sabato 3 gennaio 2015

Ecco come aiutare i vostri figli e studenti ad avere più autostima. II parte.

Seconda parte: Quale sono gli atteggiamenti positivi da adottare.

Il precedente articolo cominciava così.
L’autostima è una delle caratteristiche fondamentali di ogni persona.
Avere autostima significa riuscire meglio nella vita in ogni suo aspetto; significa non permettere agli altri di farci del male; andare fino in fondo ai nostri obiettivi; avere più coraggio; saper sostenere una propria idea o opinione, ecc. 
Ma l’autostima sfortunatamente non si acquista, non si regala, non si può rubare né prestare e, badate bene, non si può insegnare come fosse una materia scolastica. L’autostima si può solo costruire lentamente nel tempo con un giusto rapporto tra genitori-figli e docenti-studenti. Pertanto sia i genitori che i docenti, devono fare un lavoro molto importante, impegnativo, affettivo nei confronti dei propri figli o dei propri studenti, se vogliono permettere ai bambini, di costruirsi l’autostima che gli servirà per tutta la vita.
E allora? Come si fa a permettere che i nostri figli e studenti si costruiscano l’autostima?
Abbiamo parlato di quali sono gli atteggiamenti da non usare assolutamente (Ecco come aiutare i vostri figli ad avere più autostima. Prima parte: Quali sono gli atteggiamenti negativi da evitare.), oggi parleremo di quali sono gli atteggiamenti che invece devono essere adottati.
Innanzitutto dobbiamo osservare l’atteggiamento di noi adulti, perché un bambino sicuro di sé lo è perché gli adulti gli trasmettono sicurezza. E come si fa?

Intanto vorrei far presente che non farò un decalogo di 10 punti banale e scontato degli atteggiamenti da adottare come quelli che si trovano spesso sul web, perché penso che su questi argomenti sia importante non illudere le persone (i genitori soprattutto) dando “dritte” di comportamento che il più delle volte non servono a nulla, ma vi vorrei indirizzare su quel ragionamento che nella formazione pedagogica ci permette di fare la differenza. È chiaro che per cambiare non basta leggere le mie parole e pensare di volerlo, ma con costanza e impegno, bisogna metterlo in pratica. È altrettanto chiaro che non è facile adottare certi atteggiamenti e soprattutto richiede da parte di voi genitori e insegnanti molto coraggio nel mettervi in discussione e nel modificare i vostri comportamenti. Se siete disposti ad assumervi la responsabilità di essere “migliori” (perché d’imparare non si smette mai, soprattutto perché non si va a scuola di “come essere buoni genitori”), allora avete già vinto! Perché il segreto è tutto qui, nel volersi guardare dentro, nell’accettare anche di aver sbagliato e non commettere più lo stesso errore. Ricordatevi che sbagliare è umano, ma perseverare è veramente diabolico, soprattutto quando ci ostiniamo a ignorare i nostri errori.
C’è da dire che i bambini sanno perdonare e dimenticare moltissimo, cosa che noi adulti il più delle volte non sappiamo fare. Quindi se siete pronti a rimettervi in discussione, continuate a leggere.
Nel precedente articolo ho scritto che per permettere a un bambino di diventare in un certo modo, noi dovevamo essere in un certo modo. Quindi, se vogliamo bambini che si sentono sicuri, dobbiamo innanzitutto dargli sicurezza. E come si fa? Per esempio non sminuendo le sue paure. Ad esempio: se per la prima volta cambia scuola è molto probabile che fantasticherà moltissimo sul nuovo ambiente. E le sue fantasie saranno sia sui lati positivi (si spera) che su quelli negativi. Se non avete un grande rapporto di stima e fiducia già instaurato con lui o lei, naturalmente il bambino/a non vi dichiarerà le sue paure, ma le esprimerà con il pianto, dicendovi che non vuole cambiare scuola, che non avrà amici, protestando con capricci di varia natura ecc. Il vostro atteggiamento deve essere non solo positivo e sostenere il fatto che si inserirà facilmente, ma soprattutto non deve sminuire le sue paure. Ad esempio: se vi dice che non avrà amici perché gli altri si conoscono già tutti, è una probabilità concreta che questo succeda, soprattutto per i primi giorni di scuola; quindi rispondere soltanto dicendo che non è vero, non lo aiuta, anzi lo intimorisce ancora di più, perché lui/lei non può avere certezza delle vostre parole e soprattutto penserà che voi non lo abbiate capito.
Le parole giuste sono: “Potresti avere ragione (rafforzare il suo sentire senza negarlo), ma solo per i primi giorni finché anche loro (i nuovi compagni di classe) non ti avranno conosciuto”. Questa frase non sminuisce la sua paura, ma soprattutto permette al bambino di comprendere che VOI lo avete capito nei suoi timori. E in questo modo avete messo un mattoncino nella costruzione del giusto rapporto con voi, del giusto rapporto di sicurezza in se stesso e in voi, che con il tempo diventerà autostima.
È importante ricordare che i bambini vivono molto in modo spontaneo, questo significa che ciò che per noi può sembrare assurdo, scontato, non vero, non lo è per loro. Se noi assumiamo nei suoi confronti atteggiamenti ostili, magari pensando che mente, che non è vera quella certa paura, gli stiamo passando una comunicazione che gli dice che noi non crediamo in lei/lui. Ad esempio: se torna da scuola dicendovi che ha preso una nota perché ha litigato con un altro compagno di classe e voi vi limitate a prendere atto della nota e a sgridarlo/a senza capire realmente cosa è successo non dandogli/le la possibilità di raccontare l’accaduto, lei/lui si sentirà non compreso. Quel sentirsi non compreso distrugge letteralmente la sua autostima perché per lei/lui voi siete il punto di riferimento che viene a mancare. L’atteggiamento giusto da adottare è: domandate dell’accaduto cercando di comprendere se dice tutto; se non vi convince fino in fondo quello che vi sta dicendo, continuate a domandare. Poi chiedete a lui/lei se quella nota gli/le sembra giusta, ossia se, se l’è meritata, oppure no. Quasi sempre i bambini dicono la verità su ciò che pensano, soprattutto se noi nel domandare non alziamo la voce, non accusiamo, non siamo prevenuti su ciò che sta raccontando e se gli/le facciamo intuire di credergli/le.
Il più delle volte poi i/le bambini/e, sanno riconoscere se una punizione è giusta o sbagliata. E domandare a loro se la punizione l’hanno meritata o meno, è un modo per responsabilizzarla/o e permettergli/le di accrescere enormemente la sua autostima, ma anche la stima nei vostri confronti che gli avete permesso di parlare liberamente e lo/la avete ascoltata/o veramente.
Fin dal passato più antico i/le bambini/e sono sempre stati disciplinati a non esprimere il pensiero se contrario a quello degli adulti. Per secoli è stato uno degli errori più grossi a livello formativo, ma anticamente non c’era consapevolezza della mente del bambino, oggi sì.
Oggi certi atteggiamenti non sono più accettabili, perché oggi si sa che un bambino/a sente e vive le situazioni esattamente come gli adulti. Noi però ancora non siamo abituati-educati e soprattutto usciti, da questa idea di disciplinamento, perseverando nell’errore di pensare che i bambini non sentano e non comprendano. Ricordatevi che ascoltare, senza giudicare, facendo esprimere il parere del bambino o della bambina sempre, è un modo quasi unico per costruire in lei/lui l’autostima in sé e nei propri genitori.
Ma veniamo agli insegnanti. Come docente accolgo i miei studenti senza eccessive effusioni, molti mi hanno chiesto perché non bacio e abbraccio i miei piccoli studenti come fanno gli altri insegnanti.
Non è del tutto vero ciò che affermano, anch’io mi ritrovo a porgere una guancia o a stringere tra le braccia le piccole cucciole o i piccoli cuccioli. Il fatto è che io lascio agli studenti questa iniziativa, perché molti di loro non sono inclini a baci e abbracci e questo movimento va rispettato. Certo è, che non ci si può e non ci si deve sottrarre se lo studente di sua iniziativa lo fa. Quindi massimo rispetto per un atteggiamento delicato e personale come l’abbraccio e il bacio, ma allo stesso tempo se c’è richiesta ci deve essere risposta.
Con questo discorso cosa c’entra la stima di sé? Il bambino deve essere libero di gestire il suo sentire affettivo. Con mamma e papà è facile perché c’è più confidenza. Ma con gli estranei (perché i docenti per loro sono degli estranei!), ci vuole il rispetto degli insegnanti nei confronti dei piccoli, perché i piccoli possano a loro volta imparare che negli affetti non c’è prepotenza adulta, ossia quella condizione di soggezione che spesso gli adulti propinano ai piccoli: per cui siccome io sono adulto e ti voglio dare un bacio, tu non ti puoi sottrarre! E se a me quell’adulto non mi piace? Certo il bambino non lo dice a parole, ma lo potrebbe esprimere allontanandosi mentre gli stiamo dando un bacio o pulendosi la guancia, anche se non gliel’abbiamo sbavata. Se a me una persona non piace, certo non la bacio, perché costringere i piccoli a farlo?
In classe, l’atteggiamento dell’insegnante che vuole aiutare i suoi studenti a costruirsi sempre più autostima è improntato alla fiducia che deve nei confronti dello studente stesso e alla sua capacità di docente di creare rapporto. Fiducia significa che l’insegnante non dimostra in alcun modo nessun pregiudizio nei confronti dello studente. L’insegnante deve pensare che lo studente ce la può fare, qualunque sia il punto di partenza dell’allievo/a. Se l’insegnante ha un solo dubbio sulla riuscita scolastica di un/una alunno/a, fondato o meno che sia, non riuscirà mai a costruire un rapporto di fiducia con lo studente e lui/lei percepirà fin da subito che non ce la può fare. Chiaramente questo pensiero impedirà la formazione di autostima. Facciamo degli esempi. Se io noto che un/una alunno/a ha tempi di apprendimento più lunghi degli altri bambini e comincio a pensare che potrebbe essere dislessico senza avere nessuna diagnosi che lo certifica, io per prima trasmetterò all’alunno/a un pensiero di impossibilità di riuscita nello studio che diventerà realtà nell’alunno/a stesso/a. Ma anche se avessi una certificazione di diagnosi di dislessia, gli insegnanti hanno l’obbligo di credere nella riuscita di quell’alunno/a. Perché la diagnosi di dislessia, non è una diagnosi d’impossibilità allo studio, al più ci sono degli strumenti che semplificano la metodologia di studio, nulla di più e nulla di meno. Quindi ricordatevi bene che credere nelle potenzialità di uno studente parte da voi docenti. Ogni studente ha le sue potenzialità, ma a ogni studente va data fiducia, sempre, anche quando sbaglia. Perché dopo che ha sbagliato, gli si può far capire qual è la strada per farlo correttamente e da lì far partire il cambiamento. E più ci crediamo noi insegnanti, più gli diamo fiducia, più ci accorgeremo che risponderà alle nostre sollecitazioni in modo positivo.
Come avete visto ho fatto solo qualche cenno a un corretto atteggiamento da adottare nei confronti dei propri figli o studenti. Potrà sembrarvi poco o di aver ancora bisogno di sapere. E allora sta a voi approfondire. I miei articoli sono solo uno stimolo a migliorarvi. Facciamo un piccolo ragionamento. Se con un decalogo di 10 regole, che apparentemente vi potrà sembrare esaustivo per cambiare la situazione con i vostri figli, per far sì che poi in famiglia o a scuola vada tutto bene, mi spiegate perché i pedagogisti studiano 5 anni per laurearsi e diventare degli esperti di crescita, formazione e didattica? Se bastassero le 10 regoline che spesso gli psicologi ci propinano sul web per far funzionare i rapporti, mi spiegate perché studiano anche loro tanti anni e poi ci fanno fare sedute che durano a loro volte altrettanti anni?
Quando scrivo i miei articoli, non voglio prendere in giro nessuno. Posso spiegare alcune dinamiche di rapporto, ma poi tutto il lavoro lo dovete fare voi genitori e insegnanti con gli stimoli che posso trasmettervi sì, ma non sarò certo io o le mie parole a fare la magia del cambiamento, e questo deve essere chiaro. Io vi posso indirizzare, vi posso portare per mano, ma il cambiamento e la trasformazione spetta a voi.
Io continuerò a scrivere di educazione, crescita, formazione, didattica perché questa è la mia passione e perché l’altra passione è scrivere. Quindi continuerò a comunicare con tutti voi attraverso i miei romanzi di formazione, i miei articoli sul blog e a insegnare direttamente e indirettamente con i miei DVD. Ma tutto questo senza creare false illusioni e semplificazioni di una vita relazionale complessa e molto personale, come quella tra genitori-figli e docenti-studenti.

Dr.ssa Tiziana Cristofari
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