lunedì 9 novembre 2015

È giusto aiutare i propri figli nei compiti a casa?

Si rende noto che negli articoli pubblicati su questo blog l’utilizzo del maschile e del femminile è casuale e si alterna per esigenze di scrittura e per par condicio.

A volte capita che i genitori fanno degli errori in modo inconsapevole. Potremmo dire che questo è normale, perché nessuno ci ha insegnato come fare i genitori, non c’è una scuola apposta e non c’è una materia scolastica che nel corso della nostra formazione abbia potuto darci degli input a tal proposito. La cultura in primis ci fa essere in un certo modo, per cui ci comporteremo in quel determinato modo. Generalmente quello che seguiamo è l’esempio che abbiamo vissuto, quindi quello della famiglia o quello che la scuola ci ha lasciato come patrimonio culturale. Ma quando da adulti diventiamo genitori, i tempi sono altri da quando andavamo a scuola, la cultura si è evoluta. Quello che andava bene prima, ora molto probabilmente non serve più, non basta più, non è più adatto. E allora dobbiamo rivedere il nostro modo di educare, di essere con i nostri figli e studenti. 
Per fare un esempio: i nostri nonni/bisnonni ci raccontavano che se a scuola non facevi ciò che ti dicevano, arrivavano le punizioni corporali: bacchettate sulle mani, in ginocchio sui ceci ecc. I nostri nonni/bisnonni insegnavano ai loro figli maschi che non bisognava piangere (soprattutto in pubblico) perché segno di debolezza. Oggi sappiamo, con l’evoluzione della cultura, che reprimere le emozioni è uno dei motivi principali di possibili problematiche psichiche. Ieri però, tutto questo era un comportamento ampiamente tollerato dalla società; oggi un tale trattamento sarebbe fortemente represso dalla comunità e dalle istituzioni. 
È chiaro che i tempi sono cambiati da allora. È chiaro che una società che si evolve, lo farà sempre di più su questioni culturali e anche, forse, più difficili da comprendere, ma noi dobbiamo provarci. Difatti, oggi possiamo dire purtroppo che la maggior parte dei genitori negano certi loro comportamenti non idonei, sostenendo appunto che si è sempre fatto in un certo modo, e che pertanto quel modo è quello giusto. Ci sono molti altri genitori invece, che mi scrivono dicendomi in modo chiaro e palese, che hanno sbagliato, e proprio in riferimento ai miei scritti proveranno a modificarsi. Inutile dire che questi genitori sono già vincenti. Innanzitutto perché “si vedono”, e questa è la parte più difficile nel rapporto con i propri figli. Ossia riconoscono i loro atteggiamenti come non idonei alla crescita dei propri figli. Riconoscendosi, e riconoscendo che i tempi si sono trasformati, si sono evoluti, possono veramente cambiare. Ed è per questo che io ritengo abbiano già vinto nel rapporto e nell’educazione con i propri figli.
Ma entriamo un po’ di più nel dettaglio di questi cambiamenti.
Ad esempio parliamo dei compiti di scuola che i bambini e gli adolescenti devono fare a casa. 
Premetto (chi mi conosce già lo sa), che io non sono favorevole ai compiti, ma tenuto conto che non si può imporre ai docenti una volontà innovativa e sicuramente (a mio parere), più idonea per gli studenti, dobbiamo capire come aiutare o meno i nostri figli a fare i compiti.
Partiamo dal principio cardine per cui ogni studente deve poter imparare da solo a gestire i suoi impegni (come raccomandava anche la Montessori), tanto più quelli scolastici.
Proviamo a descrivere qualche situazione.
Cominciamo dalle scuole primarie, dalla prima classe, ossia da quando tutta questa storia comincia per le famiglie.
Il bambino va a scuola, torna a casa e ci sono da fare i primi compitini. Bene, la maggior parte dei genitori si siede affianco al figlio e “pretende” di farli con lui. Perché lo fa? 
  1. Vuole vedere cosa ha fatto a scuola e cosa deve fare. Ok, ci sta, è giusto, bisogna parlare con i propri figli e chiedere sempre come è andata la scuola e cosa hanno fatto e interessarsi di ciò che devono fare.
  2. Vuole controllare che il figlio faccia veramente quello che gli è stato assegnato, pertanto il genitore resterà lì ferm@ finché il bambino non avrà finito i compiti. Sbagliato: state dubitando di vostro figlio, gli state togliendo fiducia. Dubitare è un modo per non permettere a vostro figlio di costruirsi l’autostima. Non solo, gli state passando il messaggio “da solo non lo puoi fare”; altra delusione e ferita che voi gli procurate. Inoltre, gli state trasmettendo il messaggio che la scuola non è cosa sua, ma una questione di entrambi, genitori e figli. Ma non è così cari genitori! La scuola è solo dei vostri figli, e voi ci dovete entrare in punta di piedi per non invadere il loro spazio, uno spazio che li ha “finalmente” resi più grandi. Ma soprattutto la scuola deve essere vissuta come un luogo in cui è vostra figlia a farvi entrare e a farvi stupire delle sue esperienze e scoperte di vita. Invadendola le state togliendo l’opportunità di dimostrarvi che lei è capace di adempiere alle situazioni che la scuola le propone, e che lo sa fare senza di voi; le togliete l’opportunità di dimostrarvi che è cresciuta. Ed ha ragione nel dimostrarvi che è capace, perché è successo a tutti che, prima o dopo, hanno imparato a camminare, e quello che voi avete fatto per aiutarla è stato solo di tenerle la mano. Prima o poi tutti hanno imparato a parlare, ma quello che voi avete fatto è stato semplicemente di parlare, non avete fatto nient’altro per lei. Per tutti i bambini è stato poi un loro movimento interno, una loro spinta, una loro possibilità, quella di riuscire a camminare e parlare in un certo modo e con certi tempi assolutamente personali. Pertanto affinché i bambini e le bambine imparino a studiare, gli dovete solo permettere di farlo portandoli a scuola e fornendogli penne e quaderni, poi saranno loro a raggiungere gli obiettivi, con i loro tempi e con le loro possibilità. Tutto questo naturalmente se volete crescere figli con un certo approccio alla vita: indipendenti, con una forte autostima di sé, liberi, intraprendenti, capaci di decidere per sé, sicuri di sé, in poche parole crescere donne e uomini capaci poi di affrontare la vita.
Le richieste di aiuto dei bambini che vi esprimono dicendo “non sono capace”, vanno assecondate con affettività, ma non necessariamente condivise. Ad esempio: quando vi dicono che non sono capaci, voi dovete rispondere che ci devono provare da soli perché ora sono grandi e possono fare da soli (al più potete intervenire su un dubbio o una richiesta di spiegazione ben precisa con molta calma e serenità). Molti genitori invece, provano quasi piacere che il proprio figlio abbia bisogno di loro. Questo perché sono i genitori stessi che non sanno separarsi psicologicamente dal proprio bambino, che lo vorrebbero sempre piccolo e da imboccare. Ma se si guardassero dentro vedrebbero la loro debolezza, il loro bisogno di avere un foglio perennemente dipendente, perché quel figlio dipendente compensa una loro carenza affettiva. Dovrebbero scoprire che la dipendenza del proprio figlio è normale finché è nei primi anni della vita, ma quando comincia a crescere, quando comincia la scuola primaria, un genitore sano sa che deve permettere al proprio figlio di svezzarsi da tanti punti di vista (vestirsi, lavarsi, fare i compiti, portarsi la cartella, prendersi gli oggetti che gli servono per giocare o per studiare e non aspettare che lo facciano mamma e papà, fare piccole faccende domestiche, come apparecchiare e sparecchiare la tavola, ecc.), e devono permettergli di continuare a farlo in base all’età e alle esperienze che la vita gli ha destinato. Ricordatevi che i figli non sono oggetti che devono compensare i vostri vuoti o le vostre frustrazioni, ma sono persone che vanno lasciate libere di crescere.
All’insistenza della vostra bambina nel dire che non è capace di fare i compiti anche dopo averle suggerito di provarci da sola, dovete rispondere che allora forse dovrà chiedere alla maestra di spiegarle nuovamente come fare. Ossia dovete darle la frustrazione di dover chiedere all’insegnante, questo, molto probabilmente, le permetterà di non arrendersi e di riprovarci ancora. Oppure le dovete permettere di assumersi la responsabilità di andare a scuola senza aver fatto i compiti, consapevole di averci provato, consapevole che deve domandare alla docente altre spiegazioni, consapevole che si può sbagliare e che si può rifare anche all’infinito se necessario; ma soprattutto consapevole che nessuno la condannerà per non aver compreso al primo tentativo. 
Naturalmente non va denigrata, non va offesa, non va insultata, non va umiliata. Paradossalmente sono più favorevole ad una vostra nota all’insegnante, nella quale siete voi a spiegare che nonostante i tentativi, vostra figlia non è riuscita a fare quello che gli era stato assegnato e pertanto chiedete che venga aiutata a farlo. Questo comportamento, che non deve farvi immaginare un giudizio nei vostri confronti da parte dei docenti (perché è assolutamente lecito che un genitore non sappia o non voglia intervenire sulla formazione didattica, che per principio costituzionale e obbligo spetta alla scuola: gli insegnanti sono pagati per questo!), permette a vostra figlia di responsabilizzarsi, di maturare, di coltivare la fiducia in se stessa, ma soprattutto spingerebbe gli insegnanti a tenere sotto controllo l’andamento dei vostri figli e delle vostre figlie. In questo modo permettereste un cambio di posizione mentale tra le competenze dei docenti e le vostre genitoriali. Permettereste al docente inoltre, di intuire quanto per voi il loro lavoro sia importante, incoraggiandoli e considerandoli, cosa di cui sono molto sofferenti. Lo so che spesso non c’è collaborazione da parte degli insegnanti, ma voi dovete valutare (naturalmente imparando a farlo) cosa sia meglio: imboccare i vostri figli sui compiti senza permettergli di crescere, o farvi valere con la giusta tattica dagli insegnanti? Vi ricordo che chiunque, se incoraggiato a fare un certo tipo di lavoro, trae soddisfazione nel farlo. Gli insegnanti che sentono di essere seguiti e incoraggiati dai genitori e quindi considerati e sostenuti nel loro lavoro, danno molto di più di quanto possiate immaginare.
Se i bambini non vogliono fare i compiti o se non li finiscono, o se, a vostro giudizio, li hanno fatti male, sono assolutamente vietati atti di isterismo e grida. Se volete aiutarli veramente, ogni aiuto che si offre deve essere fatto con affettività e dolcezza, ma mai con rabbia, altrimenti è meglio non fare nulla. Assolutamente vietato ricattare o insultare (se non fai questo resti un asino, se non fai quest’altro non andrai alla classe superiore, se non fai così non uscirai con gli amici) o peggio ancora metterli a confronto con fratelli o compagni (tuo fratello legge di più, tua sorella alla tua età già faceva, sapeva, diceva ecc). Dovete ricordare che anche se sono fratelli hanno caratteristiche e peculiarità diverse; hanno modi di apprendere diversi, hanno interessi diversi e predisposizioni diverse, pertanto non possono e non devono essere confrontati. È meglio la frustrazione di andare a scuola con i compiti non fatti, rischiando di essere sgridati dall’insegnante. È chiaro che una vostra giustificazione è accettabile solo per chi ha provato a fare i compiti e non ci è riuscito veramente o solo se non è stato possibile svolgerli per vostra colpa. Ma giustificare senza motivo è tassativamente vietato. Giustificarli in tal caso equivale e deresponsabilizzarli. Ma c’è un’altra situazione che vorrei evidenziare, soprattutto a partire dalle scuole superiori di primo grado: i compiti e lo svolgimento sono accettati e accettabili fintanto che sono dati con criterio e moderazione (proprio oggi che scrivo, mia nipote che fa la prima media mi ha comunicato che la sua insegnante di matematica le ha dato da fare 80 operazioni). Ecco questo sembra più uno sfogo frustrato della docente che si scarica sugli studenti, piuttosto che una didattica costruttiva, perché non sono le 80 operazioni a far sì che gli studenti possano imparare meglio, servono invece a far odiare di più la materia e l’insegnante. Ecco in questo caso, se invece di mia nipote fosse stata mia figlia, le avrei suggerito di farne 5 o 6, perché rimanevano così nell’ambito dell’esercizio, passate le quali diventa una sevizia psicologica e in quanto tale va contrastata. Poi le avrei suggerito di spiegare alla maestra che 80 operazioni erano veramente troppe. Il rifiuto costruttivo rende le persone forti e sicure di sé, anche se da parte dell’insegnante la risposta è negativa. Ricordatevi che voi dovete solo guidare i vostri figli, pertanto io ho usato il termine “suggerire” a vostra figlia e non “imporre”, perché deve essere lei ad avere l’ultima parola, anche, e forse soprattutto, se quello che le sto dicendo va a suo favore, ma è difficile da eseguire.
Dobbiamo poi guardare la questione compiti anche da un altro punto di vista. Se i vostri figli hanno difficoltà a farli da soli, è giusto che vi domandiate se state facendo bene il vostro lavoro di genitori, se potete fare di più, fare altro, capire di più, interessarvi di più a ciò che fanno, a quello che pensano o dicono. Ricordatevi che le discussioni e tensioni in famiglia, portano i bambini e gli adolescenti a non voler studiare. I bambini lasciati soli affettivamente ed emotivamente, portano a una carenza o rifiuto dello studio. I lutti e le malattie personali o della famiglia o degli amici, posso portare a una difficoltà di volontà nello studio a tutte le età. Divieti continui, costrizioni, umiliazioni, negazioni, posso portare ad un odio per lo studio. Pertanto guardarsi dentro e intorno è fondamentale.
Essere genitori è una scelta, una meravigliosa scelta, che una volta fatta porta con sé tantissime difficoltà oltre che tantissimi piaceri. Da sempre avete imparato cose nuove sui vostri figli e figlie. Imparate nuove cose fin dalla sua nascita. Imparate a mettergli il pannolino, a tenerlo nella posizione giusta per fargli fare il ruttino, a sistemarlo quando deve andare a dormire. Imparate a dargli da mangiare le cose giuste, imparate a capire quando piange perché lo fa, imparate a capire i suoi sguardi, le sue risate, insomma imparate un sacco di cose. Ecco che dovete allora imparare anche a fargli fare i compiti con equilibrio, concedendo e spesso stimolando. E credetemi, continuerete a imparare di lei o lui finché sarete vivi, perché ogni cosa che farà, dirà o sarà  nell’arco della sua vita, vi potrà stupire. 
Allora non vi spaventate di leggere cose che non avete mai fatto, non vi spaventate di leggere cose che avete fatto e non andavano bene. Spaventatevi solo quando e se, vi accorgerete che non sapete guardarvi né dentro e né intorno, perché solo in questo caso, sappiate, che potreste sbagliare veramente.

Dr.ssa Tiziana Cristofari 

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Di cosa parlano i libri di autoformazione? Cosa si fa nei corsi automotivazionali? Perché dopo che ho letto un libro e/o ho frequentato un corso non ho raggiunto il mio scopo, il mio obiettivo?  La Dr.ssa Cristofari, autrice di questo testo incredibile (che è una via di mezzo tra una biografia e un saggio altamente educativo), spiega, attraverso una narrazione semplice e concreta, attraverso un’esperienza formativa fatta con uno dei più conosciuti coaches italiani, le motivazioni per cui troppo spesso libri e corsi automotivazionali, non permettono il raggiungimento dei propri obiettivi, causando, di conseguenza, la perdita dell’autostima e della fiducia in se stessi.