giovedì 28 gennaio 2016

La tecnologia danneggia la mente del bambino? Vi racconto la verità.

Negli ultimi tempi sta andando molto di moda parlare di quanto non siano funzionali all’apprendimento i dispositivi elettronici come il tablet. Fino a poco tempo fa c’era la rincorsa alle nuove tecnologie, tutti dicevano e dichiaravano di quanto fosse utile la presenza dei dispositivi informatici per aumentare l’apprendimento. Save The Children nel suo ultimo rapporto dichiara che  il 45% dei ragazzi in condizioni socio-economiche svantaggiate che hanno aule con connessioni internet carenti non raggiunge le competenze minime in matematica, e il 41% in letteratura, percentuale che scende al 43% e al 28% se le scuole sono ben connesse.
La Repubblica il 7 gennaio di questo anno pubblica un articolo sullo studio effettuato dal pedagogista e docente di pedagogia sperimentale Vertecchi nel quale si dichiara che chi scrive troppo con gli strumenti hi-tech avrà grosse difficoltà a imparare la lingua scritta. Vertecchi sostiene che i bambini che fanno uso di strumenti digitali avranno grafie sempre più incomprensibili; anche se a me sembra che da ben prima dell'arrivo del computer i medici scrivessero già con calligrafie indecenti.
Afferma che l’utilizzo di tali supporti crei strani mix di stili e caratteri tra corsivo e stampatello; ma nella mia esperienza con i bambini mi risulta che questo avviene perché si è fatto un pessimo lavoro nei primi tre anni di scuola primaria quando ancora il tablet certo non si usa (almeno a scuola, se non in rarissimi casi comunque non contemplati nelle statistiche). Vertecchi sostiene che il ricorso alla funzione “copia e incolla” riduce la necessità di sviluppare una linea argomentativa. Nella mia esperienza con gli adolescenti la riduzione di una capacità argomentativa non nasce dall’uso del copia e incolla, ma dal fatto che quasi nessun docente insegna loro come argomentare qualcosa che si è letto, pretendendo che lo sviluppo avvenga da sé, senza rielaborarne verbalmente il contenuto con la mediazione del docente. Poi conclude dicendo che la tecnologia aiuta a non pensare e ricordare. Dimentica però che la capacità di pensare è un atto volontario che poggia le sue radici su un benessere psichico affettivo ed emotivo in primis, mentre la capacità di ricordare è in prevalenza parte di quel benessere psichico di cui si alimenta e si sostiene. Se uno studente sente il bisogno di estraniarsi attraverso un oggetto elettronico, chiediamoci perché questo avviene senza demonizzare l’oggetto sottraendoci così dalle responsabilità.
Anche sul settimanale Left del 23 gennaio l’articolo sulla scuola veniva intitolato: Contrordine: il digitale non è la bacchetta magica, sostenendo che dall’Ocse arriva “l’ammissione che non esistono prove che a un uso sempre più ampio delle nuove tecnologie nella didattica corrispondano punteggi migliori nelle rilevazioni periodiche sulle competenze dei quindicenni in letteratura, matematica e scienze", contraddicendo pienamente quello che sostiene Save The Children (rilevazioni quelle Ocse e di Save The Children effettuate entrambe nel 2015 sic!).
Ai non addetti ai lavori, ma anche a chi lo è, questo argomentare così opposto potrebbe causare molta confusione. Mi chiedo se ciò sia sempre fatto con lo stesso principio di destabilizzare la formazione.
Maria Montessori 100 anni fa creò per la prima volta degli strumenti utili alla formazione dei più piccoli (strumenti assolutamente utili anche oggi), anche se i più grandicelli oggi prediligono la tecnologia… e per fortuna! altrimenti il progresso non andrebbe avanti. Ma allora, cosa bisogna fare? Sì o no alla nuova tecnologia?
Cerchiamo di dipanare alcuni concetti.
Non possiamo fare a meno della tecnologia, non possiamo fermarla (sarebbe una catastrofe), non possiamo impedire che le persone la usino. Non possiamo impedire che tutta la nuova tecnologia entri nelle aule scolastiche, c’è già lo Stato che lo fa con la sua povertà intellettuale, c’è chi dice economica, ma anche qui sono punti di vista. C’è chi invece fortemente capitalizzato crea spazi altamente tecnologici per le classi d’élite, e come impedirlo se non demonizzando quanto la scienza e a tecnologia propone!?
Allora c’è a chi fa comodo dire no alla tecnologia, a chi fa comodo dire sì e c’è chi pensa ai bambini.
Come pensare a loro? Ora ve lo spiego partendo proprio da quello che sosteneva Maria Montessori quando ancora tutta questa tecnologia non c’era, ma lei stessa ribadiva l’importanza di stare al passo con i tempi.
Quando tutto ebbe inizio per quei bambini considerati allora dalla società “deficienti”, Maria Montessori inventò degli oggetti, che io definirei altamente tecnologici per l’epoca e che furono il modo che lei utilizzò per portare quei bambini deficienti ai livelli degli altri, i cosiddetti normodotati. Poi la storia ci racconterà che quei bambini “deficienti” avevano solo bisogno di più stimoli (e già questo ci dice tanto sulla tecnologia). Ma a chi ha voglia di approfondire la biografia e le modalità didattiche della Montessori e sa guardare oltre le apparenze, oltre gli oggetti da lei creati, si potrà rendere conto che lei utilizzava degli strumenti sì, ma la base della sua pedagogia era nel rapporto con gli studenti. Ovvero lei era presente con la mente, non era aggressiva, non era offensiva, non cercava le prestazioni nei bambini, ma rispettava i loro tempi, era affettiva (e non affettuosa), era partecipativa, era consapevole delle differenze di ognuno di loro, non era consolatoria né caritatevole, ma stimolava gli alunni a fare da sé rendendoli consapevoli della sua presenza. Gli strumenti erano strumenti di lavoro, non erano la sua base pedagogica che per lei si fondava sulla conoscenza della realtà umana: psicologia (la Montessori era laureata in psichiatria), antropologia (lei ha avuto all’università anche una cattedra di antropologia), sociologia e ovviamente pedagogia. 
Oggi noi cosa abbiamo: 1. le letterine in legno create della Montessori; 2. la penna con l’inchiostro cancellabile, perché oggi esiste anche una pedagogia dell’errore e pertanto gli insegnanti (ancora non tutti purtroppo) ammettono l’errore e quindi la cancellazione di quanto sbagliato (quando andavo a scuola io non era permesso cancellare, ti dovevi tenere l’errore possibilmente evidenziato in rosso, perché potesse rimanere indelebile nel pensiero); 3. il tablet, ossia un oggetto in più, nato con il progresso, nato perché la scienza e la tecnologia va avanti e non può essere fermata.
Gardner e Devis nel loro libro Generazione App, 2014, hanno provato a spiegare perché secondo loro l’uso improprio delle nuove tecnologie incida negativamente sul senso della propria identità, sul rapporto con gli altri e sulla propria capacità di immaginazione. Queste tre caratteristiche umane, non vengono distrutte o depenalizzate dalla tecnologia, ma siamo noi che facendone di essa un uso scriteriato, eccessivo, le permettiamo di autodistruggerci. E voi mi direte: e come si fa a impedire che ciò avvenga. Ritornando al discorso delle relazioni.
La comunicazione tra gli esseri umani non la impedisce l’oggetto, ma la impediamo noi con i silenzi, con gli insegnanti impreparati, con i libri che tradiscono, con ruoli e competenze fraintese, con le cattive separazioni, impedendo ai nostri figli e agli studenti di formarsi un’autostima, facendoci trovare dai nostri figli continuamente con il cellulare in mano, dicendogli sempre "dopo" (quando siamo davanti al computer), ecc. L’immaginazione viene penalizzata? Da cosa? Da un oggetto? O piuttosto dalla mancanza dell’unica realtà psichica che crea l’immaginazione e la creatività, ovvero il sano rapporto con l’altro!
Quando si arriva a demonizzare il progresso, bisogna tenere presente la carenza umana che avanza inesorabile al passo con il progresso che ci sostiene nell'indifferenza e nei silenzi, nell'anaffettività e nella noncuranza di, perché la presenza umana, se c’è, non viene né oscurata, né demolita dalla nuova tecnologia, piuttosto viene soppiantata e pertanto la nuova tecnologia porta a quelle caratteristiche negative di cui tutti parlano. 
Piuttosto direi che i docenti si sono in qualche modo adagiati sulla nuova tecnologia e hanno scaricato su di essa, non solo le potenzialità mancate della didattica umana, ma anche le opportunità di rapporto che devono e possono instaurare con i loro studenti anche davanti a un tablet. Il fatto che si possa vedere un voto tramite un telefono, non dovrebbe pregiudicare la possibilità di comunicazione e di confronto con la famiglia; se ciò avviene, non è certo perché esiste un tablet, ma è perché noi lo vogliamo, perché ci fa comodo, perché il confronto stanca, è impegnativo, perché è una nostra scelta: la tecnologia non si è imposta a noi, siamo noi che non le impediamo di imporsi a noi, e questo fa la differenza. 
La tecnologia, per chi ha il coraggio e la salute mentale per affermarlo, è una delle cose più belle che la scienza ha saputo creare e donarci, ma solo se non le diamo il potere di sostituirsi al rapporto umano e alla comunicazione verbale.
Allora non demonizziamo quello per cui tutti noi stiamo spasimando (telefono, tablet, computer), ma ritroviamo la nostra umanità con l’altro, viviamo i rapporti con i nostri figli e studenti senza interferenze tecnologiche, ma consapevoli che quelle tecnologie possono esserci utilissime per raggiungere più facilmente certi obiettivi.
Ciò che alla scuola manca è il rapporto umano, è vedere gli studenti per quello che sono, saperli ascoltare, capire, saper gestire le dinamiche relazionali, conflittuali, saper creare cooperazione, saper far appassionare i ragazzi allo studio, alla voglia di andare a scuola con o senza tecnologie, perché se oggi può essere vero che alcune cose si apprendono di più con un tablet, è pur vero che le stesse si sono apprese senza il tablet da altri milioni di bambini prima di noi. E allora non c’è una verità sul bene o sul male nell’utilizzo dei prodotti elettronici. C’è solo la voglia di accogliere le nuove tecnologie continuando però a guardarci negli occhi, continuando a mantenere o a ritrovare l’umanità che non ci robotizza solo perché hanno inventato il tablet.

Dr.ssa Tiziana Cristofari
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