lunedì 11 maggio 2020

Perché al pedagogista non serve la certificazione di DSA. Chi è e cosa fa il pedagogista.


Cominciamo col fare chiarezza. Il pedagogista non svolge alcun tipo di prestazione medica o paramedica, non c'entra nulla con la clinica seppur esiste un corso post universitario, riconosciuto dal MIUR denominato “Pedagogista clinico”. Non esiste il “pedagogista clinico” nella misura in cui per clinico si intende (come si vorrebbe far intendere) con un indirizzo o cultura specifica per i malati. Questo perché non esiste corso universitario che abilita il pedagogista “semplice” differenziandolo dal pedagogista “clinico” o viceversa. Il pedagogista viene abilitato dall’Università uscendo da un’unica facoltà, ovvero quella di Scienze dell’Educazione e abilitandolo a un unico indirizzo in Scienze Pedagogiche, ovvero quale esperto in educazione, istruzione e crescita; pertanto il pedagogista per svolgere la professione pedagogica non ha bisogno di competenze mediche seppur conosce molto bene la psicologia, che utilizza unicamente come strumento per relazionarsi agli altri nel migliore dei modi. Il pedagogista nello svolgimento delle sue mansioni, ha bisogno solo di strumenti e teorie pedagogiche.

Il problema però si pone quando nella formazione pedagogica universitaria (culturalmente un po’ arretrata e priva di un coerente tirocinio), il professionista che ne esce abilitato, non ha compreso il suo ruolo fino in fondo, andando a cercarsi nelle professioni altrui altre competenze che lo definiscano meglio, che sono più delineate, socialmente più riconosciute e comprese, e illudendosi così di saperne di più e di aver compreso quali siano le sue mansioni e i suoi interventi. Ma non è così. Ha solo fatto molta più confusione. O meglio, gli hanno fatto fare solo molta più confusione, oltre ad aver speso un sacco di soldi!


Cerchiamo di fare ulteriore chiarezza.

Il pedagogista si occupa di educazione, istruzione e crescita, non di cura, né di riabilitazione. Non a caso il suo sbocco naturale sarebbe nella scuola, dove peraltro è quasi totalmente assente. Questo naturalmente a causa della politica e della pressione che la Casta degli psicologi fa sulle Istituzioni politiche stesse. Quando il pedagogista prende in carico un bambino con diagnosi di DSA (perché anche questi bambini hanno diritto alla pedagogia), l'unica sua competenza è prendere atto del fatto che il bambino ha delle difficoltà, ma il suo ruolo rimane strettamente legato all’educazione e all'istruzione. Ogni suo intervento su base istruttiva, ovvero didattica, accompagnata rigorosamente da quella pedagogica ovvero dell’educazione, non ha nulla a che vedere con la riabilitazione o la cura. Quando però il bambino con diagnosi medica di disturbo dell’apprendimento, viene seguito dal pedagogista e raggiunge uno o più obiettivi, lo stesso non ha mai proposto un atto curativo o riabilitativo, ha eventualmente saputo trasmettere un approccio relazionale (pedagogico) diverso, una metodologia didattica diversa, rispetto a quello che solitamente il bambino riceve dagli adulti significativi (genitori e insegnanti). Pertanto se il bambino nella nuova relazione e didattica cambia le sue prestazioni scolastiche, migliora, diventa più bravo, più prestante, più efficiente, più consapevole, risolvendo le problematiche di scrittura, lettura e calcolo, è solo frutto di un atto pedagogico-didattico, ovvero ambientale. 

Non sono pochi i bambini che ottengono straordinari risultati, straordinari recuperi delle prestazioni scolastiche, pur essendo stati diagnosticati quali bambini con disturbi specifici dell’apprendimento. Questo perché, oramai è risaputo, la modalità didattica-pedagogica utilizzata spesso con i bambini, è oggi inadeguata e porta a un rallentamento, se non addirittura a un blocco delle prestazioni didattiche, ovvero delle capacità cognitive. (D. Lucangeli, 2019). Eliminata la cattiva didattica e pedagogia, ripristinata l’autostima e la fiducia in se stesso che ogni bambino dovrebbe poter acquisire con la crescita attraverso le relazioni con l’adulto significativo, lo stesso recupera.

I metodi didattici alternativi utilizzati dai logopedisti o dagli psicologi che pensano di recuperare le carenze scolastiche facendo passare il loro “fare didattico” per un atto curativo, non sono affatto atti medici, ma banalmente e sostanzialmente metodi didattici innovativi, spesso studiati e messi a punto da psicologi per aiutare bambini con difficoltà, ma che possono essere utilizzati con tutti i bambini, da tutti gli insegnanti. Parliamo quindi e comunque di didattica, non di cura o riabilitazione. Voglio dire, gli studi di psicologia hanno compreso quello che i pedagogisti avevano già da tempo scoperto e che non hanno mai avuto voce nel raccontarlo, in quanto la professione pedagogica è stata riconosciuta solo nel 2017 nonostante la grandissima Maria Montessori. A tal proposito, vorrei continuare a ricordare (come spesso faccio negli articoli), che la straordinaria psichiatra e pedagogista Maria Montessori, che si occupava di bambini ai suoi tempi definiti “deficienti”, aveva già dimostrato (quindi più di cent'anni fa) che il problema non era medico, ma pedagogico (M. Montessori, 1917). Non a caso lei ha studiato, messo a punto e costruito materiale didattico-pedagogico per far sì che i bambini “deficienti” imparassero a leggere, scrivere e far di conto come gli altri; materiale questo, che oggi viene utilizzato da tutti gli insegnanti senza considerare per chi, cento anni fa, fosse stato pensato e realizzato. Ripeto: oggi nessuno mette in discussione il suo materiale didattico utilizzato nelle scuole montessori e da tante altre, seppur creato per bambini “deficienti”.

Tornando al discorso della certificazione, lo stesso non dice nulla di quel bambino, dato che è da più parti dimostrato come la difficoltà di apprendimento sia il frutto dell’ambiente in cui vive il piccolo e delle relazioni che lo hanno circondano fino a quel momento. Se così non fosse, il bambino non potrebbe migliorare, né eventualmente con i logopedisti, né con gli psicologi, né tantomeno con i pedagogisti. Il bambino cambia, perché il professionista che lo affianca adotta un metodo pedagogico-didattico (consapevolmente o meno), differente da quello che il bambino ha ricevuto fino a quel momento. Non vi è alcuna prova scientifica che i disturbi dell’apprendimento siano riconducibili alla genetica o alla neurobiologia e se così fosse il danno sarebbe permanente, che significa che non ci sarebbe alcun miglioramento. Piuttosto si può parlare di difficoltà psicologiche e pertanto ambientali/relazionali che possono essere superate cambiando appunto, l’approccio pedagogico e la didattica.

Quindi al pedagogista consapevole della sua professione, la certificazione non serve. Per un lavoro pedagogico di recupero delle carenze scolastiche il pedagogista consapevole della sua professione non ha alcun bisogno di conoscere numeri e misurazioni mentali del bambino. Ha bisogno invece di entrare in relazione con la famiglia, di guardare il bambino con vero interesse, intuendone le frustrazioni e le difficoltà e muovendosi di conseguenza; oltre che saper comprendere il livello scolastico da cui parte e applicare una didattica facilitata che consenta al bambino rimasto indietro di recuperare le carenze, recuperare la delusione di non riuscire nel compito, e innescare in lui/lei una nuova sensazione di speranza e di reale possibilità di raggiungere gli obiettivi come tutti gli altri bambini senza farlo sentire un diverso o un malato.  Pertanto il pedagogista non ha bisogno di competenze mediche, ma piuttosto di quelle umane: che pur non son scontate!



Le attività didattiche usate da logopedisti e psicologi.

Tra l’altro, uno degli strumenti più utilizzati dai logopedisti, per le attività didattiche, spesso strutturate, pensate e realizzate dagli psicologi, è il computer. Temo però che questo uso e spesso abuso degli strumenti informatici contrasti moltissimo con una delle teorie più accreditate per lo sviluppo cognitivo del bambino: ovvero il fatto che isolandolo davanti a uno schermo, il computer gli permette di produrre solo automatismi che indeboliscono sempre di più l’autonomia dell’apprendimento, rendendolo quindi meccanico e pertanto mai realmente efficace ed efficiente per i nuovi saperi. In poche parole non permette che al bambino si sviluppi l'autonomia della cognizione o la capacità dell’intelligere, che cresce attraverso la relazione umana. Oltre al fatto che il suo utilizzo, per le difficoltà di apprendimento, ha senso e gli è veramente utile, se il bambino sa utilizzare il computer con le 10 dita (Dislessia, Erickson 2013).

Torno così a ripetere che ogni professionista dovrebbe avere un’idea chiara di quale sono le proprie competenze; e anche se i disturbi dell’apprendimento (dislessia, discalculia, disortografia, disgrafia) vengono indirizzati verso le professioni mediche o paramediche, senza peraltro supporti scientifici adeguati e realistici a comprovare la necessità di un loro intervento, continuerò a ribadire che le difficoltà scolastiche mettono radici nelle cattive relazioni che inibiscono la capacità di apprendere del bambino, ma che proprio per questo sono assolutamente superabili. Dico anche che il parametro valutativo non serve a migliorare un rendimento, ma solo a creare altra incapacità demoralizzando il bambino e demotivandolo. Certo, se poi la certificazione serve all’adulto perché il proprio pargolo possa andare avanti nell’attività scolastica con il minimo sforzo o per non sentire le lamentele dei docenti deresponsabilizzandosi quali genitori, allora è un altro discorso.

dr.ssa Tiziana Cristofari
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