sabato 18 febbraio 2023

Psicologo o logopedista?


Le generazioni di bambini che nascono e crescono, negli anni, sono sempre le stesse; da che mondo è mondo, i bambini, fanno le stesse richieste all’adulto di amore e rispetto per la loro realtà di bambini in crescita; chi cambia invece nel tempo e nell’educazione, sono gli adulti che inseguono le mode degli eventi a volte senza porsi dubbi o interrogativi per accertarsi che quelle mode abbiano un minimo di coerenza con la realtà.

È così che, in armonia con la giusta realtà, se ho problemi di vista mi rivolgerò all'oculista; ma se ce l’ho allo stomaco farò riferimento al gastroenterologo, e penso che nessuno avrebbe l'ardire di mettere in discussione queste figure con le mie problematiche. La scienza è provata (altrimenti non si chiamerebbe scienza) così come i professionisti che ne hanno competenza. La pedagogia, la psicologia, ma anche la logopedia, sono scienze più recenti e c'è ancora molta confusione (spesso voluta) in questi tre ambiti sul ruolo svolto dai professionisti. Confusione causata principalmente da disonestà intellettuale, ma anche dalla non conoscenza dell'ambito professionale per gli utenti: il tutto fa sì che i professionisti possano lucrarci sopra. E così gli psicologi fanno i pedagogisti, i logopedisti esattamente come gli psicologi fanno i pedagogisti o i pedagogisti fanno gli psicologi e tutto a discapito di famiglie, ma soprattutto dei bambini.

 

Se avessi mal di stomaco e andassi dall'oculista sicuramente non farei un buon affare. L’oculista, in quanto medico, potrebbe darmi delle dritte sul dolore allo stomaco, magari poi me lo fa anche passare, ma forse non ne conosce la causa e potrebbe tornare il mal di stomaco o peggio ancora, fare un danno più grande. 

La confusione nelle tre professioni citate (pedagogista, psicologo e logopedista) che svolgono ruoli in ambiti specifici (la prima nell’istruzione/educazione e le seconde in ambito medico) potrebbero portare a conseguenze simili e al completo fallimento del recupero della difficoltà del bambino. Il tutto naturalmente avallato anche da una politica scellerata che ha messo in campo ambiti di studio come Scienze della Formazione Primaria, assolutamente non idonea a formare docenti capaci (seppur gli unici abilitati); logopedia, ambito medico alla quale la formazione ha aperto le porte alla didattica; la psicologia che in quanto ordine professionale si arroga l’onere di stare un piedistallo più su con la forza della Casta che è riuscita a farla entrare nelle scuole cercando di medicalizzare il più possibile i bambini; e infine la pedagogia, unica per formazione e competenze esclusa dall’ambito didattico e dalla scuola oramai infarcita di psicologi che trovano ovunque la “patologia” a scapito di una idonea educazione* e didattica. La Montessori (pedagogista) faceva paura ai suoi tempi, per le sue scoperte in ambito pedagogico, oggi la pedagogia fa ancora più paura: perché bambini pensanti e capaci, significano adulti capaci di essere liberi.


L'abitudine che abbiamo di scaricare la responsabilità sulla capacità e prestazione del bambino ci autorizza a non essere leali, onesti e consapevoli del nostro operato come professionisti o genitori. Questo perché in tutti gli ambiti politici/formativi/medici, sulle diagnosi di “disturbi” mai scientificamente provati, né dimostrabili con le analisi cliniche, sono concordi tutti e soprattutto, non essendoci una cultura adeguata al superamento della problematica in ambito pedagogico, è più facile trovare la giustificazione/soluzione in un “disturbo” che appunto, in quanto tale, così etichettato, non è recuperabile. E se invece lo fosse? E se invece gli “sbagliati” fossero gli adulti che crescono il bambino, e non un presunto “disturbo” nel bambino, che il più delle volte mette radici nella pedagogia e didattica sbagliata?

Di recente ho avuto a che fare con un bambino con reali difficoltà di linguaggio che si ripercuotono di conseguenza nella scrittura. Il piccolo è intelligentissimo, apprende facilmente, l’unica problematica è trasferire un parlato non adeguato dentro una scrittura corretta. Parlando con la famiglia scopro che il piccolo è seguito da una psicologa. Mi sono chiesta perché, dato che le difficoltà di linguaggio sono prerogativa del logopedista (lo psicologo vuole portare via il lavoro al logopedista? Forse!). Quale competenza ha lo psicologo se il piccolo non riesce a pronunciare la S, la D, la T o la R per cui poi quando deve scrivere “altrimenti” scrive “alimenti”?

Però il papà dice che la psicologa è molto attenta perché ha insegnato al bambino a stare seduto in modo composto e a usare la giusta penna per scrivere. E c'era bisogno dello psicologo per questo ambito educativo? Perché le famiglie non riescono a guardare più in là?

Mi chiedo: è la famiglia che non vuole vedere e non conosce gli ambiti professionali o è il professionista a non dire la verità alla famiglia pur di tenersi il cliente? Immagino che lo psicologo non potrà far migliorare il bambino nel linguaggio, perché non ne ha competenza, come non ne ho io che sono una pedagogista: ed esattamente così ho detto alla famiglia; questo bambino ha bisogno palesemente del logopedista. 

Concludo dicendo che il 99% delle volte in cui i bambini hanno difficoltà a scuola, (se non con difficoltà evidenti come quella del linguaggio), non è competenza né dello psicologo né del logopedista, il bambino ha solo necessità di un insegnante capace, qualificato, serio e onesto, che al più, con una qualifica elevata nell’ambito dell’insegnamento si chiama pedagogista.


Dr.ssa Tiziana Cristofari

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*Come ostacoliamo l'apprendimento dei nostri bambini. Cos'è l'educazione e come si educa. La pedagogia, una prevenzione primaria. Figli Meravigliosi, Tiziana Cristofari


 

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