sabato 6 marzo 2021

Bambini felici a scuola. Ecco come

 

Bambini felici a scuola. Ecco come
Una delle situazioni che reputo fondamentale quando insegno (ai bambini o agli adulti), è sapere che loro stanno bene in quelle ore che passano con me. È importante questo per diversi motivi: perché stanno più attenti, apprendono meglio e tornano alle loro case e ai loro affetti, felici. Quindi stare bene è una prerogativa per rendere felici i bambini di andare a scuola e se questa è una prerogativa, va perseguita a tutti i costi.

Vi dico subito che far star bene gli studenti dipende unicamente da noi docenti. Qualcuno obietterà che a volte gli studenti arrivano a scuola già arrabbiati o pensierosi o di cattivo umore. Vero. Ma lo stato d’animo maldisposto, si maldispone nella relazione. Pertanto come una relazione può rendere di cattivo umore uno studente, allo stesso modo un’altra relazione glielo può far cambiare. Facciamo un esempio che a tutti è capitato almeno una volta (se non spesso) nella propria vita. Ho litigato con mia sorella/fratello o con mia madre/padre e sono furiosa. Ho bisogno di sfogarmi e vado da un’amica che mi ascolta. Piano piano quella sensazione di rabbia si allenta nel raccontare l’accaduto e con l’amica riesco addirittura a ridere di qualche cosa. 

Ai bambini succede esattamente la stessa cosa. Si può arrivare a scuola arrabbiati e poi la maestra simpatica, affettiva, che ci fa parlare anche dei nostri momenti no, ci cambia di umore. Conclusione: l’umore dei nostri studenti dipende esclusivamente dalla relazione che la docente instaura con loro. Ma non solo in positivo intendiamoci, anche in negativo. Entro a scuola che sono felice e ne esco sconvolto, la causa ne è l’insegnante. Qualcuno però può anche obiettare che spesso il malumore dei bambini si forma nelle loro stesse relazioni: perché bisticciano, competono, trovano il modo per infastidirsi. È vero, ma il bravo docente non permetterà loro di tornare a casa con una situazione di rapporto irrisolta che si è creata in classe. Il bravo docente mette pace tra le liti, non permette che si creino competizioni, trova il modo di impegnare il fastidioso. 

Pertanto abbiamo capito che per stare bene a scuola dobbiamo stare bene nelle relazioni e che quel benessere è responsabilità del docente.

Sì, ma come si fa a creare una buona relazione che percepisce e contrasta il malumore?

Più di una mamma ha constatato che il proprio bambino dopo aver fatto lezione con me è di buon umore; e allora vi racconto quello che faccio io, con risultati decisamente positivi.

Come prima cosa a ogni incontro, attendo che i bambini prendano posto e si mettano comodi, e lo faccio con un grande sorriso vero stampato sulla bocca. Poi uno a uno chiedo loro come stanno. Se sono a conoscenza di qualche fatto personale di cui il bambino vuol parlare, lo invito a farlo; se so che c’è stato qualche evento il giorno prima, chiedo come è andato; se qualche bambino lo vedo diverso rispetto al giorno precedente (più introverso o triste), gli chiedo cosa lo ha cambiato. Ovvero quello che faccio come primo atto educativo in classe è metterli a loro agio, metterli nella condizione in cui possono stare al meglio dal punto di vista, prima fisico e poi psicologico, perché il benessere comprende entrambe le situazioni. 

Dopo aver dedicato i primi minuti alla loro situazione personale, comincio la lezione. Nelle mie lezioni non si alza mai la voce, né io nei loro confronti, né loro nei miei o tra di loro. In questa realtà ci sono vari metodi per evitare che le voci si alzino, tra i quali quelli Montessori o tanti altri trovati sul web, oltre ovviamente alla calma della docente. Uno che mi piace moltissimo è quello della “bacchetta magica”: si parla solo se si ha in mano un bastoncino, e funziona. Certo, non è la bacchetta magica, pertanto i primi tempi c’è sempre lo studente che se ne dimentica, ma se l’insegnante la fa diventare un’abitudine, poi funziona benissimo. La questione è che per farli entrare nell’ordine di una modalità di essere, bisogna perseverare, se ci si arrende alla prima difficoltà, suggerisco agli insegnanti di cambiare mestiere.

Un’altra realtà è quella che definisco “sdrammatizzazione”, ovvero la capacità del docente di non far sentire inadeguati gli studenti più lenti, che significa non farli entrare in competizione con quelli più bravi, trovando soluzioni simpatiche agli errori, cioè facendo passare l’errore come fosse un “riparti dal via” del gioco del Monopoli. Nulla ci impedisce di vincere, ma qualcosa ci può ostacolare, l’errore appunto. 

Quando l’insegnante si pone in un’ottica di calma e di vitalità per cui trova nella sua vitalità la creatività di interventi alla tolleranza, all’uguaglianza e alla cooperazione, il clima di classe si distende, diventa sereno. E se per qualche motivo succede un bisticcio è assolutamente vietata la punizione o la ricerca del colpevole, ma è incentivato, da parte dell’insegnante, l’invito a far pace, a riconoscere che per litigare c’è bisogno di essere in due e che se c’è un vincente, dall’altra parte c’è un perdente, ma loro devono poter vincere tutti, perché si sta meglio, perché così si diventa felici di andare a scuola.

Per tutti coloro che leggeranno il pezzo e vorranno obiettare trovando scuse di varia natura a quanto detto, rispondo con una frase di A. Einstein: “Chi dice che è impossibile non dovrebbe disturbare chi ce la sta facendo”.


Dr.ssa Tiziana Cristofari

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