Ormai ogni lentezza, ogni diversità è un problema. Nessuno che pensi all'ipotesi di un cambiamento emotivo e cognitivo che arriva anche con il tempo, che tutti sono subito pronti a parlare di patologia, di disturbo.
Quale problema ci può essere in un bambino più lento? Ciò che conta è poter valutare se ha appreso come si fanno le operazioni, come si scrivono le parole, non quanto tempo ci mette a farlo.
Ogni volta che sento un insegnante dire che un suo studente è lento, mi dissocio irritata.
Se avessero un minimo di conoscenza in ambito psichiatrico e psicologico certe affermazioni sulla lentezza non le farebbero.
Se il corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria istruisse i futuri docenti a trovare più soluzioni alle problematiche e non a diagnosticarle, non ci sarebbe questo business della certificazione.
Se i medici che certificano avessero un minimo di conoscenza della didattica e nella pedagogia, non certificherebbero.
Se i genitori avessero più fiducia nella loro capacità educativa e nei propri figli, non correrebbero dal logopedista alla prima richiesta superficiale e inadeguata dei docenti.
Se la politica volesse innalzare le capacità cognitive e conoscitive dei suoi cittadini, renderli liberi e capaci di pensare, non autorizzerebbe né incentiverebbe le certificazioni per tutte queste pseudo patologie/disturbi praticamente inesistenti, e superabili nel tempo con una buona didattica e relazione pedagogica dei docenti.
Ma tutto questo non si vuole. Le certificazioni fanno business da tanti punti di vista e per tante realtà economiche e non; gli unici a trarne svantaggi sono solo ed esclusivamente i bambini e il loro futuro.
Se togliamo loro la capacità di imparare; se gli provochiamo odio e disprezzo per la scuola perché li facciamo sentire diversi; se li imbocchiamo su tutto come fossero sempre un po’ stupidi per fare da soli, impedendogli di diventare capaci di conoscere, di sapere, di imparare, di sviluppare la propria mente e il proprio pensiero, in una parola di crescere, che tipo di futuro gli possiamo garantire? Siete sicuri che diventeranno tutti calciatori, tennisti e ballerine?
Il sapere e saper fare oggi, non serve più a trovare un buon lavoro (il buon lavoro è riservato a raccomandazioni e nepotismo); saper fare e saper comprendere, conoscere, essere sicuri di sé, avere autostima, serve a vivere meglio, a sapersi difendere da una società piena di disuguaglianze e discriminazioni. E solo la stima e la fiducia in sé permetterà loro di essere più sereni nella vita; ma questa fiducia in sé può crescere solo se si sentiranno capaci di fare e di pensare in autonomia.
Dott.ssa Tiziana Cristofari
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