mercoledì 14 giugno 2017

Docenti e genitori: una disputa continua. Quando la famiglia deve rimanere fuori dall’aula scolastica.

È una vecchia storia. 
Da anni oramai i docenti hanno perso il loro ruolo e i genitori hanno acquistato una certa prepotenza nei loro confronti. Ma non è neanche tutto vero. Con questa storia dei disturbi dell’apprendimento, i docenti spesso si sentono “preparati” a fare diagnosi e con piglio quasi autoritario pretendono che i genitori sottopongano i propri figli ad accertamenti diagnostici spesso deleteri per il rendimento scolastico di questi bambini. Insomma: insegnanti che non insegnano, genitori che non educano, queste sono i rinfacci che i primi rivolgono ai secondi e i secondi ai primi, come in un circolo vizioso da cui difficilmente se ne esce. Ma di chi è la colpa: dei primi o dei secondi?



Come pedagogista dico che non è di nessuno dei due. La causa piuttosto è nella carenza endemica… anzi no, nella totale assenza di pedagogia!
Cos’è la pedagogia? È sapere come crescere nel migliore dei modi i nostri figli e i nostri studenti. Sì, perché far crescere in un certo modo bambini e poi adolescenti, non è un’esclusività della famiglia o una realtà spontanea del “come viene viene”, ma una conoscenza pedagogica particolare data dalla relazione educativa familiare e scolastica, che deve potersi instaurare in famiglia tra genitori e figli e a scuola tra docenti e studenti. Nessuno escluso.
Però nella realtà di oggi, completamente all’oscuro per ciò che è una relazione educativa, gli adulti instaurano spesso rivalità tra ciò che è competenza della genitorialità e ciò che è competenza dell’educazione pura (intesa come l’insieme dello sviluppo del pensiero critico e della conoscenza) che dovrebbe, in base alla nostra Costituzione, avvenire a scuola.
Mi spiego meglio. Le mani nel naso che non si mettono, le parolacce che non si dicono, il giusto comportamento a tavola, il tono della voce adeguato farebbero pensare ad una competenza genitoriale; di contro imparare a leggere e far di conto, la storia e la geografia ce li immaginiamo competenza del maestro. Ma non è così e vi spiego il perché.
Il concetto di pedagogia trova le sue radici nella relazione educativa, sia che si chiami relazione educativa genitori-figli, sia che si chiami relazione educativa docenti-studenti. Quel che conta veramente in questa relazione è ciò che siamo noi adulti. 


Quindi, se io madre mi occupo dell’estetica di mio figlio mandandolo a scuola pulito perché altrimenti temo il giudizio altrui, ma poi  non mi lavo mai le mani, non sto educando mio figlio; se dico a mia figlia di non dire le parolacce, ma poi bestemmio tutti i giorni, non sto educando mia figlia; se dico ai miei bambini di non mettersi le dita nel naso davanti alle persone, ma quando io sono in auto faccio una gran pulizia non curandomi degli sguardi altrui, non sto insegnando niente ai miei figli. Ecco, in tutti questi casi e altri, non sto facendo il mio compito di genitore, anche se a parole raccomando loro un certo comportamento. Stesso discorso vale per il docente: se entro in aula e non saluto mai i miei studenti, però chiedo loro di farlo, non sto compiendo il mio lavoro; se quando spiego grido, ma chiedo ai miei alunni di non farlo quando giocano in cortile, come posso pensare di insegnargli qualcosa?
Stesso discorso si può e si deve fare sulla formazione del pensiero critico e della cultura in generale a cui è destinata l’attività pedagogica e didattica a scuola. Se ai miei studenti faccio sempre lezioni frontali noiosissime, dove penso di dire solo io la cosa corretta e loro devono ripetere a pappagallo, costringo gli studenti a una partecipazione praticamente nulla. Così facendo non permetterò certo la formazione del libero pensiero e della libera espressione pregiudicando anche la loro autonomia, capacità critica e l’autostima. Stesso discorso a casa. Se un bambino chiede alla famiglia dove andranno in vacanza e la risposta è semplicemente a Rimini, senza spiegargli che è un posto di mare, senza fargli vedere sulla cartina geografica dove risiedono e dove invece saranno durante le vacanze, il bambino non potrà farsi un’idea della vastità e complessità del mondo, ma soprattutto, e questa è la cosa più grave, nessuno, né a scuola e tantomeno a casa, avrà saputo instaurare una relazione educativa.

Ora mi direte, e cosa c’entra tutto questo discorso con il fatto che la famiglia deve rimanere fuori dall’aula scolastica?
Ciò che ho detto fino ad ora sta solo a dimostrare che il concetto di pedagogia, formazione e crescita non può essere delegato a nessuno in modo specifico, né da parte della famiglia alla scuola, né da parte del docente alla famiglia. Entrambi ne sono coinvolti e ne sono responsabili, ognuno nella propria singola realtà familiare o scolastica. Cerchiamo quindi di capire come è possibile evitare lo scontro tra due realtà che tutto sommato hanno gli stessi obblighi, accennando prevalentemente alla realtà scolastica che è la principale imputata.
Le motivazioni di discussione tra docenti e genitori sono prevalentemente le note, le lamentele da parte dei docenti del cattivo comportamento degli studenti e del loro scarso rendimento. No, scusate, mi sono sbagliata: queste sono le scuse!
Ora andiamo alla realtà dei fatti. Prima dicevo che nella scuola non c’è e non si sa neppure cosa sia, la pedagogia. Invece, se si sapesse, si scoprirebbe che la pedagogia non ammette note, impedisce cattivi comportamenti in classe e coltiva solo buoni rendimenti scolastici. Detto così si direbbe che la pedagogia è la panacea! Esattamente! Voi siete vissuti negli anni in cui Fleming scoprì la penicillina? Qualcuno a quei tempi probabilmente urlò al miracolo, ma noi no, crediamo nella scienza medica e altrettanto in quella pedagogica.
Se io docente conoscessi molto bene la pedagogia e la didattica nelle sue innovazioni e ultime scoperte per agevolare tutti, proprio tutti i bambini, rendendo semplice, divertente e partecipativo un lavoro di concetto molto impegnativo e faticoso, allora potremmo urlare ancora una volta al miracolo; no, scusate, proprio non mi piace, alla scienza pedagogia e alla didattica. Potremmo riconoscere una possibilità nei nostri studenti che non implichi una continua lamentela da parte del docente per questioni di cui i genitori non hanno potere, almeno fintantoché i bambini sono a scuola. Mi spiego meglio.



Se a scuola due bambini si sono picchiati e insultati, io docente avrei fallito nella mia professione se, indifferente e intollerante a quanto accaduto, mi limitassi a mettere una nota o mi lamentassi con le famiglie come purtroppo generalmente accade, perché scaricherei una responsabilità che mi appartiene sui genitori, che si aspettano di riprendersi i propri figli con la stessa serenità con cui (si spera) ce li hanno lasciati. Perché avrei fallito? Perché l’evento innanzitutto è successo a scuola quando erano sotto la mia responsabilità; perché non ho saputo trovare un modo per riappacificarli e spiegargli che il disaccordo ci può stare ma l’intolleranza porta solo odio e violenza; non facendolo avrei tradito la mia professione di formatrice, di insegnante a tutto tondo, perché la cultura della pace e della tolleranza si impara a scuola; e io, solo io, darei modo alla famiglia di odiarmi, perché mi sto lamentando di qualcosa di cui loro non sono responsabili; perché ho dato una nota che ha l’arma di infliggere frustrazioni devastanti nel pensiero in formazione di uno studente; perché non sono riuscita a gestire la classe ed era un mio preciso compito. Di ciò che affermo basta fare una semplice constatazione: quando due amici litigano a casa di uno dei due, il problema non si scarica sulla scuola, si risolve in famiglia. Perché allora la scuola dovrebbe scaricarlo sui genitori se l’evento, a cui i genitori non possono intervenire, è accaduto in classe? Spesso si fa con la giustificazione che il bambino non è stato sufficientemente “educato”, o perché i propri figli sono cresciuti violenti, attaccabrighe ecc. ecc. Ma abbiamo visto che ciò che impara il bambino è il comportamento dell’adulto, non ciò che si dice a parole, e questo fatto per chi conosce la pedagogia è un fatto concreto, non una semplice teoria. Pertanto anche il docente è parte di questa “educazione” alla vita che porta alla pace o all’odio, all’intolleranza piuttosto che alla cooperazione e così via.


Stesso discorso vale per i compiti: se i bambini non sono capaci di farli da soli a casa, l’insegnante non può lamentarsi con i genitori, dovrà fare di più e meglio a scuola affinché i bambini diventino autonomi, altrimenti ancora una volta il docente ha tradito la sua professione e ha anche creato disparità con i bambini che non possono essere seguiti a casa.
Intendiamoci, non che la famiglia sia esente dall’educazione di base che si esprime in classe inesorabilmente: ad esempio i bambini viziati sono spesso arroganti, prepotenti, bugiardi, maleducati (ovvero che hanno comportamenti non idonei per stare con gli altri) e perennemente insoddisfatti, e questo, cari genitori, è solo causa vostra.
È chiaro quindi: la pedagogia è una scienza complessa. Ha un ruolo familiare e uno scolastico. Nasce nel rapporto con lo studente o con la propria figlia e si riempie di responsabilità in ogni circostanza e in ogni realtà individuale o collettiva. Non è un optional, non è prorogabile. Non è accettabile che ancora oggi ci siano docenti che non la conoscano e scarichino sulla famiglia le loro profonde e straordinariamente meravigliose responsabilità di formare menti libere, creative, autonome e perché no, spesso anche geniali.

Dr.ssa Tiziana Cristofari

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Un titolo e un contenuto sicuramente contro tendenza, dato che libri e manuali sull’argomento parlano solo di come riconoscere i disturbi dell'apprendimento e quali sono gli strumenti dispensativi e/o compensativi per sostenere una realtà che, secondo la maggioranza della comunità scientifica, non ha soluzione in quanto i disturbi sarebbero causati da fattori genetici o neurobiologici.
Nel mio libro affronto scientificamente tutti questi argomenti e li smonto uno per uno dimostrando come sia improbabile quanto viene affermato. Ma soprattutto spiegando perché la comunità scientifica non ha ancora compreso o voluto comprendere, che questi “disturbi” mettono radici lì dove la scuola e la famiglia crescono figli e studenti senza una pedagogia adeguata.

Descrizione del libro. È intelligentissimo, ma il maestro mi dice che non ascolta. Legge stentatamente e la maestra mi ha detto che potrebbe essere dislessica. Non ricorda le tabelline e mi hanno detto che potrebbe essere discalculico. Mi hanno consigliato il logopedista. Mi hanno detto che dovrei portare mia figlia a fare una visita dalla neuropsichiatra infantile. Poi ho letto un suo articolo... Poi cercando su internet il significato di queste parole mi sono imbattuta nel suo sito... È con le stesse parole che un papà arriva da una pedagogista che ha trovato la soluzione ai disturbi specifici dell’apprendimento. Inizialmente scettico, ma speranzoso - perché sua figlia, presunta dislessica, ha difficoltà relazionali con lui e un calo del rendimento scolastico -, s’imbatte in un’avventura scientifica, realistica e umana senza precedenti. Andrà alla scoperta del pensiero di medici e pedagogisti di fama mondiale che gli spiegheranno perché quello che comunemente si racconta sui disturbi dell’apprendimento non è realistico, trovandosi così involontariamente alla ricerca di una conoscenza genetica, neurobiologica, psicologica e soprattutto pedagogica di cui era profondamente allo scuro come del resto buona parte della comunità scientifica ed educativa. Riuscirà in questo modo a capire come nascono, come si prevengono e come si superano i disturbi dell’apprendimento. Ma soprattutto imparerà come è possibile evitarli con l’applicazione di una scienza che nel tempo è stata annullata dalla politica e negata nella formazione dei nuovi docenti: la scienza pedagogica.
Oggi il 25% dei bambini di una classe viene diagnosticato con un disturbo dell’apprendimento. Dicono che il problema è genetico o neurobiologico e per questo non si può far nulla se non dispensare e/o compensare. E se così non fosse?
La dottoressa Tiziana Cristofari pedagogista e docente, con l’aiuto tratto da teorie e prassi di eminenti e riconosciuti studiosi in pedagogia, psicologia e psichiatria - tra i quali Giovanni Genovesi, Shinichi Suzuki, Howard Gardner, Lev Semënovič Vygotskij, Massimo Fagioli -, ha dimostrato come sia ampiamente improbabile che i disturbi specifici dell’apprendimento abbiano origine genetica o neurobiologica e come invece siano il frutto dell’assenza totale di pedagogia scolastica e familiare. 
Codice ISBN: 9791220015424
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