mercoledì 11 gennaio 2017

DSA e prove INVALSI, perché mentire?


DSA e prove INVALSI, perché mentire?

A cosa servono le valutazioni scolastiche se non a confrontare e paragonare fornendo così motivo di competizione continua agli alunni, ai docenti, alla scuola…?
Ogni nostro movimento a scuola è farcito — non di crema o cioccolata, che saprebbe addolcire la parte più sgradita del lavoro e della fatica scolastica —, ma di veleno. Un veleno che si trova dentro a ogni voto, ogni gara per mostrare di essere il migliore, ogni valutazione che possa confrontare competitivamente negli studi gli studenti, e nel lavoro didattico i docenti.
E allora ci sono i voti, le verifiche, i test, continui… e… le prove INVALSI!
Lo so, vi starete chiedendo come potrebbe essere diversamente da tutto questo, come potrebbe esserci una scuola senza voti e esami; di risposte ce ne sarebbero un’infinità e forse anche questo potrebbe essere un argomento e un buon motivo per scrivere un altro libro!


Oramai mi conoscete: sono contraria a chi sbandiera i disturbi dell’apprendimento come fossero erbacce in un campo di rose, e poi ce li fanno passare come immodificabili e marchianti per tutta la vita! Sì, la penso diversamente rispetto a coloro che sostengono che i disturbi dell’apprendimento sono provenienti dalla genetica e/o dalla neurobiologia e però poi fanno test statistici di lettura e scrittura per “diagnosticarli”! Assurdo! Test e ancora test che dovrebbero essere di competenza dell’insegnante o del pedagogista perché solo loro possono veramente valutare se un bambino è indietro nel rendimento scolastico oppure no… ed eventualmente intervenire. Invece li fa il logopedista o il neuropsichiatra andando a cercare quel gene capriccioso o quel neurone insolente dentro ai test per il rendimento scolastico, (assurdo!) ed escludendo completamente l’antropologia, la psicologia dinamica, la sociologia e naturalmente la pedagogia e la didattica che sono le principali artefici dello sviluppo cognitivo e metacognitivo di quell’essere umano.
Parliamo dei test INVALSI, motivo specifico di questo scritto.
La fonte MIUR (Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca) dichiara che l’Istituto INVALSI:
   effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell'offerta formativa delle istituzioni di istruzione […];
   effettua le rilevazioni necessarie per la valutazione del valore aggiunto realizzato dalle scuole;
   predispone annualmente i testi della nuova prova scritta, a carattere nazionale, volta a verificare i livelli generali e specifici di apprendimento conseguiti dagli studenti nell’esame di Stato al terzo anno della scuola secondaria di primo grado[1].
Quindi l’istituto INVALSI valuta il rendimento degli studenti e il lavoro didattico degli insegnanti.
Ma l’AID (Associazione Italiana Dislessia) specifica:
   Le prove INVALSI di rilevazione non sono finalizzate alla valutazione individuale degli alunni, ma a monitorare i livelli di apprendimento conseguiti dal sistema scolastico. Pertanto i risultati di tali prove non verranno, in alcun modo, presi in considerazione nella scheda di valutazione e non faranno media con le altre prove di verifica effettuate nel corso del secondo quadrimestre da ciascun alunno.[2]


Dopo aver letto, e qui sintetizzato, quello che entrambi gli enti riferiscono sulla questione delle prove INVALSI, mi sono domandata perché questa evidente contraddizione tra i due, ovvero perché l’Associazione AID fosse così propensa a specificare che le prove svolte alla scuola primaria e al secondo anno della superiore di primo grado, non rientrano nella valutazione personale dello studente, quando poi è esplicitamente dichiarato (e lo dichiara anche l’AID) che rientreranno nella valutazione dell’alunno nell’ultimo anno delle scuole superiori di primo grado (ex scuola media).
Mi domando: ma per arrivare all’ultimo anno delle scuole e affrontare così l’esame di Stato anche con le prove INVALSI, questi bambini non devono attraversare dignitosamente anche gli anni di scuola precedenti per raggiungere poi un obiettivo soddisfacente alla fine? Questa prova INVALSI  a detta del MIUR la devono fare tutti e rientra nella valutazione dello studente all’esame finale del ciclo di studi. Quindi perché l’Associazione AID deve sottolineare che tali prove non entrano nel curriculum dello studente e fare poi addirittura una tabella che dimostra come, a discrezione della scuola, lo studente certificato o in fase di certificazione, può non parteciparvi?
Così nel chiedermi perché l’AID volesse sottolineare la nullità delle prove antecedenti quella di Stato, ho provato a fare dei ragionamenti per darmi una risposta, anche se potrebbe non essere esaustiva, ma che pone molti altri interrogativi. Mi spiego meglio.
I disturbi dell’apprendimento che vengono diagnosticati fino alle scuole superiori, a mio parere hanno un particolare picco nella prima infanzia per due motivi: 1) perché dicono che il disturbo precocemente riscontrato, può far vivere meglio lo studente (ma questo è tutto da dimostrare e molto spessoaccade il contrario); 2) perché se fosse riscontrato nelle scuole superiori, diverse agenzie mediche e paramediche perderebbero tantissimi soldi. E anche per questo ultimo caso le motivazioni sono due: 1. perché il più delle volte, con il passare del tempo lo studente, se lasciato lavorare liberamente, senza oppressioni, coercizioni o etichettature, trova autonomamente le modalità per superare quelli che chiamano i “disturbi dell’apprendimento”; 2. perché quando lo studente è nell’età dell’adolescenza è molto più difficile fargli seguire protocolli medici, diagnostici e terapeutici senza la sua volontà.
L’Associazione AID a tal proposito, come accennavo prima, ha fatto una bella tabella[3] per rassicurare i genitori e specificare come tutti i bambini certificati o in procinto di certificazione possano essere esclusi dalle prove INVALSI a discrezione della scuola. Ho cercato ovunque qualcosa di ufficiale del MIUR che mi convalidasse l’affermazione dell’AID per l’esclusione di questi bambini alle prove INVALSI, ma non sono riuscita a trovarla. Anzi, le linee guida inviate dal MIUR alle scuole per la prova INVALSI citano:
   Si ricorda l’applicazione delle norme vigenti previste per gli allievi con bisogni educativi speciali. In particolare, per le seguenti tipologie di studenti è previsto un tempo di somministrazione maggiore:
            −  gli alunni con diagnosi specifica di dislessia o di altri disturbi specifici di apprendimento sosterranno la Prova nazionale con l’ausilio di strumenti compensativi con un tempo aggiuntivo stabilito dalla singola commissione;
            −  gli alunni con disabilità visiva sosterranno la Prova a carattere nazionale con l’ausilio delle strumentazioni in uso e con un tempo di somministrazione aggiuntivo stabilito dalla singola commissione (generalmente fino a 30 minuti)[4].



Quindi un tempo maggiore, agevolazioni, ma la prova va fatta.
Voglio comunque pensare di non essere stata capace di trovare questo elemento di esclusione  nella documentazione MIUR, e che effettivamente quanto dichiarato dall’AID sia vero.
Ma se tutto questo è come appare, rimangono comunque poco evidenti ai genitori due importantissimi fattori: 1) che il bambino non riceverà più lo stimolo e le attenzioni giuste per recuperare le carenze, arrivando così all’esame di Stato con una preparazione decisamente inferiore rispetto agli altri compagni; 2) la scuola si sente autorizzata in modo legalizzato a eliminare dalle prove INVALSI ogni bambino che reputa sotto la media richiedendone banalmente una certificazione, oltre a essere così certa di ottenere punteggi più alti per il rendimento del suo personale didattico e pertanto “del valore aggiunto realizzato dalle scuole.
Ma la questione più grave è sempre l’aspettativa che ci si pone nei confronti di quel bambino (Effetto Pigmalione), dove, ottenuta la certificazione per DSA, nessuno più (genitori compresi) si sentiranno in dovere di lavorare maggiormente con quei bambini che al 99% delle volte hanno solo bisogno di più tempo e di unadidattica alternativa.
Ma tempo e didattica alternativa costano fatica: perché faticare se è permesso loro eliminare!

Dr.ssa Tiziana Cristofari
© Tutti i diritti riservati



[4] Protocollo INVALSI nazionale_2014.pdf


Il libro è reperibile 
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Un titolo e un contenuto sicuramente contro tendenza, dato che libri e manuali sull’argomento parlano solo di come riconoscere i disturbi dell'apprendimento e quali sono gli strumenti dispensativi e/o compensativi per sostenere una realtà che, secondo la maggioranza della comunità scientifica, non ha soluzione in quanto i disturbi sarebbero causati da fattori genetici o neurobiologici.
Nel mio libro affronto scientificamente tutti questi argomenti e li smonto uno per uno dimostrando come sia improbabile quanto viene affermato. Ma soprattutto spiegando perché la comunità scientifica non ha ancora compreso o voluto comprendere, che questi “disturbi” mettono radici lì dove la scuola e la famiglia crescono figli e studenti senza una pedagogia adeguata.

Descrizione del libro. È intelligentissimo, ma il maestro mi dice che non ascolta. Legge stentatamente e la maestra mi ha detto che potrebbe essere dislessica. Non ricorda le tabelline e mi hanno detto che potrebbe essere discalculico. Mi hanno consigliato il logopedista. Mi hanno detto che dovrei portare mia glia a fare una visita dalla neuropsichiatra infantile. Poi ho letto un suo articolo... Poi cercando su internet il significato di queste parole mi sono imbattuta nel suo sito... È con le stesse parole che un papà arriva da una pedagogista che ha trovato la soluzione ai disturbi specifici dell’apprendimento. Inizialmente scettico, ma speranzoso - perché sua figlia, presunta dislessica, ha difficoltà relazionali con lui e un calo del rendimento scolastico -, s’imbatte in un’avventura scientifica, realistica e umana senza precedenti. Andrà alla scoperta del pensiero di medici e pedagogisti di fama mondiale che gli spiegheranno perché quello che comunemente si racconta sui disturbi dell’apprendimento non è realistico, trovandosi così involontariamente alla ricerca di una conoscenza genetica, neurobiologica, psicologica e soprattutto pedagogica di cui era profondamente allo scuro come del resto buona parte della comunità scientifica ed educativa. Riuscirà in questo modo a capire come nascono, come si prevengono e come si superano i disturbi dell’apprendimento. Ma soprattutto imparerà come è possibile evitarli con l’applicazione di una scienza che nel tempo è stata annullata dalla politica e negata nella formazione dei nuovi docenti: la scienza pedagogica.
Oggi il 25% dei bambini di una classe viene diagnosticato con un disturbo dell’apprendimento. Dicono che il problema è genetico o neurobiologico e per questo non si può far nulla se non dispensare e/o compensare. E se così non fosse?
La dottoressa Tiziana Cristofari pedagogista e docente, con l’aiuto tratto da teorie e prassi di eminenti e riconosciuti studiosi in pedagogia, psicologia e psichiatria - tra i quali Giovanni Genovesi, Shinichi Suzuki, Howard Gardner, Lev Semënovič Vygotskij, Massimo Fagioli -, ha dimostrato come sia ampiamente improbabile che i disturbi specifici dell’apprendimento abbiano origine genetica o neurobiologica e come invece siano il frutto dell’assenza totale di pedagogia scolastica e familiare. 
Codice ISBN: 9791220015424
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