrifici.
Diritto all’istruzione e alla conoscenza significa pertanto riconoscere a tutti gli studenti l’uguaglianza della loro identità umana con l’equazione materia + energia = pensiero, e poi riconoscerli singolarmente nella loro unicità, nelle proprie capacità e specificità.
1. «[…]Dicono che il bambino comincia a respirare con la pressione atmosferica, per cui l’aria entra nei polmoni […]. La pressione atmosferica, però, si esercita sul torace, quindi, il torace non può ampliarsi e ricevere dentro l’aria; quindi l’aria non può entrare nei polmoni per pressione, ma per un altro motivo. Perché il bambino respira? Si devono mettere in moto i muscoli che gonfiano la cassa toracica. E chi è che mette in moto i muscoli? Il sistema nervoso. Ma il sistema nervoso chi lo attiva? Il sistema nervoso non ha aperture all’esterno, è tutto chiuso, e quindi lo stimolo o deve essere eccessivo, ma poi diventa lesivo, e quindi non può essere, oppure… Ci sono due sole ‘finestrelle’ per la sostanza cerebrale che non possono in maniera assoluta subire uno stimolo fisico. L’unica sostanza cerebrale aperta all’esterno è la rètina, il fondo dell’occhio, e non si può andare a stimolarlo con le dita, nemmeno con il caldo o con il freddo. Ci vuole qualcosa che non abbia massa, che non sia, cioè, materia. E cos’è? La luce. È questo lo stimolo che mette in moto il cervello, tutta la sostanza cerebrale, per cui dopo cominciano il respiro e il vagito […].» Fagioli M., Settimo anno. Lezioni 2008, L’Asino d’oro edizioni, Roma 2013.
Dr.ssa Tiziana Cristofari
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Per tutti i bambini con "presunta" DSA o meno, che vogliono un'alternativa semplice e divertente allo studio della storia nelle scuole primarie, c'è
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Di cosa parlano i libri di autoformazione? Cosa si fa nei corsi automotivazionali? Perché dopo che ho letto un libro e/o ho frequentato un corso non ho raggiunto il mio scopo, il mio obiettivo? La Dr.ssa Cristofari, autrice di questo testo incredibile (che è una via di mezzo tra una biografia e un saggio altamente educativo), spiega, attraverso una narrazione semplice e concreta, attraverso un’esperienza formativa fatta con uno dei più conosciuti coaches italiani, le motivazioni per cui troppo spesso libri e corsi automotivazionali, non permettono il raggiungimento dei propri obiettivi, causando, di conseguenza, la perdita dell’autostima e della fiducia in se stessi.