lunedì 26 giugno 2017

Don Milani disprezzava il divertimento.

Ultimamente Papa Francesco ha riabilitato Don Milani come “uno dei pochi e veri uomini che hanno saputo servire i poveri, il Vangelo e la Chiesa”. Lo riabilita in nome di una scuola sempre evidentemente più cattolica e privata, a scapito di quella laica e pubblica odiata da Don Milani come è ampiamente evidente nel suo famoso libro Lettera a una professoressa*. Ma questo libro non è l’unico suo scritto sulla scuola, ce ne sono altri che non hanno avuto lo stesso impatto ideologico di Lettera a una professoressa, ma che raccontano il suo, a mio giudizio, assurdo, coercitivo, caritatevole pensiero educativo che oggi molti pedagogisti ancora enfatizzano fino a negare la propria identità in nome di un personaggio che fa più discriminazioni pedagogiche di quante sostiene di condannare.

Da un estratto di Ore di straordinaria follia di Tiziana Cristofari*:

Adesso lo ritroviamo in un altro suo scritto Una lezione alla scuola di Barbina. Però, come vi accennavo, lo ritroviamo sì, ma con una sensazione di rammarico per quel sottile atteggiamento repressivo sull’attività ludica. Cosa successe?
In ‘Una lezione’ conversando con le studentesse, in riferimento alla necessità o meno, alla voglia o meno, alla motivazione o meno, del piacere di recarsi presso una sala da ballo, don Milani asserì che a ballare ci vanno coloro che non sanno cosa farne del tempo a disposizione e che, proprio coloro che non riescono a trovare altra occupazione più ‘intelligente’, sono da considerarsi addirittura delle persone ‘anormali’. Sentite un po' cosa riesce a dire:
Il divertimento serve soltanto a quelli che non riescono a riempire decentemente le ventiquattro ore della giornata. […] Anche a me pare molto giusto che un povero anormale, cui la vita pare troppo, che non ha ideali sufficienti per riempire le ore della sua giornata, alzi e abbassi dei cartoncini o i piedi sul pavimento, per divertirsi. Ma io il divertimento non l’ho mai cercato e non lo cerco. Mi vergognerei di ‘divertire’ la mia bella vita. Se una bambina alla vostra età non ha ancora deciso di riempire la propria vita rendendosi utile al prossimo, poverina!!! Ballonzoli allora in attesa che le venga da qualche parte l’ispirazione.


Non trovate che dice delle cose terribili?».
Disse Luisa: «Dice le stesse cose che diceva la nipote del don Chisciotte: che era matto perché leggeva ed evadeva in un'altra dimensione! Ritorna ancora una volta il concetto di pazzia, anormalità».
«Esattamente, e lo fa quattrocento anni dopo l'uscita del Don Chisciotte e cento anni dopo l'uscita di Emma Bovary.
È la totale negazione della possibilità dell'uomo di fare quello che ci distingue come esseri umani: fare cose inutili! E come potete vedere nel tempo le cose sono cambiate pochissimo».
«Perché dice così? Perché dice che gli esseri umani si distinguono dagli altri esseri perché fanno cose inutili?» chiese Romina.
«Non è forse così? Voi avete mai visto un animale accendere un televisore e guardarlo, oppure sentire musica, oppure dipingere… o che ne so, inventarsi un ombrello per ripararsi dalla pioggia? Tutte queste cose sono cose inutili, non servono alla sopravvivenza! E non le ha mai immaginate o fatte o inventate nessun altro essere vivente, all'infuori dell'uomo. Avete forse mai visto un animale fare all'amore per gioco? No, l'animale si accoppia solo per la procreazione. Pertanto solo gli esseri umani, gli uomini e le donne fanno cose inutili.
La Chiesa, con don Milani, ci fa capire molto bene che vuole castrare, negare, distruggere questa possibilità di star bene con se stessi e con gli altri.
Pertanto, ci viene il dubbio che, essendo stata la Chiesa, per molti secoli, l’artefice indiscussa dell’istruzione e dell’educazione del giovane, e che avendo avuto questa posizione intransigente al divertimento, all’evasione, al controllo, sia diventata essa stessa il motivo di tanti ritardi su piani pedagogici e per una comprensione del valore ludico.
Figuriamoci poi, se questo valore tentiamo di affiancarlo all’attività didattica, per esempio con la lettura: anche se devo dire che oggi, le scuole cattoliche su questo modo di fare didattica, si stanno adeguando. Ma penso lo facciano non tanto perché ci credono, ma piuttosto perché perderebbero la credibilità, con la nascita delle nuove scienze pedagogiche».
Disse Enrica: «E poi comunque i loro testi sono ancora infarciti di idealismo religioso… Io ho una cugina che va alla scuola cattolica, qualche volta l'aiuto a fare i compiti… i libri di italiano sono tutti incentrati su discorsi moralistici e religiosi… e sa quanti ne ha di religione? Addirittura tre».
«Ma che razza di scuola frequenta!» chiese Daniel.
«Le elementari! …vabbeh, ora si chiamano primarie…» rispose la compagna.
Dissi: «Purtroppo è così!
Ma torniamo agli anni Sessanta/Settanta. Nella parte profonda della mente, anche se don Milani aveva saputo fronteggiare i suoi stessi padri, quella castrazione psichica, relazionale ed emotiva, nata nell’ideologia cristiana-cattolica, albergava comunque in lui. Quindi è impossibile scindere – anche se sicuramente lo sappiamo apprezzare per alcune cose fatte – il maestro rivoluzionario degli anni ’60, dall’abito che indossa. Io invece ritengo che sia essenziale e fondamentale il vostro benessere psichico e da questo presupposto fondamentale, parto. Pertanto, nel momento in cui riusciamo ad apprezzare la piccola personale rivoluzione di don Lorenzo, ci è impedito accettare la sua impostazione relazionale negante una libertà ludica ed individuale».
«Ma questo è comunque ciò che avveniva nel passato!» affermò Michele.
«Sì, io sto facendo una carrellata, avanti e indietro nella storia, per spiegarvi come gli eventi si sono evoluti, come sono cambiati… se, sono cambiati ecc. e perché ci troviamo in certe situazioni. Poi chiaramente dovete considerare i passaggi storici e le circostanze attuali di ogni periodo storico». Gli sorrisi, poi continuai:
«A volte mi sono chiesta se anche mia madre la pensasse come don Milani» dissi ad alta voce ma quasi tra me e me.
«Perché?» chiese Stefania.
«Perché io da bambina non ho mai partecipato alle fese dei miei amici, se non a quelle del mio compleanno che qualche volta lei organizzava a casa: erano due l’anno una per me ed una per mia sorella. Quei compleanni spesso venivano limitati al festeggiamento in famiglia, senza la partecipazione degli amici. Raramente mi permetteva di invitarli, ma non saprei dire oggi cosa facesse la differenza, perché a volte potevo festeggiare con gli amici a volte no…».
«A seconda del suo umore…» azzardò Stefania quasi a leggermi nel pensiero.
Risposi: «Sì, il suo umore c'entrava molto.
Ed era proprio in quei contesti sporadici, in cui partecipavano anche gli amici che a me nasceva il dubbio che quei momenti fossero una vita reale. La rarità dell’evento era vissuta come un’eccezionalità, concessa da un dono divino, magico».
«Perché?» chiese Luisa.
«Io la vivevo così, anzi lei me lo faceva vivere così. Organizzava la festa e poi me la faceva vivere come un evento eccezionale, non una cosa bella, ma scontata, che fanno tutti… Perché non si dovrebbe festeggiare un compleanno? Tutti lo fanno! È nella nostra cultura! Ma non sembrava proprio che io la vivessi così. Mentre giocavo con gli altri, ricordo che mi fermavo a chiedermi perché mi stessi divertendo tanto: in fondo, mi dicevo, tutto quel divertimento che provavo molto presto sarebbe finito».
«Ma così è angosciante! Era quasi meglio non viverlo un compleanno con quei pensieri» disse Enrica.
Continuai: «Quell'evento eccezionale, concesso senza affetto, senza trasporto, ma quasi per dovere, quella occasionalità di rapporti festaioli con i coetanei mi imprigionavano nell’idea che non avevo il diritto a quel divertimento, che il viverlo era solo un momento fortunato che il fato o la bontà di mia madre mi avevano concesso. Non era fatto pensando a me. Pensando che avessi raggiunto un nuovo traguardo con l'età anagrafica, no, per lei era soltanto un dovere che ogni tanto sentiva di dover assolvere. Pensiero questo, che mi portai dietro per moltissimi anni anche dopo l'adolescenza. Motivo in più, per abbracciare la lettura: era l’unico modo che avevo di evadere liberamente! La felicità del divertimento evasivo e del fare la cosa inutile, la trovavo là, nei libri. E lì in quei libri, nessuno poteva invadere il mio campo o farmi sentire l'angoscia dell'occasionalità. Nessuno poteva farmi sentire in colpa di essere felice leggendo!».


*G. Di Benedetti, Don Milani falso ribelle che odiava la scuola pubblica, in Left 17 giugno 2017
** T. Cristofari, Ore di straordinaria follia, Europa Edizioni