Personalmente come pedagogista tutto questo mi fa male e non lo accetto, anche perché vedo e pongo rimedio, almeno con chi me lo richiede.
È così, con questo loro atteggiamento, che anche quando nostro figlio ha una impasse magari scolastica, gli adulti gli insegnano a scappare portandolo dal medico.
I genitori hanno imparato a scaricare tutta la questione pedagogica-educativa sulla malattia (complici le Istituzioni) e sui professionisti della cura (di cui ne sono ben felici) e che dovrebbero fare il “miracolo” (o semplicemente sollevarli dal problema), anche se quel “miracolo” poi è già nelle mani dei genitori, ma non lo sanno. Stesso discorso vale per i docenti: meglio rinunciare a educare o a una formazione specifica per una didattica alternativa, che prendersi l’incombenza di una responsabilità che non vuole nemmeno la famiglia. Tanto vale passare la palla allo specialista della riabilitazione. Per riabilitare poi cosa? Se si riabilita, significa che l’abilità si è persa. Io penso invece che a questi bambini l’abilità e la performance non sono mai state concesse di essere acquisite: ecco perché serve l’educazione e la pedagogia.
Com’è possibile non domandarsi mai se nella nostra pratica educativa verso i nostri figli, qualcosa non ha funzionato. O qualcuno a scuola la sta impedendo, la sta ostacolando. Possibile non chiedersi mai se la didattica scolastica sta fallendo, se non riesce a creare le condizioni di abilità e performance nei nostri studenti?
Oramai tutti i professionisti onesti lo dicono da tempo. lo dice anche l’OMS nel sistema di valutazione ICF (2001) e nell’ICF-CY (2007) sulle problematiche scolastiche incontrate dagli studenti. In modo esemplare viene specificato come le performance e le capacità del bambino —ovvero quelle che, quando carenti, vengono definite quali disturbi specifici dell’apprendimento— siano per la maggioranza delle volte il frutto dell’educazione errata e dell’ambiente scadente in cui vive il piccolo. Ma a scuola, a parte qualche Istituto esemplare, ma sporadico che applica la valutazione su base ICF, non vi è traccia di questa consapevolezza. Eppure anche l’Italia nel suo D. Lgs. 66/2017 e successive modifiche ne ha ampiamente autorizzato e incoraggiato l’uso.
Ho provato più volte a diffondere questa consapevolezza attraverso i miei articoli e i miei libri. L’ho fatto prima con un libro che riportava un titolo di speranza: Bambini senza DSA: una realtà possibile e che ha avvicinato incredibilmente il pubblico proprio attraverso quella speranza, ovvero la possibilità di comprendere perché fosse possibile che i bambini non crescessero con disturbi dell’apprendimento. Poi ci ho provato ancora con un altro libro, che prova a riportare di più il lettore su una consapevolezza di sé, di ciò che sono le proprie azioni: Come ostacoliamo l’apprendimento dei nostri bambini. Ed è proprio con la pubblicazione di questo scritto che faccio la spaventosa presa di coscienza di quanto gli adulti abbiano paura delle proprie azioni.
Nelle critiche che mi sono pervenute a questo secondo libro, quello che viene sollevato è proprio la paura per chi legge di non avere il coraggio di affrontare una situazione che parte da se stessi e che richiederebbe una messa in discussione personale, ma che sarebbe la risoluzione e la prevenzione ai disturbi dell’apprendimento. Sarebbe tutto ciò che andiamo cercando disperatamente negli altri professionisti e che altrettanto disperatamente non troveremo mai. Perché il problema è lì, nell’educazione a casa e nella didattica a scuola.
Ora mi domando però quanto la paura, la delega, il sentirsi non responsabili di ciò che avviene ai propri figli e/o studenti possa essere una giustificazione per non fare, per non sapere, per permettere che si tolga ai propri figli e/o studenti il futuro, che già la politica e l’economia gli sta togliendo.
Perché non si capisce che la risorsa culturale che un bambino riesce a costruirsi da piccolo, possa poi diventare la risorsa nell’affrontare la vita adulta e il futuro incerto? È mai possibile che i genitori non sentano il peso dell’incertezza del futuro dei propri figli? Come si fa a togliere ciò che di più grande e importante abbiamo per i bambini, ovvero la possibilità di imparare ad amare la scuola, lo studio e la cultura, una realtà “economica” questa, di cui tutti fino all’adolescenza possono e devono usufruire per mettere le basi del proprio futuro.
Non togliete la speranza ai vostri figli. Solo se avranno l’indipendenza della conoscenza, potranno avere un futuro migliore.
Dr.ssa Tiziana Cristofari
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